Le “Little Italies” di Rochester. Trasformazioni urbane e sogni di rinascita nel segno di Jerre Mangione – seconda parte
L’utilizzo di Mont’allegro nei corsi di etnografia contribuisce alla sua diffusione
Se già nel 1943 era largamente chiaro che Mont’allegro raccontava di una comunità scomparsa, o in via di sparizione, nelle edizioni successive questo è ben chiaro, ed anzi, il fatto che il libro possa essere addirittura utilizzato nei corsi di etnografia contribuisce alla sua diffusione. Anche se è certo che nessuna edizione successiva avrà il successo, o l’impatto della prima. Tra le ultime edizioni, quella del 1981, della Columbia University Press, che contiene un’introduzione del grande sociologo Herbert J. Gans (1927-) rifugiato in America dall’America nazista e ritenuto uno dei maggiori sociologi ancora viventi. Qui, Mount Allegro viene consegnato definitivamente alla storia: sia il romanzo, sia soprattutto il quartiere, e l’esperienza italo-americano, o siculo-americana. Una storia di fallimenti ma anche di successo, nella misura in cui il “melting pot” – tema su cui tornerà spesso Mangione – si era effettivamente realizzato, ovvero, detto altrimenti, l’Americano assoluto si era formato, lasciandosi dietro retaggi scomodi, incerti, di miseria e forse impurità perfino genetica, e lo scomodo prefisso “italo-“. Mount Allegro era definitivamente diventato un libro di testo, materiale etnografico, come uno scritto di Pitrè (noto a Mangione), oppure ancor meglio di Salvatore Salomone-Marino, i cui Customs and Habits of the Sicilian Peasants, pubblicato in edizione inglese Fairleigh University Press nel 1981, erano stati recensiti proprio da Mangione. Vi erano già state edizioni in italiano del libro. Ma quella del 1981, con una prefazione di assoluto prestigio, se da un lato forzava la storicizzazione del tutto, dall’altro invitava ad una ulteriore ripresa e riscoperta, anche in Italia, di Mangione, un Mangione che si era ampiamente e simpateticamente interessato degli esperimenti utopistici e pacifisti di Danilo Dolci, e che aveva viaggiato spesso nella terra dei padri, sempre con partecipe attenzione, commozione e ironia, mai con senso di superiorità di alcun tipo (qualità del carattere di Mangione, del resto, che gli facilitarono senz’altro la vita e la carriera, anche accademica).
Sciascia inserisce Mangione nella prospettiva “verista”
Nel 1983 la Franco Angeli pubblicherà l’edizione del 1981, con l’introduzione di Gans, facendola prefare da Leonardo Sciascia, un altro dei letterati italiani che si era interessato, positivamente, di Mangione (tra gli altri, da una prospettiva ovviamente diversa, Giuseppe Prezzolini). Sciascia inserisce Mangione nella prospettiva “verista”, sociologica di un Verga, ben poco incline a parlare di immigrati e immigrazione siciliana. Notando però come, non ostante “ad ogni secolo” si ripeta la vicenda dell’emigrazione siciliana, gli scrittori dell’isola, i nativi, si siano poco interessati di essa, con l’eccezione di Maria Messina, la scrittrice palermitana nata nel 1877 e morta nel 1943 che si è andata riscoprendo anche di recente. Sciascia racconta anche di Montallegro, quella siciliana, nella sua limpida, cattivante prosa, ad un passo da Agrigento, e di quelle genti, tra cui i Mangione, che lasciarono l’isola per le Americhe per la grave crisi delle zolfatare, tra l’altro. “Quell’isola di vita siciliana – scriveva Sciascia già nel 1967, componendo con Salvatore Guglielmino un’antologia di scrittori siciliani – appare come in vitro, con una evidenza e un risalto di elementi comici e malinconici che sfuggirebbero e sfuggono a chi guarda alla vita siciliana in Sicilia”. In ogni caso, nel 1983 il Melting Pot si era di fatto compiuto (questa locuzione inventata nel 1914 da un ebreo, come lo stesso Mangione ebbe modo di ripetere, e molto ambigua, se non per certi aspetti agghiacciante.) D’altra parte proprio nella copertina della fortunata, prima edizione di Mount Allegro, si faceva riferimento a questa “pentola”, come a qualcosa di essenzialmente positivo.
