Il letto racconta
Ruolo e significato di un’invenzione medievale
Odissea, libro ventitreesimo
Ulisse viene messo alla prova da Penelope, che gli chiede di spostare in un’altra stanza il letto nuziale: una verifica sull’identità di questo sconosciuto ritornato fisicamente irriconoscibile dopo anni di peregrinazioni.
Il letto, il giaciglio nuziale diventa protagonista di una prova di identità. In questi mesi, durante i quali siamo rimasti chiusi dentro i nostri rifugi, il letto ha assunto una centralità funzionale sulla quale è necessario soffermarsi. Certamente i nostri giacigli non sono intagliati in un tronco di ulivo come quello di Odisseo, non hanno cinghie di cuoio o tavole di legno ma reti metalliche e materassi ma, in ogni caso, assumono un ruolo centrale nel quotidiano da coronavirus.
Intorno al letto gira la nostra vita di affetti, di odi, di dolore, di gioia e per questo ci siamo rallegrati quando Laura Sciascia ci ha proposto una sua riflessione sul “letto” nel medioevo. Leggiamolo e gustiamolo senza fretta.
Ninni Giuffrida
LIT, s. m. (Gram.) meuble où l’on prend le repos pendant la nuit ; il est composé du chalit ou bois, de la paillasse, des matelats, du lit-de-plume, du traversin, des draps, des couvertures, du dossier, du ciel, des pentes, des rideaux, des bonnes-graces, de la courte-pointe, du couvre-pié, &c.
Dalla voce dell’’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert
Il Medioevo, ricordava Umberto Eco all’inizio del suo Dieci modi di sognare il Medioevo, “inventa tutte le cose con cui ancora stiamo facendo i conti, le banche e la cambiale, l’organizzazione del latifondo, la struttura dell’amministrazione e della politica comunale, le lotte di classe e il pauperismo, la diatriba tra Stato e Chiesa, l’università, il terrorismo mistico, il processo indiziario, l’ospedale e il vescovado, persino l’organizzazione turistica”.
All’elenco di Eco si potrebbero aggiungere tante altre cose (una, diciamolo perché tanto ci stiamo pensando, è la peste). Ma quello che più si continua a riutilizzare “come contenitore per porvi qualcosa che non potrà mai essere radicalmente diverso di quel che già vi si stava” è il luogo dove passiamo una buona parte della vita, il luogo del riposo, della nascita, dell’amore, della sofferenza e della morte: il letto. Con la parola “letto”, infatti, si intende ancora oggi un sistema di oggetti volto a rendere il più confortevole il riposo, sistema composto da una struttura portante in genere in legno o in metallo, un piano che oggi consiste in una rete o un sommier, un materasso, una coppia di lenzuola di un tessuto adatto a mantenere fresco e pulito il corpo, coperte per proteggere dal freddo e cuscini. Versione semplificata del sistema già codificato nei primi secoli del secondo millennio, che comprendeva anche un pagliericcio, per isolare il materasso dall’umidità del pavimento, delle cortine e un baldacchino, ciel-de-lit, per proteggere lo spazio del sonno dalla luce e da eventuali spifferi. Accessorio indispensabile erano poi le cassapanche, aiuto indispensabile per salire sul letto, spazio per sedersi, contenitori per la biancheria e persino casseforti(1).
L’iconografia documenta fedelmente e dettagliatamente la realtà dei letti dell’epoca. I dipinti e le miniature che mostrano la nascita della Vergine sono quelli che forniscono i dettagli più vividi, con una precisione che può sfidare qualsiasi fotografia e una vivacità ineguagliabile. La scena dipinta da Giotto a Padova nella cappella Scrovegni (fig. 1) è di potente realismo. La trepidazione e la gioia della donna che tende le braccia verso la neonata, vedendo finalmente realizzato il sogno di una maternità a lungo attesa e desiderata, la sollecitudine della vicina che porta un regalo, l’attenta cura della donna che lava la piccola pulendole il nasino sono perfettamente percepibili, così come perfettamente riconoscibili sono le usuali suppellettili di una camera non fastosa ma agiata. Il letto della puerpera, la sua struttura in legno, la semplice coperta a righe colorate, detta in Toscana celone e in Sicilia chalona, chalonum, charona, cherona, (in origine panno di Chalons, épais, quelquefois doublé de toile, à décor de fines rayures ou échiqueté (2)), il lenzuolo bianco e le disadorne cortine attaccate a una struttura metallica che scende dal soffitto.
Più stilizzata, priva dell’atmosfera di gioia e trepidazione che comunica l’affresco di Giotto, ma ancora più dettagliata, è la stessa scena dipinta da Pietro Lorenzetti nel polittico di Siena (fig. 2). Qui la camera è molto più ricca: la struttura di legno del letto comprende due spalliere, la coperta ha colori molto vivaci, si distinguono nettamente le lenzuola lavorate a strisce, la cortina è elegantemente decorata, così come gli asciugamani, ornati da un sobrio motivo in nero e da frange, e attorno al letto si allineano i cassoni di legno con intarsi, chiusi da robuste serrature.
Nella Nascita della Vergine di Francesco da Rimini, conservata al Musée de Beaux Arts di Losanna (fig. 3), tornano gli stessi elementi: la struttura in legno, le cortine lavorate, la coperta colorata, stavolta a grosse righe zigzag, i cassoni davanti al letto. Unica differenza, il materasso leggermente sollevato dalla parte della testa, per una maggiore comodità della puerpera. Lo ritroveremo, così come ritroveremo la coperta a righe zigzag, sul letto condiviso dalle due madri del Giudizio di Salomone (fig. 3 b), raffigurato in maniera inconsueta in una inquadratura dall’alto.
