La storia moderna per la Public History: verso la seconda conferenza AIPH
Dalla fine di aprile è on line, nel sito dell’Associazione Italiana di Public History, il programma della seconda conferenza nazionale di Public History (Pisa, 11-15 giugno). Il numero dei partecipanti, la varietà delle provenienze geografiche e professionali, dice molto dell’entusiasmo che questa disciplina sta suscitando.
Rispetto alla prima conferenza AIPH (Ravenna 2017), la presenza di storici modernisti è senz’altro più consistente: da Paolo Militello, che interverrà su un itinerario culturale attraverso ex voto tra Sicilia e Malta, ad Annastella Carrino, che coordinerà un panel sulle sfide alla storiografia del fenomeno neoborbonico; da Luigi Cajani, con un intervento sulla didattica della storia, a Silvia Mantini, che presenterà un lavoro di ricostruzione e recupero del patrimonio scomparso a L’Aquila. Matteo Al Kalak parteciperà con una comunicazione su beni culturali e heritage, mentre Antonino De Francesco, direttore del master dell’Università di Milano in Public History, coordinerà un panel sul ruolo della storia nella vita pubblica. Sarà presente anche Elena Riva, sul tema degli eventi calamitosi tra storia e memoria, mentre chi scrive si colloca all’interno di un gruppo di lavoro sui processi di musealizzazione per la valorizzazione del patrimonio culturale.
A poco più di un anno dalla nascita di AIPH la storia moderna è stata dunque capace di cogliere con convinzione – come l’ultima Assemblea SISEM, Perugia 19-21 aprile 2018, ha dimostrato – le sfide della public history, mostrando un ventaglio ampio di temi e proposte emersi del resto anche dal censimento delle pratiche di public history promosso da AIPH e al quale SISEM ha assicurato piena collaborazione. Censimento nel quale si segnala, per esempio, il lavoro di Saverio Russo sulla pianificazione territoriale in Puglia legata al piano di assetto dei tratturi, o l’insegnamento di Aurelio Musi (Descrivere la modernità) all’interno del master già ricordato, per non parlare del Laboratorio di Public History dell’Università di Macerata di cui è coordinatrice Sabina Pavone. Non troppo tempo fa Angelo Torre sottolineava l’estraneità degli storici alla costruzione della nozione di patrimonio e a ricerche e questioni di rilevante interesse pubblico (“Quaderni Storici”, 3, 2015): la public history è servita a far affiorare il lavoro di molti, e ad indicare altre prospettive comuni su temi strategici, che chiamano in causa la responsabilità civile degli storici tutti verso una pluralità di pubblici e verso una diffusa domanda di storia.
Mentre scrivo è in corso la revisione di un Manifesto di Public History che dovrà essere varato a Pisa. Anche sulla base delle sollecitazioni ricevute a Perugia dalla comunicazione di Walter Panciera ho ritenuto di suggerire agli estensori della bozza di Manifesto un’inclusione della scuola e della didattica della storia come campo primario di riflessione e di pratiche della public history. Molte criticità sono ancora aperte, nonostante sul tema public history si stia depositando copiosa letteratura: penso principalmente alla definizione stessa di public history, e alla difficoltà di individuare una programmazione universitaria, se è vero che all’università spetta e spetterà il compito di formare i public historians. È un tema di grande attualità e sul quale si stanno misurando diversi Atenei: non è affatto semplice un ripensamento della formazione universitaria alla luce di un tema cruciale quale la spendibilità di competenze storiche sul piano professionale.
La public history ci offre altre importanti sfide: tra tutte, quella del confronto più serrato e rivitalizzato fra università e una pluralità di comunità di riferimento, nella fiducia che le specifiche competenze storiche possano essere impiegate per lo sviluppo culturale e sociale dei territori e del Paese e quella di contribuire alla costruzione di cittadinanza attiva e di coesione sociale.
Sta a noi non eluderle.
Aurora Savelli
(Rappresentante SISEM nel Comitato Scientifico di AIPH)