Mafia e segreti di Stato – parte prima
Gli accordi, i taciti consensi, i summit, i depistaggi e le rivelazioni, all’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio
Spesso si parla di misteri d’Italia a proposito di molte vicende che hanno attraversato il nostro Paese. Basta pensare all’assassinio di Aldo Moro, alla strage del DC 9 e a quella di piazza della Loggia. E ancora alla morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei, alla bomba alla stazione di Bologna e a tante altre vicende: non ultime le stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli uomini delle loro scorte.
Così come di misteri si può parlare a proposito della scomparsa di Emanuele Piazza o dell’uccisione dell’agente Agostino. Non c’è strage, non c’è inchiesta, non c’è processo in cui non siano emersi depistaggi di apparati dello Stato, testimoni scomparsi, prove inquinate. In realtà in questi casi non ci si trova in presenza di misteri ma di segreti, cosa diversa dato che, mentre il mistero ha a che fare con l’insondabile , il segreto è una cosa diversa. È una cosa che si sa ma che non si dice. In altri termini è una verità che qualcuno, spesso molti, a volte tutti conoscono ma che tengono per sé.
Le connessioni che diedero vita al coordinamento organico delle diverse realtà criminali nel mondo
Io credo che per capire i grandi crimini impuniti del passato, ma anche del recente presente, occorra partire dalla considerazione che le varie realtà criminali non possono essere viste come fenomeni separati ed indipendenti le une dalle altre, ma costituiscono le tessere, ben connesse tra loro, di un unico sistema malavitoso: in altri termini si è in presenza di un coordinamento organico delle varie realtà criminali operanti nel mondo. A questa ipotesi si contrappongono le affermazioni di coloro che ritengono una siffatta visione frutto di visionarietà o di dietrologia esasperata.
Certamente non è facile dimostrare se ci si trovi in presenza di un’interconnessione tra varie realtà criminali o se invece questa visione sia frutto di dietrologia. Un fatto però è certo: e cioè che sono rimaste giudiziariamente accertate connessioni sia tra le varie realtà criminali (mafia, massoneria , servizi deviati, terrorismo, criminalità comune, finanza) che tra queste e gruppi di persone che dovrebbero essere al di sopra di ogni sospetto e che potrebbero essere depositarie dei segreti alla base delle più gravi vicende italiane.
Se l’indagine sui fatti viene effettuata singolarmente, si finisce con il perdere di vista gli eventuali collegamenti tra le stesse vicende. Esaminando infatti con estrema attenzione e nel suo complesso l’ampia documentazione esistente sui fatti criminali che hanno interessato il nostro Paese (e non soltanto) è possibile, ad esempio, cogliere la connessione tra il fenomeno mafioso, la P2 e il terrorismo. Il che porta a ritenere come non ci si trovi in presenza di forme di contiguità o di collaborazione sporadiche o casuali, bensì di un vero e proprio potere organico caratterizzato da personaggi di notevole spessore. Che, sebbene appartenenti a realtà apparentemente distanti le une dalle altre, di fatto operano nell’una e nell’altra realtà all’interno delle quali si muovono per la realizzazione di interessi criminali convergenti.
I segreti di Stato: le stragi di Capaci e via D’Amelio
Tra i segreti di Stato, si diceva, vanno annoverati le stragi di Capaci e via D’Amelio, sulle quali ancora oggi sussistono pesanti ombre e lati oscuri che i vari processi che sono stati celebrati non hanno dissipato. Infatti, sebbene le sentenze abbiano condannato più di 20 mafiosi sull’attentato del 23 maggio 1992, restano ancora molte ombre, dettagli che non sono mai chiariti e piste che non sono state approfondite.
Così, per quanto riguarda la strage di Capaci, si profilano scenari che ricondurrebbero non soltanto alla mafia ma anche ad entità esterne, come ha dichiarato Francesco Di Carlo, legato ai Servizi, pentito dal 1996 e che per trent’anni ha fatto da ponte tra Stato e mafia. Questi ha riferito ai magistrati, che quando era detenuto in Inghilterra (dopo l’attentato all’Addaura) aveva ricevuto le ripetute visite di agenti dei servizi segreti di lingua inglese insieme ad altri agenti che parlavano italiano.
Tra questi Arnaldo La Barbera, già dirigente della Squadra mobile di Palermo: colui che gestì le indagini per le stragi di Capaci e via D’Amelio e che convinse a collaborare il falso pentito Vincenzo Scarantino (condannato per la strage che uccise Borsellino e i suoi uomini). Le dichiarazioni autoaccusatorie del falso pentito sono state clamorosamente smentite 17 anni dopo dal collaboratore Gaspare Spatuzza, nel processo Borsellino quater. La Barbera – e lo si è scoperto solo dopo la sua morte – era un collaboratore dell’allora Sisde, il servizio segreto civile. Per quali missioni speciali non è ancora chiaro.
Di Carlo ha riferito che i suddetti personaggi lo avevano contattato per avere indicazioni su un esperto in esplosivi. Il pentito aveva indicato Antonino Gioè (suicidatosi in carcere) che a sua volta aveva fatto il nome di Pietro Rampulla. Particolare, questo, non privo di importanza: condannato per la strage di Capaci nella quale ebbe il ruolo di artificiere, Pietro Rampulla è stato militante di Ordine Nuovo, legato alla destra eversiva, e a Rosario Cattafi, l’avvocato di Barcellona, anche lui esponente in passato di Ordine Nuovo e testimone nel processo trattativa Stato-mafia.
In particolare, Di Carlo ha dichiarato che le persone che andarono a trovarlo in Inghilterra gli avevano chiesto di fare avere, a Palermo, un contatto con i corleonesi di Totò Riina. Volevano che Falcone andasse via da Palermo per il suo progetto di realizzare la DIA e la Procura Nazionale antimafia, cosa che preoccupava i politici dato che il giudice avrebbe indagato su tutto e tutti. Di Carlo aveva messo i suoi collaboratori in contatto con Ignazio Salvo, l’esattore di Salemi che, come è noto, è stato condannato per associazione mafiosa ed ucciso a Palermo nel 1992. Egli aveva poi ricevuto conferma dell’avvenuto incontro. Parlando poi di La Barbera affermava che questi era stato messo alla guida del pool che indagava sulle stragi allo scopo di spiarne le attività. Il pentito lo definiva come il più grande depistatore di tutti i tempi, circostanza questa che ha poi trovato piena conferma.
[Continua]