L’EUROPA MULTIPOLARE Nascita del diritto internazionale e politica dell’equilibrio in Europa.
Le paci di Utrecht e Rastadt rappresentarono la piena affermazione del principio dell’equilibrio di potenza in Europa. Già durante il XVII secolo si andava affermando nel continente, un particolare assetto geopolitico che rappresentò la condizione necessaria alla formazione di un’Europa multipolare ed interdipendente. I trattati di pace di Vestfalia (Guerra dei Trent’anni), dei Pirenei (Guerra Franco – spagnola 1635-59) e d’Oliva (1660 affermazione della dinastia Hohenzollern in Prussia) consegnarono una situazione internazionale piuttosto complessa, fu questo il periodo di una riconfigurazione geopolitica del continente europeo. L’egemonia spagnola su di esso, era ormai un lontano ricordo, i tentativi di “Monarchia Universale” di Carlo V e di “ Monarchia Imperiale” del figlio Filippo II erano falliti. Intorno alla metà del ‘600 una nuova potenza tentò d’imporre la propria egemonia in Europa, la Francia di Luigi XIV. Vecchie impostazioni storiografiche tendono a restituirci questo periodo come caratterizzato da uno scontro a due, un’Europa bipolare, mentre la storiografia più recente ha riletto questo periodo, parlando più che di bipolarismo di multipolarità (Galasso,Bazzoli,Alatri). Nuovi protagonisti s’inseriscono nella contesa della politica di potenza in Europa, grandi e piccole realtà nazionali emergono prepotentemente nel panorama politico internazionale: il BrandeburgoPrussia, la Russia, la corona austriaca e soprattutto l’Inghilterra, sono realtà che giocheranno un ruolo fondamentale lungo tutto il XVIII secolo. Questo nuovo soggetto, l’Europa multipolare contribuì nel contrasto all’ascesa egemonica della Francia del re Sole, intervenendo quasi naturalmente ad arginare il tentativo espansionistico francese con la guerra della Lega d’Augusta ed il conseguente trattato di pace di Rijswijck (1688-1697). Dalla pace di Vestfalia in poi si formò in Europa una vera e propria comunità internazionale che ebbe come strumento il diritto internazionale e come fine la politica dell’equilibrio per favorire i progetti egemonici della grandi nazioni, Inghilterra ed Austria in primis. In questo arco temporale, la diplomazia cessa di essere un semplice istituto di negoziazione della pace e della guerra trasformandosi in un’istituzione permanente, un organo vitale, di quel complesso organismo che è lo stato moderno; tutti gli stati europei si dotarono di apparati per le relazioni internazionali; il diplomatico tra sei e settecento diventò una vera e propria professione. I primi a proporre una teoria dell’equilibrio e del diritto internazionale, furono gli italiani, fungendo da intermediari in numerosi tavoli di pace, primo fra tutti quello di Vestfalia, dove diplomatici dello Stato Pontificio e della Repubblica di Venezia giocarono un ruolo fondamentale nelle trattative per la pace e per la stipula di trattati separati tra i protagonisti del trentennale conflitto. Testi cardine per lo sviluppo di un diritto internazionale maturo furono il De Legationibus (1585) di Alberico Gentili, un giurista italiano esule a Londra, fu regio professore di diritto civile ad Oxford dal 1587 fino al 1605 quando sarà chiamato a ricoprire invece il ruolo di ambasciatore inglese presso la corte di Filippo III di Spagna per dirimere le controversie sulla pirateria; il testo del grande giurista italiano, servì come spunto per l’elaborazione del De iure belli ac pacis del padre del giusnaturalismo Ugo Grozio, pubblicato ad Amsterdam nel 1625; infine ricordiamo un altro importantissimo apporto normativo, il Codex iuris gentium diplomaticus dovuto ad un grande nome della cultura europea Gottfried Wilhelm von Leibniz pubblicato nel 1693, opera monumentale che si riproponeva di raccogliere i documenti sui quali si fondavano i diritti reciproci tra gli stati dal 1096 al 1497. I trattati, i patti, gli accordi stipulati tra gli stati dopo la fase di elaborazione teorica seicentesca andarono a formare la base testuale dello Ius Gentium, il diritto pubblico internazionale, che non si rimetteva più alle statuizioni dei poteri universali, Chiesa ed Impero, oppure a consuetudini non formalizzate, trovava in questo modo sviluppo una formalizzazione del diritto internazionale scritto che precedette di circa un secolo la formalizzazione nazionale dei codici napoleonici. Infine, un altro fondamentale aspetto della modernizzazione del diritto internazionale fu il passaggio dal latino al francese, nella redazione di trattati ed accordi. Grazie all’applicazione di questi testi normativi, le regole del gioco diplomatico subirono una straordinaria rivoluzione, così durante tutto il XVIII secolo in Europa si trovò uno strumento consono alla concreta realizzazione della politica dell’equilibrio. Fu con le paci del biennio ’13-14 che il principio dell’equilibrio di potenza divenne il fondamento dell’ordine internazionale e della pace. Per esplicitare quanto sia mutato il contesto storico internazionale tra l’inizio e la fine del XVII secolo riportiamo quanto scrivevano due attenti osservatori del tempo. Enrico II di Rohan un grande condottiero ugonotto vissuto nella prima metà del secolo scriveva nella sua opera Sull’interesse dei principi e degli stati della cristianità(1638):
Nell’equilibrio tra Francia e Spagna risiede la tranquillità e la salvezza di tutti.