Mi sono limitata a tre esempi di area tosco-emiliana e risalenti alla metà del Trecento, perché i più vicini, cronologicamente e geograficamente, alla documentazione che citerò in seguito, ma si potrebbero fare tanti altri esempi, lungo diversi secoli e in tutta Europa: è evidente che il sistema del letto è ormai consolidato e universalmente accettato.
Anche in Sicilia questa véritable pyramide, come l’hanno definita i Bresc, démontable mais puissant, très élevé, si impone rapidamente sul letto mobile in uso verosimilmente nell’isola araba dei secoli XI e XII, ereditato dal mondo della Geniza, consistente in un semplice materasso posato su una struttura in legno oppure in muratura, da arrotolare e conservare ogni mattina(3). La struttura in legno era spesso ornata da intagli e intarsi.
La monumentale ricerca di Henri e Geneviève Bresc sulla cultura materiale in Sicilia cataloga attentamente tutti gli elementi che costituiscono il letto e gli svariati nomi con cui vengono definiti, a cominciare dal telaio, continuando coi trespoli e le tavole, e poi l’incannucciata (cannaria, gassiria, chasira o grada cannarum), il pagliericcio (fraxium, saccus, sacconus), i materassi con le loro fodere, le coperte e le lenzuola di vario tipo, i cuscini. E, non parte del letto propriamente detto ma complemento essenziale, il baldacchino, ciel-de-lit (supracelu, imborlachium, busceri) la cortina, e le cassapanche, coperte spesso dall’antilectum, una striscia di lana o altra stoffa, in genere a righe(4).
L’iconografia fornisce ulteriori informazioni. Tra i mosaici della cattedrale di Monreale ci sono due letti raffigurati in maniera molto realistica e dettagliata. Uno splendido letto è quello su cui giace la figlia del capo della sinagoga guarita, anzi resuscitata, da Gesù (fig. 6): una struttura di legno scuro, massiccia, ornata da intagli elaborati, forse anche con piccoli intarsi d’avorio, una coperta molto lavorata, lenzuola con orli arricciati o sfrangiati.
Simile, ma meno ricco, il letto di un altro risuscitato, il figlio della vedova (fig. 7): il telaio, piuttosto leggero, è molto più semplice, come anche la lavorazione della coperta, e sotto al letto si indovina un cassone, nascosto dall’antilectum arricciato della stessa stoffa della coperta.
Una delle miniature del Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli mostra Guglielmo II il buono agonizzante ( fig. 8). Il sovrano giace su un letto formato da una solida ed elegante struttura in legno, ornata e intagliata, su cui è adagiato un materasso vivacemente colorato; un cuscino sostiene la testa del moribondo, coperto da un lenzuolo, e la cortina, che potrebbe anche essere una tenda, è scostata e avvolta attorno ad una delle colonne dell’edificio. Nello stesso codice, nella pagina dedicata alla nascita mostruosa di Tancredi d’Altavilla, l’antagonista di Enrico VI, il letto della puerpera è semplice ma robusto e ben lavorato, con piedi intagliati: tra il telaio e il materasso si nota un piano fittamente intrecciato, una variante particolarmente raffinata della grada cannarum (fig. 9).
Qui siamo molto lontani dall’accurata rappresentazione musiva di Monreale: il miniaturista si serve di un linguaggio essenziale, estremamente sintetico, ma molto espressivo, in cui i particolari hanno sempre un loro preciso significato.
I letti di Monreale e quelli del Liber ad honorem Augusti, per quanto ricchi e ornati, non sono ancora arrivati al complesso sistema che sta per affermarsi in tutta Europa, alle monumentali costruzioni dei secoli successivi. Ma, appena qualche anno dopo la morte di re Guglielmo, nel 1202, un personaggio della corte, il sergente del Palazzo Matteo da Eboli, lega al monastero di San Giovanni degli Eremiti lectum fornitum cum uno mataracio et farso et IIII linceolis et coopertorio uno(5), cioè completo di materasso, pagliericcio, quattro lenzuola e un copriletto: il sistema è ormai definito e definitivo.
Un secolo e mezzo dopo, nelle tavolette del soffitto dello Steri, il palazzo dei Chiaromonte a Palermo, (fig. 10) a illustrare concepimento e nascita di Alessandro il grande il letto, completo delle cassapanche munite di vistose serrature, è quello delle fonti scritte, con la sola assenza della cortina, che avrebbe reso problematica la leggibilità dell’immagine.
L’iconografia documenta anche un altro tipo di letto, totalmente diverso: quello da campo. Nel codice di Pietro da Eboli sotto una tenda Enrico VI malato riposa su un letto sostenuto da trespoli; la tenda dell’imperatore è di un tessuto sontuoso, e la sua coperta ornata da eleganti nappine (fig. 11). Un semplice letto sostenuto da cavalletti basta, sul soffitto dello Steri, ad Oloferne decapitato da Giuditta (fig. 12). Letti di emergenza, ma pur sempre regali; più tardi, le sontuose cambres de camí, le tende da viaggio di Eleonora di Sicilia, regina d’Aragona, assicuravano la messa in scena della regalità anche nei continui spostamenti a cui erano costretti i sovrani medievali(6). Di emergenza anche il letto su cui il ventenne Giacomo II d’Aragona trascorre una notte con un’effimera partner il 14 maggio del 1287, dopo aver riconquistato Augusta: non sotto una tenda, ma in una casa, in una stanza illuminata da tre torce, e fatto per terra, in infimo sine tripedibus, con lenzuola fini, benché senza ornamenti, una coperta di leggero bucherame, finissimo bisso di lino, e un piumino(7).
