L’America e il fascismo nello specchio della stampa statunitense
«Fu tra i 1900 e il 1915 che i giornali americani scoprirono l’Europa», così esordisce Mauro Canali nell’introduzione al suo importante volume, La scoperta dell’Italia. Il fascismo raccontato dai corrispondenti americani, (Venezia, Marsilio, 2017) pubblicato dalla casa editrice Marsilio. Fu difatti in quel periodo che piccoli gruppi di corrispondenti americani si avvicinarono all’Europa per raccontarne la crisi che l’avrebbe condotta allo scoppio della Grande Guerra. Gli eventi bellici, l’intervento degli Stati Uniti nel conflitto e i lavori della conferenza di pace non fecero altro che accresce questo flusso di corrispondenti che videro nell’Europa la terra dei propri antenati e una opportunità per affermarsi come scrittori. La storia però che Canali mira a raccontare non riguarda l’Europa nel suo insieme ma l’Italia, che nel suo piccolo riscosse grande successo agli occhi dei corrispondenti americani. Ad attirare l’attenzione dei giornalisti d’oltreoceano furono le vicende del cosiddetto “biennio rosso” che spinsero le testate americane a presentare l’Italia come un paese in piena crisi, ormai alla vigilia di una inevitabile rivoluzione. Quando, poi, il movimento fascista iniziò a muovere i suoi passi, i giornalisti americani iniziarono a presentarlo come il “partito” politico che avrebbe salvato l’Italia dal sicuro declino: l’unico in grado di impedire che il paese precipitasse in un «turbine caotico di comunismo e disastri finanziari», scrisse Kenneth L. Roberts sul Saturday Evening Post.
Dei giornalisti e scrittori che videro nel fascismo un movimento politico espressione di una legittima reazione contro il pericolo incombente della rivoluzione bolscevica, Canali porta esempi significativi. Fra questi, il giudizio che attrae certamente maggiore attenzione è quello che Ernst Hemingway diede di Mussolini nel giugno 1922, quattro mesi prima della marcia su Roma. Lo scrittore descrive Mussolini come un patriota «che aveva organizzato i fascisti, vere truppe d’assalto anticomuniste, quando aveva capito che i frutti della vittoria italiana nella guerra rischiavano di essere messi in pericolo dall’onda sovversiva che aveva investito il paese» (p. 91). Hemingway, dunque, almeno inizialmente, legittima a pieno il movimento fascista e il suo condottiero. Canali, però, rivela che solo pochi mesi dopo, nel gennaio 1923, lo scrittore avrebbe rinnegato il suo precedente giudizio su Mussolini. Al di là di questo deciso cambiamento di giudizio, è importante sottolineare come l’autore riesca a ricostruire, nel corso del libro, il vasto consenso ottenuto da Mussolini presso i corrispondenti statunitensi, che giunsero nella penisola proprio per intervistare il Duce d’Italia e finirono per tratteggiare un ritratto apologetico: il profilo era quello di un uomo che era riuscito a salvare un popolo dall’anarchia. Gli esempi riportati sono molteplici: dal New York Times, in cui Isaac F. Marcosson giunse a paragonarlo a Theodore Roosevelt, al Chicago Daily News, definito da Edward Price Bell come «una sovrumana dinamo umana» (p. 10), a vere e proprie esaltazioni come nel caso di Lincoln Steffens che nella sua autobiografia, del 1931, definì Mussolini come il «divino dittatore» (p. 10).
Il quasi idilliaco rapporto del Duce con la stampa d’oltreoceano iniziò a vacillare con la campagna d’Etiopia. Quest’ultima rappresentò, secondo l’autore, un vero e proprio spartiacque per l’opinione pubblica americana divisa tra chi sosteneva la campagna d’Africa italiana, ad esempio Webb Miller inviato ad Asmara, e chi invece riconosceva un gesto di aggressione ingiustificabile a livello internazionale – sarà, questo, il caso di Ruth Ricci, che propose vari articoli di «sdegno nei confronti del Duce, dell’Italia, della campagna e anche degli italiani» (p. 317).
Lo sviluppo ulteriore di questo rapporto sarà segnato da un giudizio completamente (e definitivamente) negativo quando Mussolini si imbarcò nell’avventura dell’asse con la Germania di Hitler e promulgò, nel 1938, le leggi razziali. I corrispondenti americani iniziarono a denunciare il carattere totalitario del regime fascista e di conseguenza molti vennero espulsi dal territorio italiano. Non mancarono casi di camaleontismo, ad esempio quello di Herbert L. Matthews, giornalista del New York Times che, inizialmente favorevole al fascismo, dopo il 1939 rinnegò le sue precedenti posizioni in favore di una aperta critica al regime mussoliniano.
Il volume di Canali, in conclusione, fornisce un interessante punto di vista sia sulla propaganda che il regime mise in atto, nel volume l’autore si sofferma accuratamente sulla questione della propaganda all’estero, sia sull’iniziale posizione dei corrispondenti americani che mostrarono, come si è potuto vedere, una fascinazione per Mussolini nata molto prima della costruzione della macchina propagandistica di regime. Forse un “limite” del libro risiede nella bibliografia utilizzata per alcuni argomenti. Nel capitolo riguardante la guerra d’Etiopia, che segna come detto lo spartiacque per l’opinione pubblica americana, vengono utilizzati dei testi, per così dire, desueti che non rendono la complessità diplomatica della questione della campagna d’Africa. Recentemente le ragioni che portarono il regime ad intraprendere la conquista dell’Etiopia, la risonanza internazionale della campagna e le difficoltà diplomatiche che conseguentemente ne derivarono, anche con gli Stati Uniti e la loro opinione pubblica, sono state poste al vaglio di nuovi studi che rendono più chiara la politica fascista in relazione al Corno d’Africa. Si pensi, ad esempio, al lavoro di Matteo Dominioni, Lo sfascio dell’Impero. Gli italiani in Etiopia, o al recente volume di Eugenio Di Rienzo, Il gioco degli Imperi. La guerra d’Etiopia e le origini del secondo conflitto mondiale. La scelta di non prendere in considerazione questi lavori viene, probabilmente, per Canali, dalla volontà di circoscrivere l’argomento alla questione della sola propaganda, rendendo chiaro e lineare il tema trattato, e concentradosi su come i “corrispondenti a Stelle e Strisce” vedevano le aspirazioni coloniali italiane.
Il volume, dunque, basato su fonti solide d’archivio, come l’Archivio centrale dello Stato o l’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, e sullo spoglio di numerosi quotidiani dell’epoca, riesce a fornire un’originale angolo di visuale del tutto inedito che getta luce su un’interessante frammento della nostra storia.
La scoperta dell’Italia. Il fascismo raccontato dai corrispondenti americani
Mauro Canali
Editore: Marsilio
Collana: I nodi
Anno edizione: 2018
Pagine: 496 p., Brossura
EAN: 9788831727563 € 20