Il poeta e pedagogo francese Francois Fenelon a distanza di più di mezzo secolo, nel suo romanzo formativo, dedicato al nipote di Luigi XIV, Luigi di Borbone di cui fu mentore, Le avventure di Telemaco(1699) affermava:
Tutte le nazioni vicine sono talmente legate dai loro interessi le une alle altre e a tutta l’Europa, che i più piccoli progressi particolari possono alterare questo sistema generale ch’è l’equilibrio e che solo può garantire la sicurezza collettiva. Togliete una pietra da una volta e tutto l’edificio crolla, perché tutte le pietre si sostengono contrapponendosi.
Si può facilmente notare, da questi interventi, come sia palese, la mutata situazione nei rapporti internazionali tra gli stati e la loro percezione da parte dei contemporanei. Durante il settecento, dunque, le relazioni tra gli Stati si complicarono e nessuno riuscì ad imporre la propria egemonia con gli strumenti classici, cioè la guerra e la conquista territoriale. Spesso si tende a vedere nell’equilibrio tra potenze una regola d’immobilità basata sul rispetto dello status quo, ciò è vero solo in parte ed in determinate condizioni storiche. Non è affatto vero, per quanto riguardò la sua applicazione dopo la guerra di successione spagnola, dove l’equilibrio o meglio la ricerca di un equilibrio attraverso divisioni o mutilazioni di potenze troppo forti o troppo estese, accorpamenti di potenze, incrementi di territorio, fu un elemento cardine dell’imposizione di una politica di potenza da parte dell’Inghilterra. Questo tipo di politica, tenacemente sostenuto dalla corona inglese ad Utrecht e Rastadt e per tutto il secolo si rivelò strettamente funzionale alla sua politica di potenza marinara e di primato mondiale per questa via. In sostanza possiamo dire che, adeguandosi al mutato contesto storico e geopolitico, la ricerca di equilibrio era una via alternativa all’imposizione dell’egemonia globale durante il XVIII secolo. Appare importante sottolineare come la politica inglese si svolgesse settorialmente, in punti strategici per l’imposizione della propria egemonia, bilanciando le conquiste di spazi sul mare con le concessioni territoriali ad altre potenze. Per fare un esempio, quando l’Inghilterra ai tavoli di pace di Utrecht e Rastadt ottenne il pieno controllo di Minorca, Gibilterra e i vantaggi marittimi e commerciali nell’Atlantico(l’asiento de negros ed il navío de permiso), questi vennero bilanciati dalla concessione all’Austria dei Paesi Bassi spagnoli, Milano, Napoli e la Sardegna; controllando però, il Mediterraneo e l’Atlantico l’Inghilterra gettava le basi per un nuovo tipo di egemonia globale, basata appunto sull’equilibrio di potenza, non avendo grandi possedimenti territoriali ma attraverso il controllo dei mari e dei commerci si garantiva la possibilità di condizionare radicalmente le potenze continentali, determinare l’equilibrio e tutelare le proprie posizioni sui mari e nei commerci di tutto il mondo. S’introduceva così in Europa un elemento nuovo che introduceva una distinzione radicale tra gli imperi che avevano dimensioni e proiezioni intercontinentali, Inghilterra su tutti, e le potenze che continuavano a muoversi in una prospettiva limitata al continente: e la potenza sarebbe stata sempre più dei primi e sempre meno delle seconde, con una serie impressionante di conferme dai tempi di Napoleone a quelli di Hitler.
Per approfondire:
- G. Galasso, Storia d’Europa, vol. II, L’età moderna, La Terza, Roma-Bari, 1996.
- D .Carpanetto, Le guerre di Successione e i nuovi equilibri europei, in La storia: i grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, vol. 5, L’età moderna. Stati e società., Utet, 1986.
- G. Quazza, L’Italia e l’Europa durante le guerre di successione (1700-1748), in N. Valeri (a cura di), Storia d’Italia, Utet, Torino, vol. II, pp. 643-802.