L’Immacolata dei Serpotta, gelosamente custodita…
La mostra dei Serpotta e il suo tempo attualmente in corso all’Oratorio dei Bianchi, ci dà lo spunto per richiamare l’attenzione su un’opera che ben avrebbe figurato nella stessa, o nel suo catalogo, ma la cui sorte, purtroppo, sembra storicamente essere quella del nascondimento.
Il compianto Padre gesuita Guido Macaluso[1] nel 1997 scrisse sulla rivista dei Gesuiti palermitani[2] un articolo intitolato L’Immacolata di Giacomo Serpotta torna a risplendere. Si era da poco concluso, infatti, il restauro di tale opera: opera sino ad allora, possiamo dire senza dubbi, sconosciuta.
L’articolo infatti iniziava con la descrizione, mai prima pubblicata, di una visita che lo stesso Padre Macaluso aveva fatto al Convitto Nazionale subito dopo la fine della guerra, alla ricerca delle opere d’arte dell’ex Collegio Massimo della Compagnia, perchè scriveva l’indiscriminata distruzione degli Oratori del Collegio Massimo è, fuori di dubbio, una delle più gravi perdite per lo studio di Giuseppe e Giacomo Serpotta. L’attenzione, in particolare, era rivolta a due opere, di cui egli aveva diretta memoria.
La prima è la Cappella che indichiamo come della Madonna della Grotta a motivo del quadro – riproduzione secentesca – che troneggiava sulla parete, incastonata in un motivo a stucco di non vaste proporzioni, ma interessante…formato da una tipica cultra sollevata a modo di baldacchino da angeli e cherubini. Una composizione cara a Giacomo, che ingrandita e arricchita da altri elementi figurativi, la riproporrà nell’Oratorio del Rosario a Santa Cita… Ma dalla cappella, intorno agli anni ’50, sono scomparsi sia il quadretto della Madonna sia il paramento in legno intarsiato coi sedili che correva lungo le pareti laterali. E che, molto fortunosamente, possiamo documentare grazie ad una cartolina (timbrata nel 1935) segnalataci da un collezionista che l’ha rinvenuta sul mercato.
Ben più importante è sicuramente la seconda opera, che così Padre Macaluso ricordava: uno sportello di vetro sporco e sgangherato lascia intravedere la statua…ispirata dalla descrizione dell’Apocalisse (12,1): La Donna vestita di sole e la luna sotto ai suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle. Il Giornale di Cassa 1689-1698 annota: Fabbrica del Collegio, spese per mano del P. Lancella per servizio d’essa fabbrica del I Settembre per tutt’oggi nelle seguenti partite… 28 febbraio 1690. Per nicchia della Vergine della Concezione nella scala nova, cioè: per compra onze 7,70 di gesso, onze 0,26,3 per sacchi di calcare di San Martino. Per mastria della nicchia e statura fatta da Serpotta. E havendo posta la polvere di marmo a suo spese onze 12.
Per circa quarant’anni la statua fu considerata perduta da tutti gli studiosi, pur essendo noto il documento[3] relativo alla commissione e citato da Padre Macaluso.
La statua, invece, si trovava, e si trova, nel primo ballatoio della scala settecentesca della grande aggiunzione del Collegio Massimo, dal 1860 sede del Convitto Nazionale già Vittorio Emanuele e oggi Giovanni Falcone, dove era stata trasferita durante il quarantennio dell’espulsione dei Gesuiti, tra il 1767 ed il 1805, ma la sua posizione originaria era il contesto assai scenografico del primo ballatoio della scala che sul finire del XVII secolo Angelo Italia realizza nel portico del Collegio Massimo, e in cui oggi possiamo nuovamente ammirarla seppur in una riproduzione fotografica quasi al vero[4].
Dalla lettura degli Annali del Padre Alessio Narbone abbiamo potuto apprendere che nel 1836 fu rabbellito il simulacro di Maria Santissima esistente nella scala maggiore; e che sul finire del 1837 dopo una epidemia di colera, la statua dell’Immacolata sulla scala maggiore subì ulteriori migliorie, e fu sostituita l’antica cappelletta di stucco, un’altra nuova di molta vaghezza con cristalli e dorature, cioè l’attuale. Il rabbellimento ne cambiò radicalmente l’aspetto: da statua di candido e lustro stucco, proprio Immacolata, a colorita immagine di devozione popolar-processionale, con il mantello azzurro e stellato, i capelli biondi, poggiata su una roccia basamentale.
Le disastrose condizioni in cui individuammo l’opera attorno al 1990, nel contesto del complessivo rilievo dell’edificio dell’intero ex Collegio Massimo, erano dovute al deteriorarsi di questi rabbellimenti (doratura a porporina, mantello colorato in azzurro, corona di stelle) e alle pessime condizioni termoigrometriche dell’ambiente.
Grazie a contributi privati[5], tra 1997 e 2000 si è proceduto al restauro della statua e dell’edicola, consentendo così agli studiosi la migliore lettura dell’opera. Affidiamo quindi alle parole di Vincenzo Scuderi, Sergio Troisi e Valeria Sola la descrizione dell’opera e dei suoi valori.
