La storia della storia dell’alimentazione in Sicilia (XIV -XIX SEC.)
Trasselli e la scuola dell’Annales
La storia dell’alimentazione in Sicilia non ha un percorso lineare: procede dalla legenda, alle indagini quantitative, alla riflessione sui ricettari e sulle ricostruzioni dei diversi livelli di approccio del consumo alimentare collegato all’appartenenza sociale. Tenteremo in questa sintesi di esporre il percorso seguito in questi anni per cercare di dipanare il filo di Arianna di questa ricerca e di proiettarci verso un approccio più complessivo al tema.
Un nuovo approccio alla storia dell’alimentazione in Sicilia lo ha dato Carmelo Trasselli dal suo tavolo soffocato dalle carte e dai libri nella sua stanza di Soprintendente archivistico affacciata sul corso Vittorio Emanuele. Gli incontri con Fernard Braudel, Maurice Aymard e Henri Bresc della scuola francese degli Annales hanno veicolato nella sua fervida mente nuovi percorsi di ricerca riguardanti la civiltà materiale, la storia del quotidiano con tutte le sue implicazioni.
Uno dei temi che Trasselli dibatte con Braudel al tavolo della trattoria “Ngrasciata” in via Tiro a Segno è quello della storia dell’alimentazione siciliana che, secondo lui, deve essere spogliata da tutte le legende che la caratterizzano con l’individuazione di un percorso di ricerca che permetta di ricostruire i percorsi dell’evoluzione del consumo alimentare, utilizzando le fonti archivistiche spesso trascurate o sottoutilizzate. Si decide che si deve avviare in primo luogo una ricerca quantitativa sulla realtà dell’alimentazione siciliana utilizzando realtà documentali spesso trascurate: la contabilità dei monasteri, i contratti di lavoro, i calmieri destinati a regolamentare i prezzi nei mercati cittadini, i contratti notarili.
L’optimum medievale
Inizia da quel momento una collaborazione intensa con Aymard, Bresc e Trasselli che ha la sua sponda nella Scuola Francese di Roma, la quale mette a disposizione per la pubblicazione dei risultati della ricerca la sua rivista Melange del’école française de Rome. L’approccio è legato all’esame delle fonti archivistiche che permettono di avere una visione quantitativa della produzione delle risorse alimentari sia della loro distribuzione nei mercati, sia del loro consumo.
Il primo risultato si ha con il corposo articolo a firma congiunta di Aymard e Bresc dal titolo “Nourritures et consommation en Sicile entre XIV et XVIII siècle” (t. 87 – 1975-2). Il quadro che emerge è che la Sicilia del medioevo si trova dal punto di vista alimentare in una felice condizione: un’isola con una bassissima pressione demografica (circa 350.000 abitanti nel medioevo, bisogna aspettare il 1570 per raggiungere 950.000 residenti nell’isola); disponibilità di grano per la panificazione legata alla coltivazione ampiamente diffusa del frumento; presenza sul mercato della carne sia per la disponibilità della cacciagione sia della carne vaccina e dei maiali allevati in mandrie allo stato brado; produzione diffusa del vino. Una situazione che cambia nel corso dei secoli successivi. Il ‘500 segna il discrimine e si accentua la frattura tra l’alimentazione ricca dei nobili e dei “burgisi” e quella sempre più povera del resto della popolazione.
Sul tema del consumo della carne sempre sullo stesso numero di MEFRM è stato pubblicato l’articolo di Antonino Giuffrida “considerazioni sul consumo della carne a Palermo nei secoli XIV e XV”. Confrontando la flessione dei prezzi della carne che ha caratterizzato la fine del secolo XIV e il primo trentennio del secolo XV, con il coevo persistere di alti salari, appare evidente che anche i “poveri” possono permettersi la carne come uno dei principali componenti del pasto quotidiano.
Evoluzione della ricerca
Ovviamente questi studi non ci dicono nulla sull’evoluzione della storia dell’alimentazione vera e propria: quale sono le pietanze che vengono servite a tavola; quali sono gli usi alimentari delle diverse classi sociali; come sono attrezzate le cucine; il ruolo dei maestri cuochi; la circolazione dei ricettari; le influenze delle diverse tradizioni culinarie sulla realtà siciliana; la conoscenza delle ricette.
Giovanni Rebora dell’Università di Genova affronta questo tema della storia dell’alimentazione e, in particolare, sulla necessità di cominciare a studiare i superstiti libri di ricette per leggere le linee di sviluppo delle singole realtà regionali. Rebora sintetizza le sue ricerche su questo filone di ricerca della storia dell’alimentazione nel volume, “la cucina medievale italiana tra oriente e occidente”, Genova 1966. Un volume introvabile nel quale, oltre alla trascrizione di diversi manoscritti che contengono ricette, si fa una riflessione sulla migrazione della cultura alimentare dall’oriente verso l’occidente. Uno spostamento che comporta un adattamento della preparazione ai prodotti delle nuove realtà regionali o delle nuove piante che vengono dal nuovo mondo. Un esempio la rivoluzione introdotta nel piccante data dalla coltivazione del peperoncino che permette di potere lavorare per la realizzazione di ricette che l’elevatissimo costo del pepe rende impraticabile al di fuori delle cucine dei palazzi nobiliari. Per la disponibilità del peperoncino in cucina basta un vaso sul davanzale dove coltivarlo insieme al basilico e al rosmarino.
Il Rebora conclude le sue riflessioni affermando:
La cucina italiana del basso medioevo si presenta dunque come un’elaborazione originale di differenti apporti dall’Europa Nord Occidentale e dall’Oriente, innestati sulla cultura locale preesistente, colta o popolare.