Soglia e unità di misura del benessere
Il nostro letto
Ci chiama, e il sonno, di cui tutta in noi
Entrerà l’ineffabile dolcezza.
Omero, Odissea, l. 23
Il letto furnitum legato da Matteo da Eboli al monastero di San Giovanni degli Eremiti era destinato verosimilmente ad un ospedale, e costituisce una specie di unità di misura del comfort, il livello minimo da fornire agli ospiti, poveri, malati, viaggiatori o frati di passaggio. La stessa composizione standard si ritrova nei letti di un fondaco, che offriva ai viaggiatori dodici letti dotati tutti di due lenzuola, una coltre, un materasso di lana, un cuscino di piume, un pagliericcio, tavole e trespoli, con tre coperte di lana di riserva per eventuali viaggiatori freddolosi(8).
Nelle case agiate i servi avevano i loro semplici letti, versione ridotta ed essenziale delle maestose fortezze riservate ai padroni di casa. In una ricca casa palermitana, oltre al letto padronale, composto da un banco de lecto, una coltre bianca, lenzuola e una coperta rossa, vengono elencati licterea una cum duobus mataraciis famulorum usitatis, quello che oggi definiremmo una branda, e lectus unus servorum et cassea una de servo(9). Un testamento ferrarese descrive con chiarezza la situazione del letto della serva e di quello della padrona: il lectum […] coredatum seu letica della serva è collocato accanto al lectum magnum della padrona(10), mentre in un inventario barcellonese si parla esplicitamente di un matalassium ruptum veterrimum et modici valoris aptum serventi(11).
Molto interessante l’inventario della stanza riservata ai servi in casa del banchiere palermitano Antonio de Caprona: un materasso dalla fodera strappata, un letto pro servis con tre materassi usati, qualche vecchia coperta, vecchie lenzuola, sei tavole, un paio di trespoli, e un altro letto con due materassi(12): una specie di dormitorio, arredato con le cose vecchie di casa.
Dormiva in una camera accanto alla cucina il cuoco dell’arcivescovo di Palermo(13), su un vecchio materasso, con un lenzuolo usato e una vecchia coperta. Non è chiara la situazione degli apprendisti nelle botteghe artigiane: se l’alloggio è quasi sempre menzionato, se ci sono dei casi in cui si prevede che il giovanissimo apprendista torni regolarmente a dormire in casa della madre(14). Un’indagine nei tre registri notarili palermitani più antichi ha dato come risultato solo due contratti di lavoro in cui si fa menzione di un lectum unum ad dormiendum; non si tratta di apprendisti ma di un taverniere, che, oltre al vitto e alle scarpe, chiede ed ottiene il letto e il servizio di lavanderia(15), e di un aiutante già esperto per un bottaio(16).
Un letto paratum et ordinatum è la misura ideale per un legato pro anima, destinato a orfanelle, servitori fedeli o parenti povere(17). Il testamento ferrarese già citato chiarisce bene quello che si intende per lectum paratum et ordinatum: una ricca vedova lascia a tre giovani povere tres lectulos decentes, destinando a questo scopo il ricavato della vendita del suo letto, il grande letto padronale(18).
Altrettanto chiaro il legato di un droghiere londinese, che lascia alla serva an honest whole complete bed and all other things therto belonging for a bedde(19). Ordinato, decente, onesto. Gli aggettivi che contraddistinguono il letto ne sottolineano gli aspetti morali: the bed as an object that projects notions of status, aspiration, decorum, and morality. Il lascito del letto, di solito fatto da una donna ad un’altra donna, dettato da un movimento di solidarietà, è un gesto che ha un valore e un significato ben diverso dal semplice valore economico.
Valore e significato ancora più pregnanti quando il legato è destinato ad una schiava, ed unito al dono della libertà: così fanno due dame dell’alta società palermitana, la vedova di Ruggero Mastrangelo, Palma de Magistro, che lega il letto alla serva greca Anna(20), e la vedova di Nicola Abbate, Filippa de Milite, che fa lo stesso con le serve, anch’esse greche, Maria e Irene(21). In un mondo in cui i servi non battezzati erano considerati bestiame, contraddistinti dalle sfumature di colore della pelle, e in cui molti dovevano contentarsi di giacigli precari e promiscui, un po’ di paglia, una semplice stuoia, una panca (bisogna ricordare che ancora nel 1960, a Palma di Montechiaro, la Donnafugata del Gattopardo, antico feudo dei Chiaromonte, in un’inchiesta svolta su 600 famiglie e 3400 persone, ben 823 persone dormivano per terra, su giacigli improvvisati(22)), avere un letto per dormire tutto per sé significava avere oltrepassato la soglia che divideva la miseria dal benessere, e, insieme alla libertà, vedersi riconosciuta la dignità di essere umano.
Rappresentazione di ricchezza e prestigio, metafora del piacere
E il letto a molta cura io ripolíi,
L’intarsïai d’oro, d’avorio, e argento
Con arte varia, e di taurine pelli,
Tinte in lucida porpora, il ricinsi.
Omero, Odissea, l. 23
Se il letto vero e proprio è carico di significati sociali e morali, i suoi complementi (baldacchino, cortine, cassapanche) sono ugualmente densi di significati, sociali economici ed estetici.
Il termine imborlachium, uno dei tanti modi per indicare il baldacchino, in uso nell’Italia meridionale e in Sicilia, soprattutto nella documentazione più antica (ma l’attestazione più tarda risale al 1500, a Scicli), indicava “verosimilmente la bordatura a frappe e pendagli, ornata con passamaneria, nappe e fiocchi, come quella che veniva applicata tutt’intorno al cielo del letto a baldacchino, da cui poi si dipartiva la cortina […] Non è […] da escludere che il termine indicasse inizialmente solo una parte del cielo del letto, quella del fregio a pendagli posto a ornamento intorno al sopraccielo e che in seguito, per estensione metatetica, sia passato a indicare tutta la parte superiore del cortinaggio decorata con passamaneria, convergendo nel senso di “cielo del letto” e sovrapponendosi ad altri termini già esistenti”(23).
