La toponomastica tra storia e memoria
Non tutti sanno che le scelte toponomastiche dei comuni italiani sono regolate da una legge del 1927, che definisce un sistema normativo rigoroso in una materia, peraltro assai poco conosciuta, e che pure influenza l’immagine delle nostre città, incidendo non poco sul paesaggio emotivo delle comunità locali, che ogni giorno frequentano o attraversano citazioni a date e personaggi di cui spesso ignorano le vicende. Una legge non ancora troppo influenzata da esasperazioni fasciste che assegnò ai Prefetti la scelta definitiva sulle intitolazioni di strade, piazze, ma anche di scuole o spazi pubblici, su cui Comuni, anche su sollecitazione di singoli o di gruppi, formulano proposte .
Un sistema antico, collaudato e diffuso non solo in Italia, quello di intitolare gli spazi pubblici a personaggi celebri, cui probabilmente solo negli Stati Uniti è preferito un diverso metodo, quello di numerare progressivamente strade e piazze, a conferma di un diverso rapporto da parte di paesi di più recente formazione con la storia e la memoria. Metodo a parte, l’esigenza è quella di ricercare il criterio migliore per scegliere dei personaggi da celebrare, non tanto e non solo sulla base di eroismi o virtù esemplari (le strade non sono altari) quanto sulla scorta della prevedibile resistenza di tali culti nel tempo e dell’opportunità di attribuire ad un nome o ad una data una funzione simbolica che sia identificabile con chiarezza, regga alle passioni di un momento e possa essere accettata dalle comunità preferibilmente per più generazioni.
Ed è là che sono sempre nate le controversie: è evidente infatti che ogni grande passaggio storico trascina con sè glorie e simboli, molti dei quali non reggono alla dura legge della consunzione temporale e si lasciano deporre senza che si crei alcun trauma nelle comunità. Ma è pur vero che nel corso dei decenni, specie nella società attuale, rapida e spietata nel creare ma anche nel demolire, molti degli stereotipi collettivi si sono dissolti al sole sia per il prevalere di culture diverse che per l’insofferenza sempre più diffusa per le apologie delle guerre (storicamente fonte assai ricca per miti e altari laici) ma anche per la rapidissima capacità contemporanea di operare rimozioni delle vicende del passato. Ma come muoversi allora?
Da oltre dieci anni sono chiamato ad esprimermi, per conto della Società Siciliana per la Storia Patria, su ogni nuova intestazione e su ogni variazione che i Comuni di alcune provincie dell’isola approvano. Un parere obbligatorio ma non vincolante, previsto dalla stessa legge del 1927, che chiede alle Deputazioni di Storia Patria di valutare le proposte dei comuni, sulla base delle loro competenze storiche.
Non sono stati pochi i casi difficili e talvolta le querelles hanno assunto toni duri, soprattutto per i casi di sostituzione di taluni nomi del passato, sui quali il dibattito è caldo e controverso e che ovviamente impongono particolare prudenza. E non certo per conservatorismo di chi deve esprimersi, quanto per alcune considerazioni di fondo, che provo a ribadire ad ogni passo:
- Le comunità locali non possono essere obbligate a subire solo ed esclusivamente miti (sovente discutibili) imposti dall’alto, eroi di guerre che sarebbe stato meglio non fare, letterati dimenticati o simboli di culti rimossi;
- Devono essere affiancati ai riferimenti nazionali quelli di personalità locali care alla memoria della gente, che ne incontra quotidianamente i nomi nel corso della propria vita, andando al lavoro, a scuola, spesso associando tali riferimenti a familiari o a frequentazioni antiche e care;
- La rimozione dei nomi è argomento delicato e può urtare le suscettibilità di qualcuno: indispensabile adottare estrema attenzione, accettando di sostituire senza indugi solo quelle icone certamente negative, quelle sicuramente cassate da ogni pantheon locale o nazionale;
- La toponomastica è inevitabilmente uno strumento con il quale la cultura dominante ha la possibilità di diffondere miti e ideologie: si badi bene che nel corso di sommosse o rivoluzioni le prime vittime sono le effigi dei sovrani o dei leader deposti, dei quali la rabbia popolare ha imposto la tempestiva rimozione sulle strade o sulle piazze. E’ pure vero che dopo tali rivoluzioni il nuovo ordine tende troppo spesso a rimuovere ogni traccia del passato, talora infierendo su frammenti marginali e ininfluenti della storia. Dopo l’unificazione d’Italia, ogni borgo della penisola vide una inflazione di personaggi sabaudi o di figure eroiche francamente secondarie, mentre, per fare un esempio, fu più lieve, anche a ragione del risultato non travolgente della repubblica al sud: la rimozione delle tracce dell’Italia risorgimentale, care a molti e soprattutto ormai consolidate nell’immaginario emotivo anche a causa del lungo tempo di metabolizzazione.
Difficile affidarsi pertanto a leve diverse dal buon senso nell’analizzare proposte di variazioni: a Palermo, nel cuore della città vecchia, i Quattro Canti sono ufficialmente dedicati al Marchese di Vigliena, Vicerè di Sicilia all’atto della realizzazione del magnifico quadrilatero, ma anche personaggio di per sè secondario nella scena del seicento siciliano, esattamente come il Marchese di Regalmici, cui è dedicato un altro incrocio centralissimo. Malgrado non si tratti di pilastri della storia di Sicilia, appare impensabile rimuoverne i nomi dopo tre secoli.
Più volte, sull’onda di profondi e sentitissimi traumi collettivi legati ad eventi terribili, come le stragi del 1992, si è pensato di dedicare ai Giudici Martiri assi stradali o piazze principali di Sicilia. In qualche caso si è, credo saggiamente, optato per proporre altre e non meno elevate celebrazioni, lasciando in pace i vecchi nomi, frequentati da tante generazioni di palermitani, al di là della marginalità della vicenda storica che raccontano.
Altro elemento di riflessione è l’opportunità di attendere senza fretta: la legge prevede, in linea di principio, che siano passati dieci anni dalla morte prima di procedere ad una intitolazione: un periodo che oggi, nell’epoca del santo subito, pare enorme, e che probabilmente è, al contrario, persino insufficiente, considerata l’opportunità di osservare le imponderabili conseguenze nel tempo di talune esaltazioni immediate.
Non mancano, ahimè, le proposte di intitolazioni di luoghi pubblici alla memoria di degnissime persone vittime di sventure o di strazianti incidenti (ferite che non dovrebbero riguardare l’intera comunità) per non parlare delle idee bislacche di taluni amministratori che chiedono di dedicare piazze a film celebri per una stagione, abolendo di colpo secolari devozioni. Difficile in questi, per fortuna rari, casi non farsi prendere dall’imbarazzo.
Una considerazione finale: non mancano i casi di toponimi che le comunità espellono da sole, come corpi estranei: provate a chiedere a un palermitano dove siano Corso Finocchiaro Aprile o Piazza Verdi. La povera Olivuzza è la leggendaria titolare di un’osteria del passato – continua a prevalere sulle scelte delle amministrazioni sul buon Finocchiaro Aprile, esattamente come nessuno rinuncerà a chiamare Piazza Massimo (che non esiste) la sconosciuta Piazza dedicata al grande Verdi.