Lo strano incidente stradale del Generale Carlo Ciglieri
Interrogativi, indagini e dichiarazioni
Un’altra morte che non può non porre interrogativi è quella del generale dei carabinieri Carlo Ciglieri avvenuta il 27 aprile 1969 in uno strano incidente stradale in Veneto mentre alla guida dell’autovettura del Ministero, in una giornata limpida e piena di sole, percorreva la strada, in un tratto rettilineo, tra Bassano e Padova.
Ciglieri aveva incaricato, come si detto in un precedente articolo, il colonnello Manes di indagare sul Piano Solo. Manes, morì circa due mesi dopo, il 25 giugno per malore, prima di deporre dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta che indagava sul Piano Solo. I familiari, come si è detto in altro articolo, sostennero essersi trattato di un omicidio.
L’Espresso, nel maggio del 1969, aveva riportato le dichiarazioni di alcuni alti ufficiali dell’Arma dei carabinieri che avevano riferito, sia pure in maniera anonima, di un vero e proprio progetto di Golpe organizzato dal generale De Lorenzo e dai vertici dell’Arma e che avrebbe dovuto mettere il Paese sotto il controllo militare.
A seguito di tale articolo, su sollecitazione del ministro della Difesa, il 18 maggio, il generale Ciglieri incaricava il vicecomandante Manes di individuare i militari, che celandosi dietro l’anonimato, avevano fatto le suddette dichiarazioni all’Espresso. Ciglieri richiedeva infatti al Manes “una rigorosa indagine nell’ambiente dell’Arma circa gli autori delle note dichiarazioni contenute nel n.21 de “L’Espresso” che, come risultava dall’articolo del settimanale, apparivano riconducibili a personale dell’Arma.
L’indagine condotta con scrupolo dal generale Manes, attraverso le dichiarazioni dei generali Azzari, Dalla Chiesa (Romolo),Picchiotti, Zinza ed altri, arrivò alla conclusione che effettivamente vi era stato in Italia, nel 1964, un tentativo di colpo di Stato ed in particolare che era stata accertata l‘esistenza di vere e proprie liste di proscrizione cioè di soggetti del mondo della politica e del sindacato che avrebbero dovuto essere arrestate e trasferite nel Centro Addestramenti Guastatori di Poglina, nel territorio di Alghero, fino a quando non fosse cessata l’emergenza. . Il piano prevedeva tra l’altro l’occupazione dei quotidiani comunisti “L’Unità” e “Paese Sera” per “il tempo strettamente necessario a rendere inefficienti tutte le macchine tipografiche onde rendere impossibile la stampa” nonché l’occupazione delle Prefetture, della RAI, del Quirinale, di Palazzo Chigi, delle carceri.
Questa eclatante conclusione non fu certamente gradita al generale Ciglieri, subentrato come comandante dei carabinieri a De Lorenzo, dato che l’inchiesta, nata con la finalità di individuare e punire quei militari che avevano fatto le gravi rivelazioni all’Espresso, aveva invece finito per confermare la veridicità di quelle affermazioni ponendo nelle mani del Ciglieri un dossier scottante.
L’incidente in cui perse la vita il generale Ciglieri apparve inspiegabile. La Giulia, a bordo della quale si trovava il generale, al momento dell’incidente, percorreva un tratto di strada rettilineo quando all’improvviso aveva sbandato a destra ribaltandosi. Ciglieri morì poco dopo in Ospedale senza riprendere conoscenza. La Procura della Repubblica di Padova, dopo avere compiuto rapidi accertamenti, dopo qualche mese, archiviò il caso. Non venne disposta l’autopsia sul corpo del Ciglieri ( cosa che era avvenuta anche nel caso della morte del generale Manes) e il rapporto della polizia stradale attribuì la causa dell’incidente alla guida spericolata del conducente.
Non venne effettuata nessuna perizia sul mezzo al fine di verificare se fossero intervenute manomissioni sugli organi meccanici della vettura che potessero giustificare un eventuale sabotaggio. Venne soltanto effettuata dai carabinieri una generica indagine tecnica. La figlia Anna Rosa giurò che il padre era un conducente estremamente prudente e un testimone riferì che l’auto viaggiava sui 70 Km orari. La figlia, nel 1990, chiese al giudice Casson, di aprire una nuova inchiesta sulla morte del padre e fu anche da Casson aperta una inchiesta per accertare perché non gli era stata mai recapitata una lettera che la figlia di Ciglieri gli aveva inviato per chiedergli di avere un colloquio con lui.
Dichiarò allora alla stampa la figlia: “Era da ventun anni che aspettavo questo colloquio e ho preso questa decisione per tutelare l’immagine di mio padre accusato dai politici, Aldo Moro compreso, di non avere detto loro tutto”. Dichiarava ancora di avere consegnato al giudice Casson “documenti, appunti e una lettera che renderò nota alla stampa nei prossimi mesi e che mio padre scrisse il 6 febbraio 1968 all’allora presidente del Consiglio, Aldo Moro, riepilogando il proprio comportamento nell’indagine sulle deviazioni del Sifar”. Il procuratore della Repubblica di Padova chiese di riesaminare gli atti relativi all’inchiesta che era stata archiviata nel settembre del 1969.
