La vera storia di Tommaso Buscetta
Il documentario La vera storia di Tommaso Buscetta, andato in onda su LA7, pur ponendo in evidenza alcuni aspetti del personaggio certamente rispondenti al vero anche se enfatizzati, tuttavia, come spesso accade nei media in questi casi, ne ha evidenziato soltanto gli aspetti positivi omettendo di soffermarsi su quelle ombre che pur lo caratterizzano e che pure esistono come può sostenere, senza tema di smentita, chi scrive che, quale componente in quegli anni del pool antimafia costituito presso la Procura della Repubblica di Palermo, Buscetta lo ha conosciuto ed interrogato più volte sia in Italia che all’estero unitamente agli allora giudici istruttori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Quando nel documentario si parla della sua permanenza in Brasile a Rio e del suo incontro con la sua futura moglie Cristina Guimares, il tutto circondato da un alone romantico, non si fa riferimento ai gravi crimini da lui commessi in quel Paese.
Molto si è detto sui motivi che indussero Buscetta a collaborare con la giustizia italiana. Molto semplicemente la decisione di collaborare fu determinata da banali motivi di vendetta e dalla necessità di salvare la propria vita. Scatenatasi la cosiddetta guerra di mafia, gli avversari, per stanarlo, gli avevano ucciso numerosi congiunti tra cui i figli torturati e sciolti nell’acido.
Egli inoltre, mafioso di vecchio stampo, non si riconosceva più, a suo dire, nella mafia emergente dei corleonesi che non rispettava più le tradizionali regole della organizzazione. Si era quindi prefisso di distruggere la “nuova mafia” e di vendicarsi dei tanti lutti subiti, obiettivi che ritenne di potere conseguire rivolgendosi alla Giustizia dello Stato. Nessuna motivazione morale quindi alla base della sua decisione di collaborare con la Giustizia come d’altronde poco credibile appare questo suo volere rivendicare l’esistenza di una mafia etica in contrapposizione ad una mafia che, degenerando, quei valori avrebbe dimenticato.
Non si può certo dire che ci si trovi in presenza di quella che il documentario pretenderebbe essere la vera storia di Tommaso Buscetta dato che, se così fosse stato, non si sarebbero dovuti omettere quegli aspetti negativi che hanno caratterizzato la sua personalità criminale.
Ed infatti Buscetta, le cui attività illegali iniziarono fin dall’adolescenza, nel 1945 venne affiliato alla cosca mafiosa di Porta Nuova. Nel 1956, tornato a Palermo dal Brasile, si associò ai mafiosi Angelo la Barbera e Salvatore Greco e altri mafiosi tra cui l’allora capo della mafia Gaetano Badalamenti dedicandosi al contrabbando di sigarette e al traffico di stupefacenti.
Nel 1958 venne arrestato per associazione a delinquere siccome inserito in una associazione facente capo a grossi fornitori di stupefacenti. Nel 1968 venne condannato in contumacia a dieci anni di carcere per associazione a delinquere e venne assolto per insufficienza di prove per la strage di Ciaculli della quale era stato sospettato. Nel 1972 venne arrestato dalla polizia brasiliana ed estradato in Italia, dove, rinchiuso all’Ucciardone, venne condannato alla pena di dieci anni di reclusione per traffico di stupefacenti. Nella perquisizione effettuata in un deposito blindato di sua pertinenza, la polizia brasiliana rinvenne eroina pura per un valore di 25 miliardi di lire dell’epoca.
Nel 1980 riuscì ad evadere dal carcere delle Nuove, approfittando della concessione della semilibertà, trovando quindi rifugio nella villa dell’esattore Nino Salvo, sotto la protezione di Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo. Si era in piena guerra di mafia e questi ultimi volevano convincerlo a schierarsi dalla loro parte per uccidere Totò Riina.