Dal romanzo al teatro
Interessante evoluzione del libro, furono senz’altro i suoi adattamenti teatrali, su cui vi è anche una discreta letteratura. Ma, a partire dal primo, si nota come il teatro tenda a rendere caricaturali le figure abbozzate in modo molto discreto da Mangione. Le figure assumono tratti ispanici, i nomi perdono le caratteristiche siciliane. In qualche modo, l’emigrato siciliano si confonde, in un vero e proprio “melting pot”, in questo caso però fuorviante e macchiettistico, con ogni altro emigrato ispanico o meglio latino, “latinx”, come si direbbe ora. Diverso l’ultimo adattamento, dove si concede maggiore spazio alla definizione della psicologia dei personaggi, ma siamo già nel 1992. E singolarmente viene messo in scena, con una star del calibro di Tony Musante, proprio in occasione delle – contestatissime – celebrazioni dei 500 anni dell’impresa colombiana. La ricezione, sembra, fu piuttosto tiepida, e fu in ogni caso l’ultima significativa comparsa del romanzo, seppur in versione teatrale, dalla sua uscita nel 1943. Cinquant’anni di attenzione del pubblico non sono certo pochi, per un’opera tutto sommato esile, i cui meriti, dovessimo ripubblicarla ora, sono affatto letterari: un inglese sofisticato che nessuno dei traduttori italiani è finora riuscito a riprodurre adeguatamente.
Un’altra “Little Italy”
La popolazione italiana di Rochester si sviluppò ampiamente negli anni Venti e Trenta del Novecento. Come Mangione dirà in un suo scritto tardo, apparso su Affari sociali internazionali (XIII, 4, 1985, pp.5ss), “…noi eravamo etnie urbane in ogni senso, anche se il nostro vicinato difficilmente potrebbe essere chiamato ghetto. C’erano austriaci, russi, ebrei tedeschi, polacchi, italiani ed alcune famiglie anglosassoni che non avevano deciso di scappare dal quartiere per il semplice fatto che vi erano nuovi immigrati. Sebbene gli ebrei superassero di gran lunga ogni gruppo etnico, non vi era prevalenza di nessun altro dei rimanenti. La rivalità tra le bande di quartiere era basata su considerazioni territoriali piuttosto che sul criterio della nazionalità. In ogni occasione le strade erano il nostro ambiente. Solo in strada noi eravamo americani, sebbene non fossimo sicuri di sapere quello che significava, mentre a casa eravamo siciliani e non c’era alcun dubbio sul significato di ciò”. Si rese dunque necessario creare un nuovo quartiere italiano, ben più vasto di quello di Mangione, del “Montallegro” che era in realtà non un monte, ma, come tutta Rochester, una vasta pianura. E qui, a breve (ma non brevissima) distanza da Montallegro, a nord-est di esso, si è sviluppato poi un quartiere italiano che una benemerita associazione ancora preserva, o cerca di preservare.
Gli italo-americani di Rochester sono considerati al secondo posto nello stato di New York per consistenza numerica
Ancora oggi, gli italo-americani di Rochester sono considerati al secondo posto nello stato di New York, e al nono negli interi USA, per consistenza numerica. Ma la questione della rivitalizzazione del loro quartiere, che si inserisce nel complesso discorso della rivitalizzazione di interi quartieri cittadini una volta vitalissimi, è molto ardua: ad oggi, non si è fatto nulla di quanto annunciato. Decisamente, la “gentry” preferisce i contesti suburbani, in America, e anche a Rochester. L’immagine che si ha passeggiando in questo rettangolo è di desolazione, abbandono, povertà e sporcizia. Occorre anche dire che i progetti di bonifica e riqualificazione urbana sono del 2019, e nel frattempo c’è stata la pandemia di mezzo, che si è molto sentita anche in “upstate” New York. Dunque, non si può disperare riguardo alla loro prossima realizzazione.
Per ora, il tessuto urbano di Rochester mostra, qui, tra Lyell Avenue e Jay Street, una significativa smagliatura. Mangione non ha lasciato figli, ma i due nipoti si sono distinti in qualcosa di particolarmente “americano”, ma non certo italiano, o siciliano: il jazz. Gap (1938-) e soprattutto Chuck Mangione (1940-) sono stelle di prima grandezza nel panorama musicale americano. Dei nipoti Jerre era particolarmente orgoglioso, numerose fotografie lo ritraggono in loro compagnia.
