L’Italia libertina: un problema storico ancora aperto – seconda parte
Dopo la polemica imbastita da Garasse, il termine avrebbe avuto un destino duplice. Da un lato, esso è entrato nel linguaggio comune, così ancora oggi lo adoperiamo, per designare coloro che vivono esclusivamente per la ricerca dei piacere sensuali e, per riferirci agli icastici versi di un poeta classico, sono ben contenti di arruolarsi come “porci nel gregge di Epicuro”. Ma dal punto di vista storiografico il termine sembrava essersi in qualche modo eclissato, non trovando una sistemazione specifica. Questo almeno fino all’uscita di un’opera straordinariamente dotta e informata come quella pubblicata da Pintard nel 1943, Le libertinage érudit dans la première moitié du XVIIe siècle. Il lavoro dello storico francese avrebbe aperto un’intera tradizione di studi, poiché individuava un gruppo di filosofi, da lui definiti appunto libertini, eredi dello scetticismo e del relativismo di Montaigne. Lo storico francese ha istituito una precisa periodizzazione, per cui oggi i manuali di filosofia contemplano le filosofie libertine, convenzionalmente incardinate tra il naturalismo rinascimentale, da cui per molti versi derivano, e la successiva rivoluzione scientifica, alla quale questi scrittori restano per molti versi estranei, se non indifferenti. Essi più che alla scienza, guardano alla politica e alla storia. Pintard proponeva una distinzione destinata ad avere una certa fortuna, tra due forme del libertinismo: quello erudito e quello dei costumi. Le ricerche di Pintard contenevano molti riferimenti alla cultura italiana del Seicento, per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, perché i libertini francesi avevano attinto a piene mani alle opere di filosofi italiani quali Pomponazzi, Cardano, Vanini. In secondo luogo, perché alcuni degli esponenti più rappresentativi di quel movimento avevano trascorso molti anni in Italia. L’esempio più eloquente era quello di Gabriel Naudè, il quale aveva studiato medicina a Padova, per poi passare a Roma, dove avrebbe scritto l’opera politica più controversa di questo periodo le Considerazioni politiche sui Colpi di stato. Le osservazioni di Naudè sull’Italia del tempo contengono molto osservazioni degne di nota. Mi limito a rilevarne due. Secondo lo scrittore francese, nonostante l’Italia fosse il centro del cattolicesimo, il paese era “pieno di atei, libertini e di gente che non crede in niente”. Con Naudè, insomma, nasceva il mito degli italiani atei e increduli che si rivolgerebbero alla religione solo per motivi esteriori o, peggio ancora, per spirito di superstizione. Inoltre, sul piano strettamente filosofico, Naudè descriveva una nazione in cui, dopo la prodigiosa fioritura rinascimentale, la cultura filosofica era diffusa ovunque e in maniera capillare, al punto che molti piccoli centri potevano annoverare la presenza di filosofi di prima grandezza. Naudè ne forniva un elenco molto minuzioso, in cui inseriva figure oggi poco considerate come Agostino Nifo, il filosofo di Sessa Aurunca, molto noto all’epoca anche per aver pubblicato un’opera in cui plagiava interi passi di Machiavelli. Benedetto Croce, in una sua noterella dedicata alla testimonianza di Naudè rifletteva su come all’epoca vi fossero ben pochi dubbi: l’Italia era il luogo di elezione della filosofia, come gli stessi francesi ammettevano. Secondo Pintard, quindi, l’Italia aveva avuto un ruolo insostituibile. Essa avrebbe formato il retroterra culturale per un’intera generazione di filosofi francesi, prima che questa vivacità e questi fermenti venissero stroncati dal trionfo della Controriforma. L’azione intrapresa dal Concilio di Trento, e in particolare dai gesuiti, avrebbe reso impossibile la libera ricerca intellettuale.
Se si tiene presente questo quadro, si può cogliere tutta la portata che ebbe nel 1950, la pubblicazione de La ricerca dei libertini di Giorgio Spini. Il libro dello storico fiorentino conteneva una tesi dirompente: non solo in Francia, ma anche nell’Italia del Seicento vi era stata una tradizione libertina. Per suffragare questa tesi lo storico fiorentino individuava una serie di scrittori e di movimenti eterodossi, radicati principalmente attorno alla Napoli dell’accademia degli Investiganti e alla Venezia dei filosofi naturalisti e di Sarpi. La Serenissima aveva però un indiscutibile primato come centro di questa tradizione scettica e anticonformista. In particolare, Spini richiamava la funzione svolta dall’Accademia degli Incogniti fondata dal patrizio Giovan Francesco Loredan, dalla quale nella prima parte del secolo, erano usciti autori particolarmente controversi e scandalosi. Primo tra tutti Ferrante Pallavicino che pagò con la vita l’essersi opposto in una serie di libelli al vetriolo alla “tirannia spirituale” del pontefice Urbano VIII.
Benedetto Croce, in una recensione per i “Quaderni della critica”, segnalò l’importanza del libro di Spini ma giudicandone erronee le tesi di fondo. Sentire parlare di “libertini italiani” era una cosa, scriveva Croce, “che mi ha dato insieme qualche meraviglia e qualche dubbio, perché, a dir vero, nel percorrere quel secolo sotto i suoi vari aspetti, non mi era occorsa qualcosa di tale importanza da poterla accostare al libertinismo che fu in Francia e in altri paesi”. In particolare, secondo Croce, lo storico fiorentino avrebbe dato troppo risalto allo sventurato Pallavicino collocandolo “in un posto che non gli spetta”. A suo avviso, quindi, andava riaffermata l’idea che non era esistito in Italia un fenomeno che fosse comparabile al libertinismo quale si ebbe in Francia “e ciò – scriveva – dipese da note condizioni di ambiente e di tradizione che non permisero il tono leggero e ridente in cose di religione”. Sulla stessa linea esegetica si collocava lo storico di formazione crociana Vittorio de Caprariis, secondo il quale per libertinismo doveva intendersi tout court il libertinismo francese.
Sarebbe impresa piuttosto ardua mostrare nello spazio ristretto di questo intervento come il discorso storiografico successivo abbia seguito il sentiero tracciato da Spini, allontanandosi dall’idea di una esclusività francese tanto cara a Croce. Negli studi attuali si parla ormai correntemente di libertinismi, ritenendo che non solo in Francia, ma anche in Italia il Seicento abbia visto il permanere di tendenze scettiche ed incredule. Già negli anni Ottanta del Novecento questo era un dato per molti versi consolidato. In quella fase Spini avrebbe riproposto una seconda edizione della Ricerca, chiarendo le ragioni intellettuali e biografiche che trent’anni prima lo avevano portato a scrivere quel libro così importante. Sergio Bertelli avrebbe poi curato un altro interessante volume collettivo su Il libertinismo in Europa, in cui si sollevavano problemi per molti versi nuovi. La ricerca dei libertini era ancora tutta da fare.