Leggere, scrivere e far di conto nella Sicilia del ‘500 – parte 2
L’esperienza della comunità ebraica
L’esodo[1] dalla Sicilia degli ebrei, dopo le determinazioni dei sovrani spagnoli del 1492 di espellerli dal Regno di Sicilia, mette in rilievo anche l’importanza che la comunità attribuisce ai libri in ebraico per il ruolo che essi hanno nella formazione e nel mantenimento dell’identità culturale e religiosa della stessa. Infatti, è pressante al viceré la richiesta dei rappresentanti delle giudaiche di salvare i libri da portare con sé nell’esodo dalla Sicilia. Citiamo due casi: la prima richiesta è formulata dalle giudecche di Malta e Gozo che chiede “chi ipsi iudei poczano nexiri et extrairi loru libri tori et altri libri iudaichi tanto di la dicta muskita como di li iudei[2]”; la seconda è riproposta, alcuni giorni dopo, al viceré anche da parte dei rappresentanti di tutte le giudaiche siciliane con la quale si chiede “Li siano dati et possano extrahiri extra Regnum li teuri hoc est la scriptura sula et libra di ipsi iudey actento restando icza non sirviriano ad nenti et a loro su necessarij[3]”.
D’altra parte, la possibilità di potere accedere direttamente alla lettura dei testi sacri costituisce per la comunità ebraica un’esigenza imprescindibile per il consolidamento del senso di appartenenza da parte del singolo giudeo all’identità religiosa e culturale della collettività di cui fa parte. Per raggiungere questo obiettivo si pone particolare attenzione all’alfabetizzazione dei giovani, prima del loro inserimento nel mercato del lavoro, per insegnare loro la lingua dei padri e avvicinarli ad una prima lettura del Talmud.
Per ogni comunità siciliana si deve creare una scuola dove imparare i rudimenti della lettura
Ne consegue che è necessario per ogni comunità siciliana creare una struttura scolastica dove i ragazzi possono imparare i rudimenti della lettura e della scrittura e cominciare ad avere contezza dei testi sacri. Notizie dell’esistenza di queste scuole si hanno dalla lettura di diversi atti notarili nei quali si fa riferimento sia ai contratti che i genitori stipulano con i maestri.
Questi dati frammentari, che poco dicono su come è organizzata una scuola destinata ai giovani giudei, possono essere integrati grazie ad un fascicolo processuale della Corte Pretoriana nel quale sono raccolti gli atti di una causa che vede come convenuto il maestro Chanino Medui e come attore Misudo di Guglielmo, padre di un suo allievo[4]. L’accusa rivolta dal Misudo al maestro è di non essere riuscito ad insegnare alcunché a suo figlio, la difesa è legata invece alla dimostrazione dell’incapacità del ragazzo di recepire gli insegnamenti profusi dal suo insegnante, il quale ha svolto il suo mestiere con professionalità e con un impegno didattico non indifferente. Il povero maestro Chanino, se fossero state provate le accuse del Misudo, sarebbe stato costretto a chiudere la sua scuola con un grave danno di immagine e con l’obbligo di restituire le rette sino a quel momento percepite. Egli si difende con grande energia portando in tribunale numerosi testimoni che descrivono il modo come insegnava ed elogiano la sua professionalità. Le testimonianze allegate agli atti processuali, indipendemente se a favore o contro il maestro Chanino, permettono di ricostruire il funzionamento di una scuola ebraica. Infatti, le diverse deposizioni ci consentono di individuare alcuni componenti essenziali della stessa e cioè: la composizione della classe, la didattica utilizzata per l’insegnamento, i libri di testo adottati. I rapporti tra il maestro e i genitori sono regolati da un contratto stilato da Benedetto de Geraci, notaio della giudaica di Palermo, in cui si elencano i nomi di dieci ragazzi che frequenteranno la classe ai quali si aggiungono, con esplicita autorizzazione dei genitori degli altri scolari, altri tre allievi[5]. La necessità di ottenere una specifica deroga all’aumento del numero dei ragazzi mi fa pensare che una classe di dieci scolari è considerata al limite della praticabilità didattica e che un ulteriore incremento avrebbe impedito al maestro di impartire un proficuo insegnamento. La retta pagata dai genitori per la frequenza scolastica ammonta complessivamente ad onze 6 e tarì 1, da corrispondere in tre rate ogni quattro mesi. L’inizio delle lezioni è fissato per il mese di settembre e il ciclo didattico si completa in un anno.
L’organizzazione della didattica nella scuola di mastro Chanino
Le testimonianze disegnano anche l’organizzazione della didattica nella scuola gestita da mastro Chanino: in primo luogo, gli «scolares» sono iniziati «ad sciendum litteras ebraicas quantumcumque dificiliores ebraico», successivamente ci si dedica alla lettura dei libri sacri, in particolare del «lu Talmuto». Uno dei testi, il maestro Nisim de Randacio, afferma di avere interrogato il figlio di Misuto e di avergli chiesto «hai lectu Brachot?». Alla risposta «misser sì» aggiunge «ki lu fici legiri circa sey ringa di lu dictu Brachot lu quali li lessi notabilmenti secundu la sua etati». Le sei righe lette dal ragazzo appartengono al trattato talmudico Berākōt[6] utilizzato come libro di testo dal suo maestro Chanino. La testimonianza di Gaudio Adila può servire a comprendere il metodo utilizzato per impartire l’insegnamento: lo stesso afferma che «ipse filius Mussuti stabat coram eodem Chanino cum libro aperto a lu quali ipsu Chaninu insignava allegiri et quillo chi dichia lu mastru dichia lu garzuni et quandu lu garzuni si arrava ipsu Chaninu lu riprindia». Poche parole con le quali si descrive una classe di dieci ragazzini che stanno con il libro aperto sulle ginocchia e che ripetono in coro ad alta voce le righe lette dal maestro; ogni qual volta qualcuno degli allievi s’impuntava (arrava) la “ferula” lo sollecitava opportunamente.