Le poche e di difficile identificazione tracce del passato italiano
Nella seconda e maggiore “Little Italy”, sono pochine, in verità, e di difficile identificazione e reperimento, le tracce che ricordano il passato italiano. Ad un angolo al confine del perimetro, una piccola riproduzione del Flatiron di New York, il celebre grattacielo a ferro di stiro. Sui muri a livello strada una serie di semplici affreschi, che ricordano personalità più o meno “italo-americane”, su cui troneggia Sofia Loren, non italo-americana di certo per nascita. Poi, al primo piano del micro Flatiron, la bandiera americana insieme al tricolore. Un trivio ove nessuno li nota, se non per il degrado e la sporcizia che li circondano. Né la prima né la seconda “piccola Italia” di Rochester, non ostante il passato glorioso, sono più che microdistretti abbandonati: privo di ogni richiamo all’italianità Montallegro, e fornito di risibili, negletti richiami episodici, e periferici (nell’ambito del medesimo distretto) il secondo.
Jerre Mangione sembra essere scomparso con loro, anche se il nipote Chuck par essere l’ultima addizione, laterale e ben poco visibile, al secondo.
Paolo L. Bernardini
Bibliografia:
Non esistono lavori monografici su Mangione al momento. Per chi voglia farsi un’idea della storia della comunità italiana di Rochester, è utile, per una prospettiva di sintesi, B. McKelvey, “The Italians of Rochester. An Historical Review”, Rochester History, 22, 4, 1960, pp. 1-24. Per una storia maggiormente analitica, F. A. Salamone, Italians in Rochester New York 1900-1940, Lewiston, Mellen Press, 2000; Id., Italians in Rochester New York 1940-1960, Lewiston, Mellen Press, 2008; e Id. Italians of Rochester, New York, Post-World War II Immigration, Prosperity, and Change, Lewiston, Mellen Press, 2014. Dello stesso Salamone vd. il gradevole Viewing an American ethnic community: Rochester, New York Italians in photographs, Lanham, MD, University Press of America, 2010.
Per quel che riguarda la storia editoriale di Mount Allegro:
New York, Houghton and Miffin, 1943.
New York, Hill and Wang, 1952 (con una introduzione di Dorothy Canfield).
New York, Crown, 1972 (con una introduzione di Maria Cimino).
New York, Columbia University Press, 1981.
Syracuse, Syracuse University Press, 1998.
Toronto, CNB, 2011 (audiobook).
Per quel che riguarda le traduzioni non italiane:
Spagnolo. A cura di Abel Hornos, Buenos Aires, Editorial Futuro, 1944. Dove il titolo parla però ingannevolmente di “italiani a New York”.
Per quel che riguarda le traduzioni italiane:
Torino, SAIE, 1955, trad. it. di Jole Pinna Pintor (Arjo), col titolo Montallegro.
Milano, Franco Angeli, 1983, con introduzione di Gans e prefazione di Sciascia, col titolo Mont’allegro.
Torino, SEI, 1996, a cura di Claudio Toscani, col titolo Mont’allegro.
Per quel che riguarda la letteratura secondaria (di cui qui si porta solo qualche titolo):
Michaud, Marie-Christine, “Mount Allegro de Jerre Mangione: ou une interprétation constructive du passé?”, Hommes & migrations, A. 49, n. 1311 (apr-giu 2015), p. 162-168.
Hampson, Zena (4 March 1973). “Jerre Mangione remembers Rochester . . . and the road from a Sicilian immigrant family to publishing, government, and a national writing career”, Democrat and Chronicle, 4 March 1973, Rochester New York. pp. 4–10.
Molto utile per ricostruire la vita ai tempi del romanzo, lo scritto autobiografico dello stesso Mangione, mai tradotto in italiano che io sappia:
Mangione, J., An ethnic at large: a memoir of America in the Thirties and Forties, New York, Putnam and Sons, 1978.
Per comprendere invece il rapporto con la Sicilia, si veda la descrizione dell’incontro e della frequentazione con Danilo Dolci:
Mangione, J., A passion for Sicilians: the world around Danilo Dolci, New York, William Morrow, 1968.
La casa editrice Sellerio ha tradotto due opere di Mangione:
Mangione, J., Ricerca nella notte; traduzione e nota di Giuseppe Massara, Palermo, Sellerio, 1987.
Mangione, J., Riunione in Sicilia; nota di Giuseppe Prezzolini; traduzione di Maria Anita Stefanelli, Palermo, Sellerio, 1992.
L’autore desidera ringraziare sentitamente il personale della Library della University of Rochester, per la gentilezza e efficienza dimostratagli durante il suo soggiorno di ricerca presso tale istituzione nell’ottobre 2022, e l’Università dell’Insubria, che con un finanziamento FAR ha reso possibile tale soggiorno. Ringrazio anche i Colleghi del Dipartimento di Storia e quelli del Dipartimento di Studi Religiosi e Classici per aver reso estremamente gradevole il soggiorno, sotto ogni punto di vista.