La stamperia reale
Sin dal 1776 Ferdinando IV aveva dato mandato al viceré di erigere a Palermo una Stamperia Reale, su modello di quella napoletana, che però prese formalmente vita solo tre anni dopo (17 luglio 1779), con l’assegnazione della titolarità e della gestione alla predetta Deputazione. Al fine di garantirne l’autosufficienza finanziaria si deliberava che sia il Tribunale del Real Patrimonio, sia le amministrazioni periferiche della regia Corte dovessero avvalersi esclusivamente di essa per le stampe necessarie.
Nell’imponente edificio del Collegio Massimo di Palermo, eretto dai Gesuiti tra il 1586 e il 1588, trovarono inizialmente collocazione il Convitto Real Ferdinando, la Stamperia, la Biblioteca, nonché le cattedre di Grammatica, Belle Lettere, Retorica, e quelle delle discipline scientifiche.
A presiedere la Stamperia fu posto un Direttore che doveva raccordarsi con il Sovraintendente e con il Detentore, per le verifiche mensili dei conti di introito e di esito delle quantità di carta utilizzata per la stampa e delle vendite dei libri. Inoltre, allo stesso competeva la correzione dei fogli e la vigilanza sulla «buona simetria, e nitidezza della stampa». Naturalmente un ruolo chiave era quello del Capo compositore che era responsabile della tenuta dei caratteri e degli alfabeti in legno e in rame ricevuti dal Sovraintendente e che doveva vigilare sulla qualità del lavoro dei compositori da lui dipendenti. Il Capo torcoliere era, invece, responsabile di tutti i torchi e, oltre a operare su uno di essi, doveva vigilare sugli altri torcolieri, affinché i fogli di stampa fossero «non rotti, non maltrattati e netti da qualunque macchia».
Il primo direttore della Stamperia fu Giuseppe Antonio de Espinosa cui succedette, alla sua morte, Gregorio Speciale che già svolgeva le funzioni come interino dal 1791 – continuando a mantenere l’incarico di governatore del Convitto Real Ferdinando e poi, dal 1801 al 1805, assumendo pure quello di rettore della Real Accademia degli Studi. Fu poi la volta dell’abate Mercurio Ferrara e successivamente di Corradino Garajo.
Sin dalla fondazione, la Stamperia fu posta nelle condizioni di offrire una produzione di buona qualità, disponendo di torchi di legname e di rame (9 nel 1823) e di caratteri acquistati a Roma, tramite l’erudito orientalista Giovanni Cristofano Amaduzzi. A metà degli anni venti dell’800 la regia Stamperia era certamente la meglio attrezzata della città.
Le prime pubblicazioni andate in stampa nel 1780 – oltre ai bandi, ai dispacci e alle prammatiche – furono di carattere storico-giuridico e religioso cui seguirono quelle per l’Ateneo palermitano e per le regie scuole di Sicilia: dalla Grammatica della lingua Italiana, di Ferdinando Porretti al Compendio di fisica sperimentale di George Atwood; dalla Logica di John Locke, nella traduzione di Francesco Soave, alla pregevole opera numismatica del principe di Torremuzza.
Nel decennio 1785-95 si pubblicarono i cinque volumi del Vocabolario siciliano di Michele Pasqualino, la monografia botanica Hortus regius panormitanus di Bernardino da Ucria, il primo volume dell’astronomo Giuseppe Piazzi sulla Specola astronomica di Palermo e l’Introduzione allo studio del diritto pubblico siciliano del regio storiografo Rosario Gregorio; ma videro la luce, a fine ‘700, anche quelle dell’abate maltese Giuseppe Vella, divenuto celebre per le sue indiscutibili doti di falsificatore di documenti storici, con i 6 tomi del Codice diplomatico di Sicilia e il Libro del Consiglio di Egitto. Presso la Stamperia si realizzarono le opere dei protagonisti della cultura siciliana della prima metà del XIX secolo tra i quali Giovanni Agostino De Cosmi, Paolo Balsamo, Gaspare Palermo, Domenico Scinà, Niccolò Palmeri, Vincenzo Tineo.
Dalla metà degli anni venti dell’800 alcune criticità cominciarono, però, a minare l’esistenza stessa dello stabilimento fino a provocarne la definitiva chiusura. Alle difficoltà di approvvigionamento della carta a costi sostenibili si aggiungeva la cronica mancanza di liquidità. Il privilegio della privativa, nei fatti, non assicurava l’autosufficienza finanziaria, perché le amministrazioni regie dilazionavano i pagamenti dovuti e i crediti della Stamperia lievitavano in misura esponenziale. Inoltre, anno dopo anno si generava uno squilibrio crescente tra copie tirate ed esemplari effettivamente venduti con la conseguente formazione di oltre centomila testi in giacenza. Infine, al ribaltamento del quadro politico-istituzionale post Restaurazione, che aveva portato alla cancellazione del regno di Sicilia, fino a quel momento con pari dignità rispetto a quello di Napoli, corrispose il radicale mutamento dei rapporti tra la capitale partenopea e l’Isola con le conseguenti implicazioni sul suo apparato politico e amministrativo, Stamperia palermitana inclusa.
Le ultime opere pubblicate – componimenti lirici di poche pagine – recano la data del 1851.