Tra le più antiche attestazioni del termine, diffuso non solo in Sicilia, ma anche nell’Italia meridionale, una, del 1266, a Terlizzi, in Puglia, descrive un inberlachium unum de bucharano ad lionum et rosellas: un tessuto pregiato e un décor ricco e vistoso, per il corredo di Antizia, sorella del miles Perrone Cacciaconte. Ma ricco e vistoso, colorato preferibilmente in giallo e rosso, a volte anche con un fondo d’oro, come negli inventari dotali di Pace Aurifici e di Contessa d’Afflito(24), era sempre quest’importante elemento dell’ambiente del letto, che, insieme alla cortina, creava uno spazio quasi teatrale, in cui il letto diventava il palcoscenico su cui venivano esibiti ricchezza, benessere e raffinata art de vivre della famiglia.
La dimensione teatrale dello spazio del letto si percepisce perfettamente nell’iconografia: nell’Annunciazione di Paolo Schiavo e Mariotto di Cristofano, affresco conservato nella Pieve di San Pietro a Cascia. Le cortine, ornate da un motivo a rete nella parte alta, si aprono con perfetta simmetria sul letto rosso e sulla cassapanca ornata da un antilectum anch’esso rosso (fig. 13). Le cassapanche, poi, sono un evidente segno di ricchezza: vi venivano custoditi biancheria, tessuti, gioielli, stoviglie pregiate, e, a suggerirne la preziosità dei contenuti, l’iconografia le mostra sempre munite di vistose serrature.
Il letto, e in particolare la cortina, poteva servire anche ad esibire l’orgoglio del lignaggio, di antiche e altolocate parentele o legami feudali: così la cortina di seta ad arma illorum de Claromonte, finita non si sa come nelle mani di un Alagona (forse tolte dal letto in cui, nel castello di Lentini, dormiva Margherita Passaneto, prima moglie di Manfredi Chiaromonte, mentre Artale d’Alagona espugnava tacitamente il castello)(25), così i cussinella ad stellas de auro dei Rosso, che richiamano la loro cometa araldica(26), così anche le lenzuola cum listis de seta ad arma de Brundisio elencati nel testamento di Clara de Aibar, che rivelano un legame con la famiglia del celebre medico Donato da Brindisi, medico personale di Federico III(27).
Così, soprattutto, lo sfarzoso copriletto di panno d’oro e sciamito giallo foderato di zendado rosso e giallo, la fodera per materasso a fondo di panno d’oro e sciamito rosso, le lenzuola di seta con liste d’oro ad arma domini comitis camerarii, cioè con lo stemma di Manfredi Maletta, conte camerario, citati nel testamento di Bartolomeo Mustacio, dettato a Lentini il 19 novembre 1268 e datato con l’anno di regno di Corradino, durante lunga resistenza agli Angioini dei ghibellini seguaci di Corrado Capece. Manfredi Maletta, poeta e trovatore, è un ambiguo personaggio dell’epopea sveva, sposato ad una nipote di Federico II, e zendado e sciamito, leggerissimo e velato il primo, pesante e vellutato il secondo, sono i tessuti di seta più lussuosi in uso nel Medioevo; lo stemma dei Maletta che decorava e segnava il lenzuolo di seta era «d’oro, con tre fasce in nero». Lenzuola, copriletto e materasso sono elementi di un letto di fasto imperiale, vestigia di un passato splendido sul punto di tramontare drammaticamente(28).
La dote di Imperiale, figlia di Giacomo Mascarati e della moglie Adelisia, che nel maggio del 1287 andava sposa al lucchese Fazio Peregrini, elenca biancheria fine, lenzuola di bucherame e cuscini di seta, ma la cosa più lussuosa ed esotica è il letto stesso, lectum unum eburneum, un letto d’avorio, de tradition fatimide, precisano i Bresc. Il letto d’avorio gode di una certa fortuna in letteratura, da Omero a Flaubert (Il y avait au milieu de la terrasse un petit lit d’ivoire, couvert de peaux de lynx avec des coussins en plumes de perroquet, animal fatidique consacré aux Dieux, et dans les quatre coins s’élevaient quatre longues cassolettes remplies de nard, d’encens, de cinnamome et de myrrhe ) passando per Iacopo da Varagine (Non enim pro se uel pro filio habuit thalamum pictum(29), ma non ne conosco altre attestazioni documentarie in età medievale. In ogni caso, è evidente che l’avorio doveva essere limitato a degli intarsi, o a placche, magari ornate e decorate.
Da notare il fatto che il letto viene elencato tra le altre componenti del corredo, tra i cuscini di seta e le inevitabili lenzuola listate di seta senza nessuna enfasi, né economica né descrittiva: viene fatto di pensare al bacile d’avorio, bacile de ebore, che compare repentinamente in un altro corredo, prontamente corretto in un’altra copia dello stesso documento in un normalissimo bacile di metallo, de ere: ma un letto di metallo a fine Duecento sarebbe quanto mai anacronistico…
Ben più ricco è il letto messo in scena dalla dote di Costanza de Ebdemonia, di ottima famiglia palermitana, che dieci anni prima aveva sposato un modesto giurista dal brillante futuro, Matteo di Termini(30). A cominciare dalle rutilanti fodere dei materassi: di panno d’oro con strisce di zendado giallo pallido, di misto seta con strisce di zendado rosso, di seta a righe multicolore con una striscia di zendado verde, di cuoio. E continuando con i lunghi cuscini di seta e panno d’oro, e quelli più piccoli, in numero di tre, uno di zendado giallo a garofani, e altri due di sciamito giallo e rosso; con le lenzuola lavorate ad aves, con le coperte a fondo d’oro con strisce rosse di zendado o, viceversa, di zendado, a bande in rosso e giallo, o di sottile bucherame.