In Brasile, la polizia di Rio de Janeiro lo indicò come uno dei capi della nuova mafia dove, secondo fonti di informazione, avrebbe assunto la guida di una organizzazione di trafficanti di stupefacenti. La polizia brasiliana sospettò che avesse partecipato a due omicidi avvenuti nello Stato di Rio de Janeiro, omicidi legati al mondo del traffico di stupefacenti.
Nel luglio del 1982 infatti, in un appartamento di Capocabana, venne ucciso Remè Salinas, boliviano, accusato di avere tradito i compagni in un grosso affare di cocaina. Il 2 agosto poi, nella località di Resende, durante un festa in un appartamento fu uccisa Marina Marques de Alvarenga, di 14 anni, probabilmente per avere rifiutato di iniettarsi stupefacenti. In entrambi i casi diversi testimoni avrebbero riconosciuto Tommaso Buscetta tra gli assassini. Lo stesso De Gennaro, allora dirigente della Criminalpol, nel corso della trasmissione andata in onda sulla 7,ha affermato che Buscetta una serie di reati commessi non li ha mai ammessi.
E quando nel documentario parla della sua permanenza in Brasile a Rio e del suo incontro con la sua futura moglie Cristina Guimares, il tutto circondato da un alone romantico, non si fa riferimento ai gravi crimini da lui commessi in quel Paese. Ed ancora, quando dalla Commissione antimafia gli venne chiesto di riferire quante persone avesse ucciso da quando era affiliato alla mafia rispose “ Io non posso rispondere a questa domanda perché la legge italiana non mi permette di rispondere”.
Non si capisce cosa volesse dire con ciò. Soltanto alla moglie avrebbe ammesso di avere ucciso ma ciò mai ha confessato ai giudici nel corso della sua collaborazione, il che pone certamente dei dubbi sulla sincerità della sua stessa collaborazione.
Buscetta inoltre ha sempre negato di essere un trafficante di stupefacenti, reato per il quale venne raggiunto da un mandato di cattura richiesto da chi scrive allora sostituto procuratore della repubblica a Palermo e per questo estradato dal Brasile in Italia.
In realtà ci si trova in presenza di un documentario che pone in luce, in maniera quasi agiografica soltanto gli aspetti positivi inerenti la sua vita privata e la sua collaborazione con l’autorità giudiziaria, collaborazione che indubbiamente fu importante, facendone quasi un eroe o un vero e proprio mito. In realtà non bisogna dimenticare che ci si trova in presenza di un criminale che non certamente per motivi morali decise di collaborare con i giudici ma che ciò decise, di fare, come si è detto, per vendetta nei confronti di quella organizzazione mafiosa della quale egli stesso aveva fatto parte e che gli aveva ucciso numerosi familiari tra cui i figli, perdita che per lui, come riferito dalla figlia nell’intervista, era stata terribile: una parte di lui era morta con loro. In altri termini per realizzare la sua vendetta Tommaso Buscetta anziché servirsi della lupara si servì di un’arma diversa e cioè della Giustizia dello Stato. Questo è Tommaso Buscetta, niente di più o di meno.
Non vi è dubbio quindi che nella vita di Buscetta vi sono ombre che rendono meno limpida la sua collaborazione con la giustizia e la fanno apparire meno sincera. Lo stesso presidente della Commissione parlamentare antimafia, Ottaviano Del Turco, appresa la notizia della morte dichiarò che Buscetta “è stato un pentito a rate, prima importante e poi sempre meno credibile”. Ed ancora: “Il valore della collaborazione di Buscetta, un mafioso che ha spacciato droga e ammazzato, rimane limitata al fatto che contribuì alla scoperta dell’assetto militare della mafia.
Ma poi, da quando decise, anni dopo, di iniziare la seconda rata della collaborazione, ha avuto difficoltà ad essere credibile”. Tutto questo avrebbe dovuto anche porre in luce il documentario di cui trattasi se veramente, con obiettività, avesse voluto raccontare “la vera storia di Tommaso Buscetta”.