Alimentò poi i dubbi sull’ipotesi dell’incidente, la scomparsa dalla autovettura del Ciglieri, subito dopo l’incidente, di due cartelle di pelle nera che questi aveva con sé. Che queste due cartelle si trovassero all’interno dell’autovettura al momento dell’incidente trovò conferma in quanto dichiarato ai carabinieri che avevano riaperto le indagini, sia pure ventidue anni dopo, da Romano Zangrossi, un fotografo che era giunto sul luogo dell’incidente nella quasi immediatezza.
Questi infatti si disse certo di avere visto all’interno della autovettura due cartelle di pelle nera, con la base larga a soffietto, cosa che peraltro risultò evidente dalle foto da lui scattate sul luogo dell’incidente e consegnate ai carabinieri. In una di queste foto infatti si notava chiaramente una delle cartelle spuntare dall’auto rovesciata. Di questi documenti, scomparsi, si perse ogni traccia. Dichiarò inoltre lo Zangrossi, giunto sul posto contemporaneamente alla polizia stradale: “la prima impressione che ebbi, quando arrivai sul posto insieme alla stradale e vidi il segno dei pneumatici, fu che quella sbandata fosse stata provocata da qualcosa”.
Da chi furono prelevati i documenti contenuti nelle due cartelle? ; documenti che certamente dovevano essere importanti e tra i quali, secondo la moglie del Giorgieri, doveva anche esserci il rapporto integrale redatto dal generale Manes sul Piano Solo e sulle deviazioni del Sifar . Viene poi spontaneo chiedersi dove andasse quella domenica mattina il generale Ciglieri da solo e in borghese, con l’auto del ministero portando con sé due cartelle piene di documenti. Disse la figlia Annarosa Ciglieri che certamente doveva trattarsi di un appuntamento importante se il padre era andato da solo con l’auto del ministero della Difesa portando con sé delle cartelle con documenti.
Non fu mai accertato con chi dovesse incontrarsi quella mattina il generale Ciglieri né ebbe la possibilità di riferirlo alla Commissione parlamentare di inchiesta dalla quale avrebbe dovuto essere sentito una settimana dopo, dato che morì prima della programmata audizione, così come morì il generale Manes, redattore del rapporto sul Piano Solo, qualche minuto prima di essere sentito dalla medesima Commissione. La vicenda dei documenti scomparsi ricorda quella borsa di Borsellino contenente la famosa agenda rossa, borsa vista all’interno della autovettura subito dopo l’attentato e poco dopo scomparsa.
Il generale Giorgieri fu oggetto, il 6 gennaio 1968, alla Camera, di un pesante attacco da parte di Aldo Moro, allora presidente del Consiglio, che lo accusò di non avere informato adeguatamente il Governo dell’inchiesta e delle relative risultanze. Ciglieri fece presente a Moro che l’accusa era ingiustificata dato che già il 23 maggio 1967 aveva consegnato al ministro della Difesa Tremelloni un appunto sul tentativo di colpo di Stato progettato da De Lorenzo e che il 16 novembre dello stesso anno aveva inviato all’ammiraglio Henke la versione integrale del rapporto Manes.
Prima di allora si era recato dal neo ministro della difesa Luigi Gui chiedendo che tutta la vicenda venisse discussa in Parlamento minacciando che in caso contrario si sarebbe dimesso dal proprio incarico in maniera tale che da civile, libero quindi da vincoli gerarchici, avrebbe potuto rendere nota tutta la vicenda. Non bisogna dimenticare che fu proprio Moro insieme a Cossiga e Gui ad apporre sulla relazione del Manes ben 72 omissis. Nove mesi dopo e precisamente l’8 febbraio 1968 Moro cambiò completamente atteggiamento. Inviò infatti al Ciglieri una lettera piena di elogi.
Ciglieri quindi si trovò in mano il famoso rapporto del Generale Manes relativo alle indagini da questi effettuate sul tentativo di golpe del Generale De Lorenzo, progetto che vedeva anche il coinvolgimento di alti ufficiali dei carabinieri e di appartenenti al mondo politico e dei servizi. Lo stesso, a fronte delle resistenze di organi ai vertici delle istituzioni che tentarono di occultare la vicenda anche mediante l’apposizione dei famosi omissis, dopo avere inutilmente informato l’allora ministro della difesa Tremelloni e il capo del SID Ammiraglio Henke, si vide costretto a minacciare le dimissioni dal proprio alto incarico per essere libero di rivelare pubblicamente il contenuto del rapporto Manes.
Una minaccia che non dovette certamente essere gradita ai destinatari di cui sopra. E’ significativo il fatto che dopo una settimana dalle accuse mossegli da Moro nel suo intervento alla Camera, Ciglieri venne promosso generale di corpo d’Armata, con la conseguenza che dovette lasciare il comando dei carabinieri per andare a comandare la terza Armata con sede a Padova. Promoveatur ut amoveatur.
Molti sono i punti oscuri che permangono sulla morte del generale Giorgio Ciglieri. La tesi dei familiari che ritennero trattarsi di un omicidio non trovò un riscontro obiettivo nelle indagini della magistratura, particolarmente frettolose quelle condotte nella immediatezza del fatto, che si conclusero con una archiviazione. Un fatto tuttavia è certo e non può non essere inquietante e cioè che tutti coloro che erano a conoscenza del rapporto integrale del generale Manes, quindi senza gli omissis, morirono in circostanze non del tutto chiarite a cominciare dallo stesso Ciglieri, dal colonnello Manes, redattore del rapporto, dai colonnelli Rocca e Giansante, dal generale Anzà.