Un insieme ricco e vistoso, che era stato arricchito, nei trent’anni che era durato il matrimonio, da altri preziosi elementi: un armarium di legno intagliato e scolpito, un’immagine sacra d’argento della Madonna con bambino e una cortina di tela lavorata ad aves, in pendant con le lenzuola (lo stesso motivo si trovava anche su alcuni asciugamani di lino con inserti di seta, pro facie). Ritengo che l’armarium, collocato dietro al letto di donna Costanza (i coniugi facevano chambre á part, lui aveva bisogno di un letto extralarge, con materassi di grandi dimensioni, ampla et longa) fosse in realtà uno scaffale più che un armadio in senso moderno, come nella miniatura tratta dal Taquinum sanitatis ( fig. 14 ). In quanto all’immagine sacra, conca sive imago argentea ad similitudinem Virginis gloriose et Domini nostri filii sui qui stat ante lectum vel alibi, si può supporre che fosse collocata di fronte al letto, e che venisse dalla Sardegna e dalla fiorente produzione degli argentieri sardi, portata dalle navi di Matteo di Termini, ormai uomo politico, uomo d’affari e armatore affermato(31). Potrebbe trattarsi persino di un’acquasantiera, oggetto documentato altrove(32), ma non in Sicilia.
La massima realizzazione del letto come rappresentazione avviene, ovviamente, nei letti regali. Il Llibre de la cambra e lits, uno dei quattro registri della regina Eleonora di Sicilia, terza moglie del re d’Aragona Pietro IV il cerimonioso, conservati all’Archivio della Cattedrale di Barcellona, è una fonte molto particolare. Insieme inventario, libro di conti, in cui le entrate e le uscite non sono in moneta, ma in palmi di stoffa, bordure di pelliccia e bottoni preziosi, catalogo di moda, documento di vita di corte e persino racconto. In una apposita voce dell’inventario sono elencati i letti con il loro corredo di dorsale, sopracielo, cortine e copriletti: c’era il letto del corredo nuziale di Eleonora, di seta bianca e oro, con due diversi copriletti, uno disseminato di scudi araldici siciliani, foderato di zendado vermiglio, l’altro di sciamito bianco a strisce d’oro, pezzi di cortina per isolare la zona del letto e una dotazione di lenzuola di seta bianca a liste d’oro il tutto ornato da bordure di zitoni blu e, sempre, dal simbolo araldico della regina. Altre camere complete erano la cambra de grius, decorata da grifoni di filo d’oro, la cambra reyal de drap d’or e de vellut vermell, la suggestiva cambra de roses, di seta verde con rose di seta bianca: la scena per il lever de la reine è pronta.
Ma all’apice dei letti siciliani ne dobbiamo porre uno imperiale: il lectum unum ad pedem deputatum pro dormiendis dominis, affiancato da una vasca da bagno in marmo, pilam unam marmoream deputatam pro balneando, traccia concreta della presenza fisica di Federico II al castel Maniace di Siracusa, ancora presente ventidue anni dopo la morte dell’imperatore(33).
Ma la ricchezza e la raffinatezza del letto alludono e preparano anche ai piaceri che vi si possono godere: le lenzuola ricamate, le coperte immacolate, i profumi che aleggiano attorno al letto della cortigiana palermitana che seduce un giovane mercante toscano nella decima novella dell’ottava giornata del Decameron sono il preludio ai piaceri della notte. Nella miniatura del Talbot Shrewsbury book (1444-1445) che illustra Nectanebo e Olimpia con il drago-serpente ai piedi del letto (fig. 14), lo stesso tema della tavoletta dello Steri della fig. 10, l’esuberante decorazione di baldacchino, cortine e coperte suggerisce l’estrema e peccaminosa sensualità dell’incontro più dei due gracili e palliducci corpi nudi avvinghiati. Ed è stato notato come, nella miniatura dell’enciclopedia inglese trecentesca Omne bonum la coppia che illustra la A di Adulterium giace in un angolo dell’immagine, sotto una coperta dalla complessa lavorazione, an intricately, even ostentatiously patterned, multicolor coverlet in contrasto col semplice letto e la rosea coperta dei due casti sposi, ammoniti da un severo uomo di chiesa, che illustrano la C di Cognoscere uxorem ( fig. 15 e 16)(34).
Simbolo del legame coniugale
Il nostro letto
Che nessun vide mai, salvo noi due,
E Attoride la fante a me già data
Dal padre mio, quand’io qua venni, e a cui
Dell’inconcussa nuzïale stanza
Le porte in guardia son, tu quello affatto
Mi descrivesti
Omero, Odissea, l. 23
Il ricco letto nuziale apprestato dalla dote di Costanza de Ebdemonia non fu garanzia di un matrimonio felice. All’epoca un matrimonio felice era innanzitutto un matrimonio fecondo: ma i coniugi non ebbero figli, e l’imponente eredità di Matteo di Termini passò al nipote, Matteo Sclafani, facendone uno dei massimi feudatari del regno. Abbiamo visto poi come il letto coniugale non era condiviso dalla coppia, e impegni politici e affari tenevano lontano da casa Matteo di Termini, al punto di suscitare voci di una separazione di fatto: voci che Costanza, da vedova, contro il nipote che le contendeva l’eredità, dovette dimostrare false, esibendo testimoni che assicuravano che il marito non le faceva mancare niente, si occupava del suo benessere e della sua serenità, assumendo persino due dame di compagnia, e continuava a restaurare ed abbellire il palazzo dotale e ad arricchire il talamo con gli oggetti d’arte di cui abbiamo detto.