Vincenzo Scuderi[6] si sofferma sull’importanza di quello che definisce un Serpotta giovanile: Non si conosce molto, infatti, di tale periodo, ma quel che si conosce (monumento bronzeo a Carlo II di Messina, colonne tortili del Carmine, grande cultra drappeggiata in Santa Cita…) giustamente è stato letto come impennata barocca che sarà mitigata più tardi, dalla compostezza che raffrena molte sculture allegoriche. L’Immacolata dell’ex collegio gesuitico porta molta acqua, evidentemente, alla conoscenza ed alla lettura di tale periodo, in cui le preferenze o inclinazioni di gusto molto probabilmente… devono leggersi sulla scia del padre Gaspare e in particolare delle sue due statue, l’Addolorata e la Maddalena, nel transetto sinistro della Cattedrale, ai piedi del Crocifisso trecentesco.
Troisi[7] ricorda che L’Immacolata è un’opera coeva delle Virtù che in quegli anni l’artista palermitano andava disponendo sulle mensole dell’Oratorio del Rosario in Santa Cita, e di cui riprende sia il modellato austero del volto che il mosso panneggiare barocco della veste.
Un linguaggio profondamente debitore della statuaria berniniana e tardoberniniana conosciuta probabilmente attraverso le stampe e ancora distante da quella cifra di eleganza rocaille che caratterizza l’opera successiva del grande scultore palermitano.
Valeria Sola[8] richiama l’attenzione sul restauro che liberando la forma originaria dell’opera, ne ha messo in evidenza l’altissima qualità, che non può non confermare un intervento del massimo esponente della famiglia, Giacomo. Se vi fu collaborazione del fratello Giuseppe, questa dovette limitarsi forse alla struttura, ma l’aspetto della statua (il volto, le mani, la leggerezza del manto), per quanto finora accertato della piuttosto nebulosa produzione di Giuseppe, appare lontano dalle sue prove note a questa data. Il solo Giacomo del resto… lavorava negli stessi anni ad una nicchia e statua di Santa Rosalia nella cappella della Casa del Noviziato dei Gesuiti; e nel 1690, a conferma dei suoi legami con la Compagnia, il suo nome compare nell’elenco dei Novizi coadiutores… Il recupero riveste particolare importanza per la conoscenza dello stile dell’artista in un periodo del quale rimangono poche testimonianze. Perduta infatti gran parte della produzione di questi anni (Oratorio della Compagnia della Pace, del SS. Sacramento alla Kalsa) e di quella più giovanile (Oratorio della Compagnia degli Incurabili, statue dei santi Pietro e Paolo per la chiesa della Gancia), non può che istituirsi un confronto, per suffragare anche su basi stilistiche l’attribuzione a Giacomo, con le statue allegoriche della navata di Santa Cita, eseguite tra il 1685 e il 1688… La salda impostazione della statua del Collegio Massimo dipende dalla riproposizione di un modello iconografico devozionale ormai codificato, con ogni probabilità richiesto espressamente dai committenti. L’iconografia dell’Immacolata con lo sguardo rivolto al cielo e le mani incrociate sul petto, ripetuta in innumerevoli opere, si era diffusa nel corso del XVII secolo, particolarmente dopo il voto del 1624 per la liberazione dalla peste; ed un esempio era anzi presente all’interno dello stesso Collegio, nell’affresco attribuito da Vincenzo Scuderi al Novelli nella volta dell’ex Congregazione dell’Immacolata (oggi Laboratorio di Restauro della Biblioteca Centrale).
Dopo quasi tre decenni dal ritrovamento, ancora oggi purtroppo l’opera è invisibile e in pericolo: la scala settecentesca è in precarie condizioni che la rendono ufficialmente inagibile, con ogni rischio di un rinnovato oblio, se non di degrado. Non ci resta, quindi, che augurarle maggiore conoscenza e miglior sorte.
[1] Nato a Petralia Sottana (20 novembre 1923 – 1 dicembre 2009), entrò nella Compagnia il 26 gennaio 1947 e fu ordinato il 14 luglio 1957, nel febbraio 1960 divenne Coadiutore spirituale.
[2] Ai nostri amici, anno LXVIII, nr. 4, 1997.
[3] Giornale di Cassa dal 1689 al 1698 del Collegio, in F. Meli, G. Serpotta, 1934, II, p. 147.
[4] Fotografia e stampa di Enzo Braj, Palermo.
[5] I restauri sono stati finanziati dalla Fondazione Salvare Palermo, ed eseguiti dalla Dott.ssa Serena Bavastrelli.
[6] Vincenzo Scuderi, L’arredo artistico della Chiesa e del Collegio Massimo dei Gesuiti a Palermo, pag. 150, sta in Dalla Domus Studiorum alla Biblioteca centrale della Regione Siciliana. Il Collegio Massimo della Compagnia di Gesù a Palermo, Biblioteca centrale della Regione Siciliana, 1995.
[7] Sergio Troisi, Riappare dopo secoli d’oblio l’Immacolata del Serpotta, in Giornale di Sicilia, 1997.
[8] Valeria Sola, Un Serpotta ritrovato La statua dell’Immacolata Concezione nell’ex Collegio Massimo dei Gesuiti. in Salvare Palermo, semestrale dell’Associazione Salvare Palermo, nr. 9 luglio 1997.