Leggere, scrivere e far di conto nella Sicilia del ‘500 – parte 1
La scuola primaria, uno strumento fondamentale
La scuola primaria costituisce uno strumento fondamentale per la formazione di una struttura sociale in grado di gestire una società in espansione com’è quella siciliana tra ‘400 e ‘500. Far sì che i propri figli imparino a leggere, scrivere e far di conto permette ai notai, ai mercanti e ai gestori di botteghe di coinvolgerli nella attività della loro professione e di iniziare un processo di crescita sociale ed economica che caratterizzerà la società siciliana per tutta l’età moderna.
Sul tema dell’istruzione l’approfondimento strutturale in questi anni è stato fatto con riferimento alla storia dei due Atenei di Palermo e di Catania con gli studi di Orazio Cancila[1] e di Giuseppe Baldacci[2] mentre le altre realtà relative alle scuole primarie e secondarie sono state sono state studiate in modo frammentario ed episodico senza uno sguardo unitario sui temi fondamentali delle ricadute sociologiche e culturali dei processi educativi.
L’approccio alla ricerca è condizionato dalla mancanza di fonti archivistiche
Obiettivamente l’approccio alla ricerca è stato condizionato dalla mancanza di fonti archivistiche che documentino in modo specifico il funzionamento delle scuole primarie tra medioevo ed età moderna. Tirrito, nell’introduzione al suo studio sull’istruzione pubblica nella Sicilia rinascimentale, specifica come l’indagine archivistica sia stata condotta utilizzando le fonti prodotte dagli organi di governo del Regno e delle città come Palermo o Catania[3]. La lettura dei documenti pubblicati ci fa capire che l’istruzione primaria fosse considerata un percorso formativo attinente alla sfera privata della famiglia. Nella documentazione del Tirrito non abbiamo trovato né una prammatica viceregia e neppure un bando municipale che disciplinasse questo importante momento formativo in modo organico con l’ottica di un interesse pubblico.
Partendo da queste considerazioni ho rivolto l’attenzione ai fondi archivistici notarili e a quelli giudiziari. I registri notarili hanno restituito i contratti che i genitori stipulano con i maestri di scuola mentre gli atti giudiziari ci aprono uno squarcio sulle contestazioni che i genitori fanno ai maestri nel momento in cui ritengono che gli obiettivi didattici prefissati nei patti contrattuali non siano stati raggiunti.
Ciò che emerge dai contratti
Nei primi anni dell’età moderna il modello che emerge dai contratti è analogo a quello del mondo romano: un maestro si pone sul mercato rendendosi disponibile ad accogliere nella sua classe un certo numero di bambini per insegnare loro a leggere, a scrivere e a far di conto; i genitori aderiscono alla sua proposta stipulando un contratto nel quale sono inseriti sia l’offerta formativa della didattica sia la retta che dovrà essere corrisposta. Un sistema che si autoregola con il gioco della domanda e dell’offerta professionale senza che ci sia un filtro istituzionale che regoli il tutto e in particolare: l’abilitazione all’insegnamento da parte del docente, la qualità dell’insegnamento e il raggiungimento degli obiettivi didattici. Ne consegue che le controversie che possono insorgere tra genitori e maestri si risolvono o con un accordo bonario tra le parti o con il ricorso al tribunale civile al quale le parti adiscono per la tutela dei propri interessi.
La Controriforma del Concilio di Trento
Bisogna aspettare la Controriforma del Concilio di Trento perché si faccia strada il concetto che sia essenziale istruire tutti i giovani a imparare a leggere e scrivere. Bisogna far fronte alla necessità di accostare il maggior numero di ragazzi alla formazione religiosa per controbattere l’eresia di Martin Lutero e l’unico strumento efficace, ci si rende conto, è quello di creare scuole gratuite nelle quali istruire non solo alla lettura o alla scrittura ma, anche, alla dottrina cristiana. Sorgono presso le parrocchie scuole sostenute dai lasciti dei fedeli e un ordine religioso – gli Scolopi – dedicato proprio all’istruzione primaria dei giovani e in particolare di quelli che non hanno le risorse economiche da investire nella formazione scolare. Si dovrà aspettare la seconda metà del ‘700 e l’800 per un approccio laico al problema e un intervento sempre più incisivo da parte dello Stato.
Altra testimonianza che è emersa dalla ricerca archivistica è che la comunità ebraica in Sicilia ha una struttura di scuole confessionali mirate a dare la possibilità ai ragazzi di imparare a leggere i testi sacri.
Ma questa è un’altra storia, in questa breve riflessione darò conto della documentazione incontrata nella mia ricerca con l’obiettivo di sollecitare a delle letture comparate dei già menzionati temi anche in altre realtà territoriali.
(Continua…)
Note:
[1] O. Cancila, Storia dell’Università di Palermo dalle origini al 1860, Unipapress, Palermo, 202.
[2] G. Baldacci, Le università degli studi in Sicilia. Il monopolio di Catania e la sfida con Messina e Palermo, (XV-XIX secolo), Giuseppe Maimone editore, Catania, 2020.
[3] M. Catalano Tirrito, L’istruzione pubblica in Sicilia nel Rinascimento, in «Archivio storico per la Sicilia orientale», Anno VIII (1911, fasc. I e II – A. IX (1912), fasc. I.
Ninni Giuffrida