Nessuna delle consuetudini cittadine, non solo in Sicilia ma dovunque in Europa, sancisce il fatto che il letto coniugale, a prescindere dalla sua consistenza economica, fosse di competenza della sposa e della sua famiglia, ma la diffusione e la stabilità dell’usanza è indubbia, e si può dedurre da testimonianze indirette. A Ferrara, da una rubrica degli statuti duecenteschi sul divieto di trasporto di merci fuori dalla città, che prevede un’eccezione per i letti parte di una dote(35); in Sicilia, a Messina, quando Bartolomeo da Neocastro, tracciando un velenoso ritratto di Macalda Scaletta, moglie di Alaimo da Lentini, dopo aver parlato delle sue modestissime origini, dice che il padre, giurista messinese di grido, l’aveva data in moglie al conte Guglielmo de Amicis, che sperava nell’aiuto del suocero per recuperare beni perduti, con una dote non particolarmente splendida di cinquanta onze d’oro e lectum unum militari(36): che cosa intende il cronista per lectum militare non è chiaro, ma è chiarissimo che il letto è considerato parte essenziale della dote.
In Sicilia, in ogni caso, non c’è inventario dotale che non si apra con lenzuola, coperte, materassi e cortina: dal modesto corredo di un’orfana palermitana, fatto in gran parte di roba usata(37)- e solo per la cortina la ragazza può dichiarare che è usata, sì, ma buona – a quelli, ricchi ma non splendidi, delle figlie di Francesco Ventimiglia: Eufemia, seconda moglie di Manfredi Chiaromonte, destinataria del coloratissimo soffitto dello Steri (ben cinque materassi, una cortina di camuca de Romania, cioè di seta damascata, composta da trenta pezzi e un supracelu in quattro pezzi di camuca di Lucca, una coltre di panno d’oro e velluto foderata di zendado giallino, un’altra di velluto rosso e celeste con fondo d’oro, altre quattro di di tela bianca lavorate ad rosetas oppure ad butonos, cinque paia di lenzuola), ed Eleonora, a cui la madre destinava tra l’altro una preziosissima cortina ornata di perle e pietre preziose(38).
Il fatto che il letto fosse considerato un bene di particolare, anche se non assoluta, pertinenza femminile si può dedurre anche dall’attenzione che vi si dedica nei testamenti delle donne. Alla voce lectus il Ducange, citando il testamento di Saura de Medullione, uxoris Petri Izoardi Domini de Aysio, del 1286(39), ricorda l’usanza, in auge presso le nobildonne, di legare il loro letto, omnibus ornamentis instructum, alle chiese in cui sarebbero state seppellite, ad instar virorum, qui sæpius equum, arma aliosque suos apparatus bellicos Ecclesiis largiebantur: come le armi sono il bene simbolico del cavaliere, ne rappresentano l’essenza e la virtù, così il letto rappresenta essenza e virtù della donna, della signora della casa.
Il legato del letto può rivelare anche riposti aspetti affettivi ed intimi del matrimonio delle testatrici. Così, a Ferrara, la figlia di un pescatore di Comacchio nomina suo unico erede il marito, ma per quanto riguarda il letto stabilisce che il vedovo potrà tenerlo solo se non si risposerà: in questo caso dovrà venderlo e distribuire il ricavato ai poveri(40). Lo stesso fa la napoletana Aurumelia de Mele: il marito avrà i beni che costituiscono il letto, cioè culcitram unam, plumacium unum de lana cum pennis, parum unum de linceolis et cupertorium unum de guttone, solo donec custodierit lectum meum, ma se dovesse risposarsi dovrà donarli a una donna povera. In caso di seconde nozze del marito andrà invece alla madre, che ne farà quello che vorrà, il letto di un’altra napoletana, Luisa de Acchazzara(41).
In tutti e tre i casi è evidente il forte legame coniugale, affettivo e carnale, che si concretizza nel letto. Diverso il caso della palermitana Divizia de Gallano, proprietaria di una domus magna all’Albergheria e di bestiame vario, che non solo non lascia niente al marito, nominando eredi la sorella e il cognato, ma lascia la sua parte del letto coniugale alla servitrice Gubitosa(42): un evidente sintomo, a dir poco, di una certa freddezza tra i coniugi.
Le consuetudini di Palermo, al capitolo De dotibus et hereditatis divisione, prevedono che se la moglie muore prima che sia passato un anno dalle nozze senza lasciare figli al marito non spetta niente della dote nisi tantummodo lectum unum cum apparatu suo, prout eo predicti iugales usi fuerunt prima nocte, qua se in unum coniunxerunt seu insimul iacuerunt(43). Disposizioni simili si riscontrano in altre città siciliane: a Trapani, a Messina e altrove, il vedovo ha diritto al letto nuziale, se ancora esiste, oppure al migliore letto della casa, a prescindere dalla durata del matrimonio, solo se ha pagato le spese del funerale; a Noto si specifica che del letto avuto in dote deve avere un materasso, un plumacium, un paio di lenzuola e una coltre de melioribus, e a Catania che la disposizione è valida tanto per le vedove che per le vergini(44).
