Magistratura e massoneria. Un binomio che accende il dibattito (e le polemiche) – parte 1
È lecito per un magistrato iscriversi e appartenere ad una loggia massonica?
Negli anni ’90, nel corso di indagini di mafia, venne alla luce la presenza di magistrati all’interno della massoneria.
Pino Mandalari, il commercialista di Riina (influente massone, che curava le società facenti capo a quest’ultimo e ad altri esponenti della cosca corleonese, arrestato per associazione mafiosa, condannato alla pena di 5 anni di reclusione) fece il nome di tre magistrati, di cui due palermitani, di fede massonica.
Interrogato nel dicembre del 1994 dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia, menzionò un giudice che per lungo tempo era stato il responsabile della sezione fallimentare del tribunale di Palermo, quale iscritto alla massoneria e suo fraterno amico. Il nome di questo magistrato, nel corso di una indagine per un traffico internazionale di stupefacenti, venne peraltro rinvenuto negli elenchi degli appartenenti alla loggia massonica di via Roma, a Palermo. Elenchi nei quali, accanto a mafiosi di notevole spessore, fu possibile trovare professionisti, avvocati, e anche magistrati. Figuravano, tra gli altri, Foderà, cognato di Bontate, colui che aveva organizzato il viaggio di Michele Sindona in Sicilia, e il commercialista Nino Buttafuoco, che si era interessato del sequestro del giornalista Mauro De Mauro intervenendo in maniera ambigua presso i familiari di quest’ultimo.
Mandalari indicò poi come legato dal vincolo massonico un alto esponente della magistratura inquirente palermitana, dal quale però precisò di non avere mai ricevuto favori. Disse anche di essere intervenuto presso l’allora ministro di Grazia e giustizia, Oronzo Reale, per caldeggiare la nomina di questo magistrato. Una volta intervenuto il decreto di nomina, chiese al gran maestro di Piazza del Gesù, Francesco Bellantonio, di sollecitare la firma del provvedimento del ministro, anche egli massone. Aggiunse Mandalari che, una volta intervenuto il decreto, si recò “a festeggiare la nomina e a prendere il caffè nello studio dell’alto magistrato a Palazzo di giustizia in compagnia dell’avvocato Marino” che gli aveva chiesto di intervenire presso il gran maestro.
Mandalari intratteneva poi rapporti di frequentazione con Carmelo Spagnuolo, procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, iscritto alla P2. Sempre secondo il commercialista di Riina, Spagnuolo gli avrebbe chiesto di intervenire presso le comunità di emigrati siciliani in America per fare votare alle elezioni presidenziali del 1972 il candidato del partito repubblicano Richard Nixon.
Dall’inchiesta su mafia e massoneria, condotta in quegli anni dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, emerse l’esistenza di una loggia segreta della quale facevano parte magistrati, imprenditori, funzionari pubblici e il cui punto di riferimento era Mandalari.
La presenza di magistrati nelle logge massoniche emerse anche dalle rivelazioni di alcuni “fratelli” pentiti”. Così uno di questi collaboratori parlò di una organizzazione composta da magistrati, avvocati, politici, poliziotti ed imprenditori, particolarmente forte a Roma e che: “prestava a noi protezione, come assoluzioni, pene ridotte, arresti domiciliari, ed in cambio uccidevamo qualcuno che dava fastidio a loro”. Un altro collaboratore riferì che, poco dopo essere stato arrestato per rapina, venne messo in libertà provvisoria da parte dello stesso pubblico ministero che era stato interessato da altro associato e che lui avrebbe ringraziato personalmente. Il magistrato gli avrebbe detto “di non preoccuparsi e tacere e gli avrebbe offerto il caffè”.
Ancora un altro collaboratore di giustizia affermò poi che il clan, per ottenere la revisione di un processo per due adepti condannati per omicidio, si era rivolto a Licio Gelli, con il quale agli si era incontrato a Roma in un albergo di via Veneto e al quale aveva consegnato copia degli atti processuali. Attraverso un artifizio prospettato da Gelli (una falsa testimonianza che avrebbe addossato l’omicidio a persona ufficialmente latitante ma in realtà uccisa) e grazie all’intervento di Gelli presso una altissima personalità politica, questi gli assicurò che era “tutto a posto”.
Si tratta soltanto di alcuni delle decine di episodi che costituirono l’oggetto di un rapporto inviato da Agostino Cordova, allora procuratore della Repubblica a Palmi, al Consiglio superiore della magistratura e alla Commissione parlamentare antimafia. Un rapporto dal quale emerge un quadro che vede giudici massoni, processi “aggiustati”, come si dice in gergo mafioso, carriere fulminanti. Nel dossier inviato agli organi di cui sopra, Cordova segnalava oltre cento magistrati iscritti a logge massoniche. Ventitré quelli iscritti al Grande oriente d’Italia, uno al Centro sociologico, cinque risultanti dalle informative della questura relative alla massoneria, otto da dichiarazioni di persone informate sui fatti. Nell’elenco mancavano i nominativi coperti e quelli relativi ad obbedienze diverse dal Grande oriente d’Italia e venivano inoltre citati anche i giudici i cui nomi figuravano nelle liste della P2.
