IN MEMORIA DI GIUSEPPE GALASSO
Si riporta di seguito il ricordo di Giuseppe Galasso del nostro direttore Scientifico Aurelio Musi.
Mezzo secolo: è la durata della mia amicizia con Giuseppe Galasso. Giovane sessantottino, leader degli studenti a Salerno, copiosamente capelluto e barbuto, con l’immancabile eskimo, mi presentai al principio del 1969 dal professore di Storia moderna alla facoltà di Lettere della Federico II per chiedergli la tesi.
Era carismatico, severo, il fisico imponente, accademico fino al midollo, ma dotato di curiosità e simpatia umana, capace di ascoltare, oltre che mirabilmente comunicare, e cogliere immediatamente il livello intellettuale dell’interlocutore. Galasso mi assegnò un’impegnativa tesi di ricerca su alcuni giuristi e scrittori politici napoletani del primo Seicento, scarsamente studiati in precedenza, autori di voluminosi trattati in latino. Dopo qualche mese mi ripresentai da lui per consegnargli la prima parte dell’elaborato. Ero completamente ripulito, sbarbato, con i capelli più corti. Il professore mi guardò sorpreso e ammirato esclamò: “Musi, lei è diventato bello!”.
Ma il pregiudizio sfavorevole nei confronti di barba e capelli sfumò presto. Il maestro e l’amico si fusero immediatamente dopo la laurea e si rivolsero con generosità verso l’allievo. Da quel momento tutta la mia esperienza di ricercatore e docente si è svolta nel segno di Giuseppe Galasso. È stata un’amicizia non lineare, fatta anche di scontri e conflitti: ma l’attitudine di Galasso al dialogo ha contribuito a superarli.
Egli mi ha insegnato innanzitutto che fare storia non significa solo esercitare un mestiere. Certo le tecniche, i metodi propri dell’ars historica sono importanti. Ma è ancor più importante aver chiara la coscienza che fare storia significa descrivere e narrare una forma di conoscenza specifica ma aperta a tanti altri saperi. Significa partire da un problema, stimolato molto spesso dall’attualità, ragionarne in profondità, ricostruire e interpretare un processo del passato alla luce e nel rispetto delle sue fonti.
Oggi va di moda la public history, la storia per il pubblico e con il pubblico. Galasso ha sempre praticato e insegnato questo tipo di storia. La sua rigorosa ricerca accademica è andata sempre congiungendosi con l’attenzione quasi maniacale verso i suoi lettori e interlocutori. Il suo stile di scrittura è profondo ma, al tempo stesso, limpido; la comunicazione del ragionamento complesso è sempre attenta a svolgerne in forma chiara e comprensibile tutti i passaggi: una qualità derivante forse dall’essere stato in gioventù maestro elementare.
Una forte tensione etico- politica, immune da integralismi ideologici, ha caratterizzato l’intera vita intellettuale di Galasso. Tale tensione, unita alla coerenza delle scelte e alla moralità dei comportamenti, mi ha sempre impressionato e convinto moltissimo. Ed è per questo che non ho mai creduto al presunto coinvolgimento del mio maestro nella Tangentopoli napoletana nel 1992- 93. Fu scagionato da tutte le accuse, anche se una parte non marginale dei suoi stessi colleghi si lasciò sedurre da una campagna di stampa che in qualche sua parte fece di tutta un’erba un fascio, prestò fede sconfinata alle requisitorie dei pubblici ministeri e si distinse per il suo giustizialismo totalizzante. Galasso soffrì molto per questo e io gli fui particolarmente vicino nel momento assai delicato della sua vicenda giudiziaria. Che in realtà non fu un momento, ma durò oltre dieci anni. Mi diceva spesso: ” Aurelio, farò una bella festa quando si concluderà tutto, con qualsiasi sentenza si concluda”.
La capacità di lavoro del maestro era prodigiosa. Non si fermava mai, non si concedeva pause o vacanze. Fino all’ultimo respiro, a differenza di tanti colleghi, non solo della sua generazione ma anche più giovani, abituati a vivere di rendita di posizione intellettuale, preparava nei minimi dettagli relazioni a congressi scientifici o interventi per presentazioni di libri. Mi diceva: “Mi invitano ancora a tante parti. Ma io devo selezionare molto. Non sanno forse che devo studiare, mi devo preparare, non posso improvvisare”.
L’entusiasmo non gli mancava mai. Ha discusso con me di progetti futuri fino al giorno prima di andarsene. E poi la sua gioia di vivere era straordinaria. E si accompagnava a una capacità di ironia mai graffiante o aggressiva: sempre signorile, direi molto napoletana. E molto napoletana era la sua umanità, la sua vicinanza all’allievo nei momenti difficili della sua vita. Caro professore, un forte abbraccio.
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