Il rilievo dato al letto in cui gli sposi hanno passato la prima notte ricorda la tradizione romana del lectus genialis, citata anche da Orazio(45). Non ho trovato disposizioni simili nelle consuetudini di altre città italiane, e mi sono chiesta in quale momento una norma di questo tipo, la cui applicazione è presente in uno dei più antichi registri notarili(46), può essere entrata nella tradizione siciliana.
La particolarità della consuetudine palermitana rispetto a quella delle altre città dell’isola è evidente: nelle altre città la norma costituisce una transazione economica, per cui il vedovo riscatta un bene dotale accollandosi le spese del funerale, a Palermo la norma non è più una transazione, ma un diritto del marito, riguarda solo giovani donne morte nel primo anno di matrimonio e si rivolge dunque solo a giovani coppie. Ciò dà alla consuetudine una coloritura sentimentale e malinconica, nella dimensione del ricordo e dell’amore coniugale.
Come nella storia della palermitana Masina, una ragazza del popoloso quartiere della Porta dei Patitelli, detto anche Conceria: un quartiere fitto di botteghe artigiane, allineate secondo la loro specialità (pianellari, i patitelli appunto, coppularii, calzolai, sarti, con una netta, ovvia prevalenza dei conciapelli) lungo strade a cui davano il nome, di taverne dai nomi pittoreschi come la taverna del «Leopardo» o quella dell’ «Omo selvatico» Masina era figlia di un cinturinaio, mastro Pipi, un gradino più su rispetto ai conciapelli, e aveva un fratello più piccolo, Cursino.
Morti entrambi i genitori, Masina, che aveva messo insieme una discreta dote (oltre alla solita biancheria e ad oggetti vari di uso domestico annoverava due eleganti cuscini dorati e uno di seta, una borsa ricamata, una glimpa celeste, un bel vestito verde con cinque grossi bottoni, un paternoster d’argento e un anello d’oro senza pietre, qualche tessuto pregiato, una cassapanca a tre cassoni e ben otto canne di tela di cotone, probabilmente di produzione domestica(47)), si sposa con un conciatore, Andrea de Medina. Ma prima che sia trascorso un anno dal matrimonio Masina muore, molto probabilmente per le conseguenze di una difficile prima gravidanza. Ha il tempo di fare testamento, davanti al notaio Bartolomeo de Citella, il 13 ottobre 1307: nomina erede universale il fratello, ancora bambino, e incarica un personaggio ben noto nel quartiere, un sensale d’affari e forse anche di matrimoni, di recuperare i suoi beni dotali dal marito a cui lascia qualche legato, e che trattiene per sé, secondo la consuetudine, il letto coniugale.
Particolare toccante: delle otto canne di tela della dote mancano ormai due canne e mezza, che Masina aveva utilizzato per confezionare una camicia e un paio di brache regalate al marito e una sottana, con cui era stata sepolta. Pochi giorni dopo la morte della moglie, il 28 ottobre, il vedovo restituiva i beni al sensale, che il successivo 4 giugno si dichiarava ormai pienamente soddisfatto(48).
Note:
1 Queste pagine sono una nota in margine alla vasta ed esaustiva ricerca di Henri e Geneviève Bresc sulla cultura materiale in Sicilia ( G. Bresc-Bautier, H. Bresc, Une maison de mots, Palermo, “Mediterranea. Ricerche storiche”, 2014 ). Mi servirò dunque essenzialmente della documentazione da loro raccolta, ma, data l’universalità del tema, non mi limiterò ad esempi siciliani.
2 Bresc-Bautier, Bresc, vol.I, p. 76
3 Bresc-Bautier, Bresc, I, p. 42; inoltre H. Bresc., Arabes de langue, Juifs de religion : L’évolution du judaïsme sicilien dans l’environnement latin, xii-xv siècles, 2001, Paris, Éditions Bouchène, pp.184 ss.
4 Bresc-Bautier, Bresc, I, pp. 65-85
5 Bresc-Bautier, Bresc, II, p. 354
6 M.Anglada, M. A. Fernandez, C. Petit,, Els quatre llibres de la reina Elionor de Sicília a l’Arxiu de la Catedral de Barcelona, Fundació Naguera, Textos i Documents 26, Barcelona, 1992, p. 80 s.
7 L. Sciascia, L’eros come metafora del potere. Due avventure siciliane di Giacomo II d’Aragona, in L. Sciascia, Il seme nero. Storia e memoria in Sicilia, Sicania, Messina 1996.
8 Bresc-Bautier, Bresc, II, p.394
9 Bresc-Bautier, Bresc, II, p.549
10 S. Superbi, In dotem pro dote et dotis nomine. Il sistema dotale tra norma e prassi nella Ferrara del XIV secolo., tesi di dottorato ( Dottorato di ricerca in modelli, linguaggi e tradizioni nella cultura occidentale, Università degli Studi di Ferrara, tutor prof. M. S. Mazzi, a.2008-2010 ), p. 201 s.
