Chi era Marco Polo, il viaggiatore veneziano che scrisse Il milione
Marco Polo non fu solo il viaggiatore veneziano del Medioevo alla scoperta della Cina lungo la Via della seta, ma il primo a raccontare la magia dell’Oriente tra realtà e fantasia nel suo resoconto di viaggio, Il milione.
La vita di Marco Polo, il viaggiatore veneziano
Marco Polo nacque a Venezia nel 1254, in una famiglia di mercanti. Il padre, Niccolò, aveva un’azienda commerciale che, in affari con i fratelli, importava prodotti dall’Oriente. Una base della ditta familiare era a Costantinopoli, un’altra sul Mar Nero, dove i fratelli Polo vivevano la maggior parte del tempo, mentre mogli e figli abitavano a Venezia. Marco Polo era un adolescente, diciassettenne, quando iniziò a seguire il padre nei suoi itinerari commerciali verso la Cina, ma abbastanza risoluto nel decidere di improntare la sua vita nel segno del viaggio.
Un veneziano in Cina, un cinese a Venezia: giunto a Pechino nel maggio 1275, Polo rimase fino al 1292 presso la corte di Qubilay, svolgendo attività diplomatiche per conto del khan e avendo la possibilità di viaggiare per tutto l’impero. Tornato a Venezia nel 1295, prese parte a un conflitto armato contro i genovesi e venne incarcerato. Durante la prigionia dettò al compagno di cella, Rustichello (che scriveva in francese, la lingua letteraria dell’epoca) un libro di ricordi divenuto poi noto con il titolo Il milione, un contributo decisivo alla divulgazione del mito dell’Oriente pieno di meraviglie e ricchezze.
I Polo alla scoperta dell’Oriente
Dal 1261 mentre si moltiplicavano i contatti fra i mercanti italiani e l’Orda d’oro (la parola turca “orda” significa “palazzo”, “accampamento” o “quartier generale”: usata quindi per indicare il centro operativo del khan), cominciò il viaggio in Asia dei due fratelli veneziani Niccolò e Matteo Polo. Partiti con l’idea di compiere qualche operazione commerciale con i mongoli dell’Ucraina, si accodarono a carovane dirette in Oriente e furono i primi europei a soggiornare in Cina, dove furono ricevuti da Qubilay, Gran khan dei mongoli e imperatore della Cina, nipote di Gengis khan.
Il loro ritorno in Occidente aprì la via relazioni dirette fra l’Europa e la Cina, sia religiose e che commerciali. Le prime parvero divenire così promettenti da indurre, nel 1312, papa Gregorio X a nominare un vescovo di Pechino, Giovanni da Montecorvino. Le seconde furono avviate dal secondo viaggio dei Polo, che ripartirono per la Cina nel 1271 portando con sé anche il figlio di Niccolò, il diciassettenne Marco.
Marco Polo in Cina lungo la Via della seta
Marco Polo, il padre e lo zio lasciarono Venezia nella primavera del 1271 alla volta di Acri, in Palestina, dove ottennero udienza dal legato apostolico Tebaldo Visconti per discutere le richieste di Qubilay avanzate nel viaggio precedente dei Polo. Raggiunsero quindi Laiazzo, in Turchia per poi lasciare la Cilicia e iniziare il lungo cammino ripercorrendo regioni che Nicolò e Matteo avevano già visitato nell’ultimo tratto della loro precedente avventura, inoltrandosi nell’Anatolia.
L’itinerario che percorsero non fu il più breve, ma il più sicuro, attraverso strade praticate dai mercanti locali. Ecco perché piegarono a sinistra raggiungendo Konya, la città turca sull’altopiano centrale dell’Anatolia già sede di un sultanato e frequentata soprattutto da mercanti genovesi; da lì toccarono Kayseri, meglio conosciuta come Cesarea di Cappadocia, dove per la prima volta Marco Polo incontrò il popolo nomade dei selgiuchidi che, diversamente dall’altra frangia della famiglia ottomana, aveva conservato gli antichi costumi.
Fu probabilmente nel 1272 che i veneziani, aggirato il lago di Van, si inoltrarono nelle alte terre della Grande Armenia, sovrastata dal monte Ararat, dove la tradizione biblica diceva essersi posata l’arca di Noè.