Il quadro complessivo che emerge da questo mosaico di frammenti di testimonianze è quello di una scuola elementare “confessionale”, che si pone come obiettivo primario di non far cadere nell’oblio la conoscenza dell’ebraico e di avvicinare i giovani ai sacri testi perché facciano parte integrante della loro identità culturale e religiosa[7]. Una scuola che è funzionale ai meccanismi sociologici necessari alla comunità per mantenere la propria identità e che trova nella religione e nella ritualità uno dei più consolidati punti di riferimento[8]. L’espulsione spazza via anche quest’importante pilastro sul quale si costruisce la struttura dell’identità della comunità ebraica.
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Note:
[1] Nella documentazione prodotta dai rappresentanti delle giudaiche siciliana non si usa il vocabolo “espulsione” bensì quello di “migrazione”, come si può ricavare dall’espressione «chi havendoli iudei ad migrari da quisto Regno». Penso che la traduzione corretta del termine “migrari” sia “esodo” che rende meglio della parola “espulsione” la tragedia che gli ebrei siciliani vivono nel 1492. (B. e G. Lagumina, Codice diplomatico dei giudei di Sicilia, Documenti per servire alla storia di Sicilia pubblicati a cura della Società siciliana per la storia patria, Prima serie – Diplomatica , vol. III, Palermo, 1895. Doc. DCCCXC, Messina 19 giugno 1492, ind. X.
[2] Ivi, doc. DCCCCLVII, Messina, 18 agosto 1492, ind. XI
[3] Ivi, doc. DCCCLXXIV, Messina, 30 agosto 1492, ind. X.
[4] Asp, Cp, vol. 2817, fasc. 27 intestato alle parti. Gli atti conservati nel fascicolo sono stati redatti nel 1484 come si può ricavare dal riferimento cronologico alla seconda indizione apposto a margine di diversi documenti. Il ciclo indizionale si ripeterebbe nel 1469, ma il contesto cronologico dei fascicoli conservati nella busta lo fa escludere, e nel 1499 quando l’espulsione degli ebrei dalla Sicilia era stata resa operativa.
[5] Ivi. Il documento notarile è redatto nel 1483 (prima indizione) dal notaio della Giudaica Benedetto de Girachi. Il contratto ricalca il formulario tradizionalmente adottato per questo tipo di prestazione dell’opera di ingegno. In primo luogo si individuano tutti coloro che utilizzano i servigi dell’insegnante. Infatti, il maestro Chanino Medui si obbliga “di insignari” «a li persuni infrascripti»: Iuda figlo di Brachuni Caynu Xuffi, Manuele Chazeni figlastro di Gabriele di lu Medicu, Xibite e Giuseppe figli di Farugo Sivena, Salamone e Giuseppe figli di Zaccuni Hodila, Tobia e Michele figli di Manuele Chateni, Bosacca e Abramo figli di Misudo di Guglielmo. Si specifica, inoltre, che Chanino non possa aumentare a dismisura il numero dei ragazzi ammessi a frequentare le sue lezioni; conseguentemente è costretto a chiedere l’autorizzazione ai genitori che stanno sottoscrivendo il contratto. Grazie a questa deroga, si aggregano alla classe il figlio del maestro Mosè Chafeni, il figlio di Farugo Isac e il figlio di Azzaruni Hastuni. Si specifica, inoltre, che «a li notti di la vernata li divirà insignari dui uri homini notti». Le rette sono così pagate: Brachuni Cayno onza 1, Gabriele tarì 25, Farugo Sivena onza 1.6, Zaccuni onza 1, Manueli onza 1, Misudo di Guglielmo onza 1.
[6] H. Bresc, Livre et société en Sicile (1299 – 1499), Palermo, 1971, p. 259.
[7] H. Bresc, Arabi per lingua cit., p. 49. «La trasmissione del sapere religioso è condizione indispensabile per l’esercizio del culto e la buona conoscenza delle regole religiose, rituali e morali che costituiscono la comunità. Le scuole sono ovviamente la garanzia indispensabile dell’unità e della conformità alla Legge.»
[8] Ivi, p. 50. «L’esempio della scuola di Polizi dà insieme la misura del significato e dei limiti dell’insegnamento impartito: si tratta in pratica soprattutto dell’ebraico e della letteratura biblica e si può assimilare all’insegnamento del “kuttâb” tunisino del primo 1900, che comprendeva l’alfabeto, le preghiere, le cantilene, un po’ di vocabolario … L’insegnamento aveva come obiettivo di consentire l’accesso alla “kalâkhâh”, ai trattati talmudici e probabilmente al contenuto di altri libri ebraici».
Ninni Giuffrida