11 F. Sabaté, Els Objectes de la vida quotidiana a les llars barcelonines al commençament del segle XIV, Anuario de Estudios Medievales , vol. 20 (1990), p. 70
12 Bresc-Bautier, Bresc, V, p. 1392
13 Et in camera dicte quoquine: mataracium unum vetus, Item carpitam I usitatam, linteamen unum de tela pro lecto coquinarii. Bresc-Bautier, Bresc, II, p.527
14 P. Corrao, L’apprendista nella bottega artigiana palermitana ( sec. XIV-XVII), in I mestieri. Organizzazione, tecniche, linguaggi (Atti del II congresso di studi antropologici siciliani), Palermo 1984, p.137
15 victum et soleas et antepedes sufficientes ad usum suum et lectum ad dormiendum et facere sibi pannos allui: P. Gulotta, Le imbreviature del notaio Adamo de Citella a Palermo ( 2.o registro: 1298-1299, Roma, Centro di ricerca editore, 1982, p. 52
16 1307, novembre 11:Tommaso Guirraturi de Tramonto, bottaio, si pone a servizio di mastro Robberto Guzio barillario, cittadino di Palermo, per un anno col compenso di 3 onze oltre il vitto e il letto. Archivio di Stato di Palermo, Misc. archivistica II, Notaio B. Citella 127a, c. 87 v. Per questo, e per le atre citazioni dal registro di Bartolomeo de Citella ringrazio Simona Scibilia
17 Cristodula, dama palermitana, vedova di un funzionario di corte, lascia alla zia Gazalema un lectum paratum et ordinatum. Bresc-Bautier, Bresc, II, p. 356
18 Superbi, p. 201
19 K. L. French, K. A. Smith, S. Stanbury, An Honest Bed: The Scene of Life and Death in Late Medieval England, in “Fragments: An Interdisciplinary Approach the Study of the Ancient and Medieval Past”, vol. 5 (2016): p. 61 ss.
20 L. Sciascia, Per una storia di Palermo nel Duecento (e dei toscani in Sicilia): la famiglia di Ruggero Mastrangelo, in Come l’orco della fiaba. Studi per Franco Cardini, a cura di M. Montesano, Firenze 2010, pp. 581-593
21 Sciascia, I cammelli e le rose. Gli Abbate di Trapani da Federico II a Martino il vecchio, in Mediterraneo medievale. Studi in onore di Francesco Giunta, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1989, p. 1223 ss.
22 S. Pampiglione, Inchiesta igienico-sanitaria a Palma di Montechiaro, cit. in Leonardo Sciascia, Un cieco chiede la luce elettrica, in «Mondo nuovo», II, 19, 8 maggio 1960, p. 7.
23 D.Burgaretta, Sul termine anbūrlāk nel Ms. Vat. Ebr. 411 in giudeo-arabo di Sicilia, “Sefer yuhasin” , N.S. Vol. 3 (2015), pp. 70 ss., 2015
24 Bresc-Bautier, Bresc, II, pp. 386, 391 s.
25 Bresc-Bautier, Bresc, II, p. 456; Michele da Piazza, Cronaca, a c. di A. Giuffrida, Palermo, Ila Palma, 1980 II, § 54, p. 388.
26 Bresc-Bautier, Bresc, II, p. 512
27 Bresc-Bautier, Bresc, II, p. 412
28 H. Bresc, C. Biondi (a c. di), Ad trinam pulsacionem campanelle. Il tabulario dei monasteri di Santa Chiara e della Santa Trinità in Lentini, Officina di Studi Medievali, Palermo 2007, pp. 41 s.
29 Salammbô, cap. 3; Sermones aurei, Liber Mariale, sermo 123
30 rimando alla mia voce Costanza de Ebdemonia, in Siciliane. Dizionario Biografigrafico, a cura di M. Fiume, Siracusa 2006, pp. 102-104
31 M. Porcu Gaias, A. Pasolini, Argenti di Sardegna. La produzione degli argenti lavorati in Sardegna Dal Medioevo al primo Ottocento, Vol. 3, pp. 7-21, Morlacchi Editore U.P., Perugia 2007
32 C. Dervieu, Le lit et le berceau au moyen âge, in Bulletin Monumental, t. 76, 1912. p. 408
33 I registri della Cancelleria ricostruiti con la collaborazione degli Archivisti napoletani,Vol. 50, p.184. Nell’inventario si parla di una seconda vasca da bagno, più umile, tinam unam pro balneo, e di due leoni di bronzo
34 An honest bed, p. 63
35 Superbi, p. 75
36 Bartolomeo de Neocastro, Historia sicula, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, Palermo 1791, p. 121. I Bresc intendono lectum militare come lit chevaleresque
37 Bresc-Bautier, Bresc, II, p.463: farsium unum. … tabolas quatuor de lecto cum trispidibus suis … paria duo lintheaminum de seta usitatorum. .. cultras duas albas de tela…cortinam unam bonam ad listam sericam pro capite usitatam… imborlachium unum ad listas sete usitatum
38 Bresc-Bautier, Bresc, II, pp. 512, 568. I beni dotali erano destinati ad Eleonora nel testamento della madre, quando il matrimonio non era ancora in vista, e comprendevano anche diverse coltri bianche, lavorate ad undas, ad buctunchellos et amigdaletas, ad tabolerium minutum. Eleonora in realtà non si sposò
39 Testamentum ann. 1286. tom. 2. Hist. Dalphin. pag. 61: Imprimis eligo mihi sepulturam in cimeterio Fratrum Prædicatorum de Avenione, ubi relinquo Lectum meum honorifice ornatum et completum condecenter
40 Superbi, p. 147 s.
41 G. Vitale, Affettività e patrimonio attraverso i testamenti femminili medievali, in Donne e storia, a c. di L. Capobianco, Napoli 1993, p. 123
42 Archivio di Stato di Palermo, Tabulario della Commenda della Magione, perg. n. 291
43 V. La Mantia, Antiche consuetudini delle città di Sicilia, Palermo, 1900, p.190
44 ivi, pp. 8, 38, 107, 128
45 Orazio , Epistularum Liber I – 1, v. 87. Sul lectus genialis, C. Fayer, La familia romana. Aspetti giuridici e antiquarii, Parte II. Sponsalia. Matrimonio. Dote., Roma, “L’Erma di Bretschneider”, 2005, p. 550
46 Gulotta, p. 30 s.
47 sull’attività di tessitura domestica, Bautier-Bresc, Bresc, I, p. 298 s.