Da Cesarea la carovaniera volgeva a sud fino a Erzurum e di lì a Tabriz, in Persia, importante snodo dove confluivano le mercanzie provenienti dall’India, e poi a Qazvin, non lontano dall’attuale Teheran. Si tratta delle terre dove fiorirono le civiltà più antiche, dai Sumeri agli Assiri, ai Persiani, e dove Alessandro Magno compì le sue imprese. Così giunsero a Baghdad.
L’itinerario compiuto dai Polo è comunque incerto, considerato che le denominazioni geografiche attuali sono ben diverse da quelle che si trovano nel libro Il milione. Si presume peraltro che siano passati attraverso il Turkestan cinese e poi l’altopiano del Pamir, a nord del Karakorum; quindi la terribile attraversata del deserto del Gobi, che richiese varie settimane, per giungere finalmente nei domini del Gran khan, sulla catena dei monti Altaj, dove venivano seppelliti i sovrani mongoli. Toccata Xining, i viaggiatori arrivarono alle propaggini della Grande Muraglia cinese, cui però Marco Polo non dedica una sola parola.
Il milione di Marco Polo
Di questa eccezionale impresa, che si sarebbe protratta per ventiquattro anni, l’unica fonte a disposizione degli studiosi è Il milione, il resoconto lasciato da Marco Polo. Una testimonianza insostituibile e quindi preziosa, ma nella quale – va detto subito – è impossibile distinguere la realtà dalla fantasia.
Il milione è povero di date, così come di riflessioni personali o indicazioni concernenti il padre e lo zio: l’attenzione di Marco Polo è tutta rivolta a descrivere i Paesi e i popoli che incontra, in particolar modo i prodotti e le ricchezze di quelle genti. È quindi difficile ricostruire la cronologia del suo itinerario, se non a grandi linee.
L’interesse di Marco è concentrato soprattutto nel succedersi della realtà che scorre davanti ai suoi occhi: anche se non si dedicherà mai al commercio, il suo spirito è pur sempre quello del mercante. Esemplare, a questo riguardo, la stringata notizia che fornisce riguardo a una sorgente che non lontano da Baku, nell’attuale Azerbaigian, versa un liquido oleoso «in tanta abbondanza che se ne possono caricare cento navi alla volta: olio non usabile come alimento, ma buono per ardere» (Il milione, cap. 21 nella versione di Valeria Bertolucci Pizzorusso, Gli Adelphi editore). È il petrolio, che quelle popolazioni, così come altrove, nei deserti persiani, i pastori nomadi usavano la sera per scaldarsi, e che Polo consegna alla cultura occidentale ricorrendo all’immagine, a essa familiare, delle navi mercantili. Da qui deriva la sua costante attenzione a descrivere la geografia dei luoghi e di quelle terre lontane in cui osserva la presenza cristiana nelle diverse forme delle eresie praticate dai nestoriani e dai monofisiti, oppure nei riti siriaci, mandei e armeni.
I viaggi del Medioevo verso l’Oriente
Il merito della fama di Marco Polo sta nel suo lunghissimo viaggio e nella permanenza di tanti anni in Oriente, in particolare in Cina; ma anche, e forse soprattutto, nel fatto di avere lasciato il primo attendibile e completo resoconto dell’Oriente, un importante contributo alla reciproca conoscenza tra Asia ed Europa.
In realtà non è dato sapere quante furono nel Medioevo le persone che fecero esperienze simili a quelle di Marco Polo ma è lui, per esempio, a raccontare di altri mercanti europei incontrati lungo la strada, come suo padre e suo zio, che avevano già fatto da soli un viaggio in Cina di cui non si sa quasi niente.
I due viaggi dei Polo in Cina restarono esperienze eccezionali, ma certamente non uniche. Divenne invece comune per i mercanti italiani spingersi all’interno dell’Asia centrale per quelli che oggi, forse superficialmente, chiameremmo “viaggi di lavoro”. Ma questo, a differenza di quanto accade nel caso di Marco Polo, non è possibile constatarlo in altrettanti resoconti.