La quiete di Apollonia
Da un fondo della biblioteca “Vittoria Colonna” di Pescara emerge la scrittura autobiografica di una mistica italiana del Seicento.
Si tratta di un prodotto sui generis. La decifrazione dei sentimenti e dell’interiorità più profonda e autentica della religiosa è particolarmente ardua, perché quella scrittura racconta una storia indotta, condizionata dalla presenza quasi ossessiva di confessori e direttori spirituali: essi ne sono i veri protagonisti.
A scoprire il manoscritto è stata Silvia Mantini che lo presenta e commenta in La quiete di Apollonia. Religiosità femminile e spazi di devozione nell’Italia del Seicento, Milano, Educatt, 2020.
La ricerca intima di Dio e i sospetti di Chiesa e Inquisizione
Apollonia Ventiquattro, divenuta Maddalena dopo l’ingresso in convento senza prendere i voti, è uno degli esempi, ricorrenti nel corso dell’età moderna, di donne che, pur accettando il modello conventuale, comunitario, privilegiano una condotta di vita in solitudine, perché essa favorisce un più immediato contatto con Dio, l’esaltazione della quiete interiore secondo gli orientamenti diffusi nel movimento quietista.
Orientamenti guardati con sospetto dalla Chiesa e dall’Inquisizione perché la religiosità del singolo, le spinte di esaltazione mistica potevano facilmente entrare in conflitto con l’ortodossia e la disciplina delle istituzioni.
Apollonia subisce l’influenza degli Oratoriani attraverso il suo confessore Giambattista Magnante, frequenta l’Oratorio di San Filippo, fonda essa stessa un Oratorio a L’Aquila, ha rapporti con la corte papale e Innocenzo XI, formando un un vero e proprio network con cardinali romani.
Un’autobiografia come scudo contro la scomunica
Carismatica, mistica, visionaria, dalla sospetta religiosità interiore, all’età di settanta anni scrive l’autobiografia col fine principale di dimostrare la sua innocenza per difendersi dalla scomunica.
Come scrive efficacemente Silvia Mantini, “l’estorsione dell’autobiografia richiesta a Maddalena è probabilmente proprio questo: la necessità, da parte del Sant’Uffizio, di avere una prova scritta di una vicenda fino ad allora solo riferita”.
Però, se così stanno le cose, risulta difficile sottoscrivere il giudizio della stessa autrice, per cui quella di Apollonia-Maddalena sarebbe una storia privata che diventa pubblica.
Perché la dimensione privata della protagonista si riversa pressoché integralmente in quella pubblica voluta dal Sant’Uffizio attraverso la mediazione di confessori e padri spirituali.
Risulta dunque problematico, in assenza di altre fonti integrative capaci di restituire la personalità a tutto tondo della religiosa, disporsi in quella sottile linea di confine fra i due profili e scavare in profondità nella trama interiore di Apollonia-Maddalena, depurata da quegli “adeguamenti a ordini, obblighi di scrittura della propria vita soggetta a censure”.
Penetrare in quel “gioco di equilibri tra tradizione, nuova spiritualità, rispetto di regole austere, accoglienza di punizione, estasi e devozione, ricerca di quiete e scuola di dubbio, che furono gli sfumati rivoli del pensiero delle donne e degli uomini tra i secoli XVII e XVIII”.
E non è facile in questa “autobiografia estorta” riconoscere, come pure pensa la Mantini, “l’immagine di una donna fedele ai suoi sentimenti e alle sue intenzioni”.
Anatomia di una confessione
Se si scorrono le parti del manoscritto, pubblicate in questo volume, l’indipendenza devozionale passa in secondo piano rispetto all’autodifesa dalle possibili accuse dell’Inquisizione.
Apollonia-Maddalena ci fa sapere che fin da giovinetta rifuggiva gli uomini “come la peste”, le piaceva la solitudine, sfuggiva le carezze e i toccamenti a letto di un padre forse troppo amoroso, i baci del fratello maggiore, non sapeva che cosa fossero peccato e virtù. Scrive che il suo Celeste Amante, fin dall’età di quattro anni, le aveva posto nel “Sigillo virginale un segno d’infermità particolare”, come fosse “un pugnale tagliente”. Confessa, “con la bocca per terra”, nell’abisso del suo niente, “che la porzione inferiore circa la fragilità humana è stata sempre soggetta all’impero della parte superiore”.
Queste confessioni lasciano inquieti, fortemente dubbiosi. Perché tutta questa insistenza? Che cosa realmente è intercorso fra Apollonia-Maddalena, i suoi padri spirituali e i confessori? In quale contesto psicologico collocare la scelta pietista? Quanto l’indipendenza devozionale e il vissuto tormentato furono condizionati e come addomesticati dai tanti tutori della religiosa?
Sono domande a cui non può rispondere questa autobiografia che ha bisogno di ben altri riscontri e fonti per un’analisi a tutto campo di una personalità sicuramente originale.