Vi era poi, nel rapporto, un elenco di circa 80 nomi di magistrati iscritti a logge ma per i quali, pur esistendo corrispondenza di nomi, mancavano data e luogo di nascita. E ciò senza dire come, secondo quanto dichiarato al procuratore Cordova, dall’ex gran maestro del Grande oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, (uscito da tale obbedienza massonica con una vera e propria secessione) vi era la possibilità di “copertura” mediante l’iscrizione in logge diverse da quelle di residenza o indicazione di attività non corrispondente a quella reale. Come ad esempio l’indicazione di laureato in giurisprudenza anziché magistrato .
Scriveva ancora Cordova nel più volte menzionato dossier: “Deve ritenersi tuttora sussistente la forma di affiliazione segreta detta all’orecchio del Maestro in quanto avviene esclusivamente per via verbale […]. Dopo la vicenda della Loggia P2 e le apparenti conseguenze del suo scioglimento, i personaggi in vista hanno adottato le proprie cautele, come i magistrati e gli altri funzionari pubblici di grado elevato; ad esempio il numero degli attuali massoni appartenenti alla Polizia, alla Finanza e ai Carabinieri è del tutto esiguo rispetto a quelli che erano iscritti alla P2”.
Quanto scritto dal procuratore Cordova induce pertanto a ritenere che il numero di magistrati iscritti a logge massoniche fosse superiore a quelli compiutamente identificati.
Nel 2010, l’inchiesta Insider, condotta dalla procura di Roma, portava alla luce l’esistenza di una associazione, la cosiddetta P3 (definita dai magistrati “massonica”), che evidenziava la presenza e l’alleanza di politici, magistrati, faccendieri, finalizzata a favori, appalti, interferenze nelle inchieste della magistratura e a fatti di corruzione. Tra i nomi di primo piano spiccavano quelli di Denis Verdini, allora coordinatore del Pdl, di Marcello Dell’Utri, senatore del Pdl, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, del faccendiere, ex P2 Flavio Carboni. Si trattava di una vera e propria “loggia” capace di arrivare in molti uffici del potere che conta.
Una nuova massoneria, in pratica: tant’è che i magistrati, tra gli altri reati, contestarono agli imputati la violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, legge in applicazione della quale venne sciolta la loggia di Licio Gelli con la confisca dei beni della P2. Secondo l’accusa l’associazione era di fatto gestita da tre personaggi: il faccendiere Flavio Carboni, l’imprenditore Arcangelo Martino e il magistrato tributarista Pasquale Lombardi, tutti e tre arrestati nel luglio del 2010.
Un riscontro della capacità della associazione di arrivare ai più alti organi delle istituzioni è dato da quanto emergeva dalle intercettazioni da cui risultò che Dell’Utri e Verdini, in affari con Carboni, avevano pianificato con quest’ultimo l’avvicinamento di alcuni organi costituzionali per tentare di influire sull’esito del lodo Alfano e come gli indagati fossero in grado di intrattenere rapporti con i vertici della magistratura, del Csm, della Corte costituzionale e con molti capi di Procure italiane.
Per ciò che qui interessa, emerse dall’indagine, che tra i personaggi vicini al gruppo e che partecipavano alle riunioni nelle quali venivano decise le varie operazioni, vi erano anche dei magistrati. In particolare il capo degli ispettori del Ministero della giustizia, il giudice Antonio Martone, il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo i quali, come scrivono gli inquirenti, in molte occasioni “appaiono fornire il loro contributo alle attività di interferenza”.
Ma nell’indagine risultarono implicati il presidente della Corte di appello di Salerno, Umberto Marconi, quello della Corte di appello di Milano, Alfonso Marra e Angelo Gargani, magistrato fuori ruolo e capo dell’ufficio servizio di controllo interno del ministero della Giustizia. Nei confronti di quest’ultimo il procuratore generale della Corte di cassazione avviò l’azione disciplinare contestandogli di avere interferito nelle indagini sugli appalti per l’eolico in Sardegna. Nei confronti di Marconi e di Marra venne avviata dal Consiglio superiore della magistratura la procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale.
Altri magistrati vennero tirati in ballo da Pasquale Lombardi, il giudice tributarista, come si è detto, arrestato nell’ambito della indagine della procura di Roma, il quale tra l’altro riferì di richieste di appoggio al Csm per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari, richieste avanzategli da cinque magistrati. L’inchiesta – che vide indagati Flavio Carboni, Arcangelo Martino, Pasquale Lombardi, Denis Verdini, Marcello Dell’Utri, Ugo Capellacci, Giacomo Caliendo e Nicola Cosentino – venne chiusa dalla procura di Roma nell’agosto del 2011 con il rinvio a giudizio degli indagati.
La presenza di un magistrato in un’associazione segreta è quella che emerse nella indagine denominata della P4, avviata dalla magistratura napoletana. Si tratta del magistrato Alfonso Papa, parlamentare arrestato a seguito di autorizzazione concessa dalla Camera dei deputati. E al quale, insieme agli altri indagati, venne contestato di avere dato vita ad una associazione segreta, vietata dall’art.18 della Costituzione, nell’ambito della quale, unitamente agli altri indagati avrebbe svolto “attività illecite dirette ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici, anche economici nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale”.
In particolare veniva contestato a Papa di avere fornito a Luigi Bisignani, altro indagato ed ex iscritto alla P2 (cosa dallo stesso sempre negata) notizie sensibili riguardanti soggetti investiti di funzioni istituzionali, notizie che Papa avrebbe acquisito dal maresciallo dei carabinieri La Monica.
[continua…]