La strana morte del colonnello Mario Ferraro, agente del Sismi – Parte seconda
[…] Ma il timore di essere ucciso, lo aveva manifestato lo stesso Ferraro. In una lettera-memoria rinvenuta nella sua abitazione e diffusa il 18 agosto dal TG3, il Ferraro rappresentava l’esistenza, all’interno del Sismi, di un duro scontro facendo riferimento ad una missione a Beirut che un suo superiore, Bruno Boccassin, gli aveva chiesto di compiere con la massima segretezza.
Si legge in alcuni passi della lettera resi noti dal TG3 : Francamente che qualcosa non andava o perlomeno che l‘operazione non era fine a se stessa lo avevo percepito mentre il buon Boccassini mi dava l’incarico. Era imbarazzato, rosso in viso (sono i classici sintomi di quando uno dice una bugia) occhi e sguardo abbassati. Anche Armando Fattorini dice che sto facendo una cazzata e che Boccassini gli aveva detto espressamente che ormai mi aveva utilizzato per quello che doveva e che quindi era giunto il momento di disfarsene, usa e getta, è questo il motto che Boccassin avrebbe detto ad Armando Fattorini consigliandolo di fare altrettanto… Speriamo che non torni con i piedi avanti. Ad Armando Fattorini era rimasto impresso il tono e la freddezza con cui (Boccassini) aveva detto questa frase, come se lo dava per scontato e senza preoccuparsi… Come fa uno come Boccassini servendosi di me a far fuori un uomo così…(si riferisce all’uomo di Beirut).
Armando Fattorini era il capocentro a Fiumicino, Bruno Boccasin era il capo della divisione di cui faceva parte Ferraro. Sempre il TG3, nel corso del servizio di cui si è detto, rendeva noto che sul passaporto diplomatico del colonnello Ferraro c’era un visto per Beirut del 1986, ipotizzando che la lettera-memoria potesse essere stata scritta prima di quella missione. Da questa lettera sembrerebbe doversi dedurre che il Ferraro aveva il sospetto che lo si volesse mandare a Beirut per disfarsi di lui. Venne rinvenuta anche, nella abitazione di Ferraro , una polizza sanitaria stipulata con la compagnia INA, in relazione alla quale dava precise disposizioni esprimendo il desiderio che l’importo fosse devoluto a Maria Antonietta Viali, la compagna.
Ma i dubbi sulle modalità e sulle cause della morte del colonnello Ferraro si acuirono a seguito delle quattro perizie disposte dalla Procura le cui risultanze apparirono sotto certi aspetti in contrasto tra loro dando così luogo a molti interrogativi. Le risultanze della autopsia conclusero infatti per un decesso perfettamente compatibile con il suicidio non rilevando inoltre segni di violenza sul cadavere. La morte era intervenuta per strangolamento.
La dottoressa Del Vecchio, che seguì l’autopsia dichiarò: “Tutti i testi di medicina legale contemplano la possibilità che una persona si tolga la vita con quel sistema . Ci sono stati anche casi di individui che si sono uccisi passando la corda attorno alla maniglia della porta” Anche la consulenza tossicologica escluse la presenza di sostanze esterne. A conclusioni diverse pervennero invece le analisi istologiche e il confronto meccanico. Quest’ultimo stabilì che la cintura dell’accappatoio, utilizzata dal Ferraro per impiccarsi, non poteva sopportare un peso superiore ai cinquanta chili. Il peso di Ferraro, che era di 86 chili, avrebbe certamente divelto dal muro le quattro viti che tenevano fissato l’appendi asciugamano alla parete del bagno cosa che non si verificò dato che il Ferraro venne rinvenuto seduto per terra con la cintura dell’accappatoio attaccata ad una staffetta di ottone a poco più di un metro di altezza.
La perizia istologica poi rilevò attorno al collo due segni distinti: uno rossastro e l’altro bianco il che induceva il sospetto che i due segni potessero essere stati provocati da strangolamenti effettuati in tempi diversi. Durante una delle perquisizioni effettuate nell’appartamento dell’agente segreto venne inoltre rinvenuto un volume, sottolineato in più parti, laddove l’autore parla di “strani suicidi o incidenti”. In proposito un inquirente sottolineò che la cosa potesse fare riferimento a “Suicidi che possono sembrare omicidi”, così propendendo per la tesi che la morte del Ferraro fosse da attribuire ad una volontà suicida dello stesso. Ma può osservarsi, guardando la cosa da una diversa angolazione, che invece le sottolineature volessero fare riferimento a omicidi che possono sembrare suicidi.
Un’altra stranezza è quella che emerse dall’esame dei tabulati telefonici del cellulare in uso al Ferraro dai quali risultò che per un intero mese e cioè dal 16 giugno fino al giorno della morte, il Ferraro non aveva fatto o ricevuto nessuna telefonata. Circostanza questa, per ammissione degli stessi inquirenti “inverosimile” e in contrasto con quanto sostenuto dalla compagna del Ferraro secondo cui nei tabulati non vi era più traccia delle numerose telefonate che lei faceva al compagno o che lui effettuava o riceveva talvolta anche in sua presenza. I tabulati erano stati ripuliti? E da chi? Forse per eliminare contatti imbarazzanti per i Servizi? Nessun approfondimento di indagini avvenne sul punto.
Nel febbraio del 1996, allorquando l’inchiesta sulla morte dell’agente dei servizi si avviava alla conclusione, Maria Antonietta Viali, come si è detto compagna del Ferraro, denunciava ai carabinieri che durante la sua assenza qualcuno era entrato nell’appartamento frugando sulle sue cose. In particolare, sentita dai pubblici ministeri, la Viali affermava che ,allorquando si era apprestata ad aprire la porta dell’appartamento, aveva notato che la serratura non era fissata bene come se qualcuno l’avesse prima scardinata e poi nuovamente sistemata al suo posto per nascondere il fatto che qualcuno si era introdotto in casa. Affermava ancora di avere avuto la sensazione che anche la finestra che si affacciava sul terrazzo fosse stata aperta e di avere notato che i suoi oggetti personali, pur essendo stati trovati al loro posto, non apparivano più sistemati nell’ordine con il quale li aveva lasciati.
Nell’aprile aprile 1996 pervennero delle minacce ai sostituti Cesare Martellino e Nello Rossi, che come si è detto, indagavano sulla morte del Ferraro. Tra il primo e il due aprile infatti venne lanciata una bottiglia incendiaria sul balcone della abitazione di Martellino e due giorni dopo perveniva al sostituto Nello Rossi una lettera anonima del seguente tenore : “Se non la smettete di indagare su Mario Ferraro, farete una brutta fine”. La busta conteneva all’interno della polvere pirica.