Messina dopo il terremoto, o di quando il danno supera la beffa – prima parte
In quei tragici giorni, divenuti poi mesi, furono in molti, istituzioni comprese, a sottovalutare gli effetti del terremoto in nome di una esagerazione innata dei siciliani, definiti “inattendibili” e “incompetenti”
«Gli ospedali, il municipio, il cimitero, tutto è crollato, tutte le condutture, le fognature, le ferrovie, le stazioni, le banchine, tutto è spezzato, squarciato, sprofondato. Come si può pensare a rimetter le mani in quell’ira di Dio?»1. Questa la domanda che l’inviato de Il Messaggero, Gobbi Belcredi, affida alle pagine del suo giornale il 7 gennaio del 1909. Molti, infatti, sono i dubbi, le angosce ma anche le polemiche che seguono a quel 28 dicembre del 1908 quando, alle ore 5.25, un terremoto di magnitudo pari a dieci gradi della scala Mercalli e della durata di 37 secondi si abbatte su Messina e Reggio Calabria devastandole e provocando 130.000 morti. Alla violenza del sisma, segue anche la furia del mare: onde alte più di dieci metri si infrangono sul litorale messinese ingoiando tutto ciò che è rimasto. Non si salva quasi nulla.
Alcune testimonianze, raccolte dal colonnello inglese Delmé-Radcliffe, parlano di un boato terribile sopraggiunto alle ore 5.25 del mattino e seguito da movimenti violenti prima verso l’alto e poi orizzontalmente, provocando la sensazione – in chi li vive – di essersi trasformato in un “topo nelle fauci di un cane”2. La città è avvolta da una polvere densa e gialla, simile a farina, che rende quasi impossibile respirare e che rimane visibile per giorni, nonostante la pioggia caduta copiosamente qualche ora dopo l’evento.
Difficile persino comunicare in tempi ragionevoli l’accaduto. Il telegrafo smette di funzionare in provincia di Messina e di Reggio. Quando, nel pomeriggio del disastro, la torpediniera Scorpione riesce a inviare un telegramma al Ministero della Marina Italiana, il breve messaggio “Messina completamente distrutta” viene subito interpretato come l’avviso di un attacco militare. Nessuno pensa a una calamità naturale, tutti credono che l’Impero Austro-Ungarico abbia bombardato la città3. Soltanto dopo mezzogiorno la notizia inizia a circolare a Catania e Siracusa, mentre – afferma Giolitti – arriverà sul tavolo del Ministero soltanto alle 17.30 del pomeriggio, dodici ore dopo la tragedia.
La lentezza da parte dello Stato nel far partire i soccorsi è oggetto di numerosi e feroci attacchi. La stampa del tempo è subissata da lettere di protesta per la mancanza di determinazione e la superficialità mostrate dal governo nazionale che, da parte sua, cerca di difendersi come può4. Napoleone Colajanni punta il dito contro Giolitti e i ministri del suo governo, accusandoli di non essere stati in grado di dare ordini risolutivi alla flotta italiana che, infatti, arriva con parecchie ore di ritardo sul luogo del disastro, a differenza dei colleghi russi e inglesi5.
Se è incontestabile il fatto che l’allarme – a causa dei guasti ai cavi del telegrafo – abbia tardato a giungere nella capitale, va detto anche che vi fu una superficiale sottovalutazione da parte dei palazzi del governo nazionale, abituato a considerare gli abitanti del Sud inattendibili ed esagerati: «Da mezzogiorno alle autorità di Roma fu evidente che qualcosa di strano era accaduto nelle regioni meridionali, ma, all’inizio, non si diede molto peso alla cosa. C’era sempre stato, da parte degli ambienti che nella capitale contavano, una tendenza a considerare gli abitanti del Sud inattendibili e incompetenti»6 o ancora: «Giolitti appariva sconvolto. Con voce incerta cercò di rassicurare la folla [di giornalisti]: “non è possibile!…abbiate pazienza! Attendete prima di diffondere la notizia, qualcuno ha confuso la distruzione di qualche casa con la fine del mondo!»7.
I luoghi comuni e il disprezzo nei confronti della popolazione meridionale, in particolare di quella siciliana, emergono del resto anche dal rapporto all’ambasciata inglese del colonnello Delmé – Radcliffe. I siciliani, a suo dire, sarebbero non solo “incapaci ad affrontare qualsiasi avversità, ma approfitterebbero di ogni disgrazia pur di arricchirsi in modo illecito”8.
Nel suo diario, Radcliffe si spinge addirittura oltre: dopo aver criticato l’esercito italiano, la mancanza di coordinamento tra le truppe navali e quelle di terra, attacca aspramente il popolo siciliano, in particolare quello della parte orientale dell’isola, non senza una venatura di profondo razzismo:
«The low standard of the Eastern Sicilians, and especially of the Messinese, must be ascribed in part to the infiltration of the blood of inferior races which went on for centuries. Messina was an important slave market throughout the middle ages and down to recent times. The variety of types in the population is extraordinary in consequence, and the large admixture of negro and Levantine blood accounts for many of the debased characteristics of these people»9.
Dunque, oltre alla mancanza di gratitudine nei confronti degli aiuti internazionali, come se tutto fosse loro dovuto, la “razza” siciliana sarebbe stata guastata da secoli di dominazioni e di mescolanze tra “neri” e “levantini”.
Allo scoramento e smarrimento iniziali seguono diversi dibattiti. La comunità scientifica italiana, in una delle sue massime espressioni, l’Accademia dei Lincei, riunitasi il 3 gennaio del 1909, ritiene opportuno che l’Italia si doti, al più presto, di strumenti adeguati per scandagliare le caverne esistenti nel fondo del mare. Scrive a Giolitti, allora presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, affinché dia mandato al professore G.B. Rizzo – direttore dell’Osservatorio sismico di Messina – di ordinarli al costo complessivo di 12.000 lire10. La polemica sulla prevenzione risulta senz’altro quella più battuta nei giorni successivi. Pasquale Villari, ad esempio, pur riconoscendo che il sisma sia un evento imprevedibile, non lesina critiche feroci a chi ha reso più difficile arginare i danni a causa dell’inerzia, della superficialità e della trascuratezza delle norme prescritte: «le fondazioni né solide né profonde sopra un’argilla inclinata, acquitrinosa; il poco adatto materiale, la cattiva costruzione dei tetti furono la causa principale per cui la città di Diano Marina fu eguagliata al suolo»11.
Ma non mancano, nelle lettere di corrispondenza del vice console americano Bayard Cutting jr., del già citato colonnello inglese Charles Delmè Radcliffe e del colonnello francese Elie Jullian delle critiche aspre e pungenti all’indolenza, alla disorganizzazione e alla totale mancanza di “ampiezza adeguata di vedute”12 da parte degli italiani e, in particolar modo, dei meridionali. Il viceconsole Cutting si scaglia ad esempio contro la “politica delle deportazioni” del governo italiano: ogni superstite che salga a bordo di una nave ancorata al porto per chiedere cibo viene messo sotto chiave e trasportato a Napoli. Se tale affermazione necessita di conferme (come scrive lo stesso Cutting; sebbene, però, Il Giornale d’Italia ne parli largamente negli articoli pubblicati tra il 6, il 7 e l’8 gennaio) abbastanza realistica pare la denuncia del colonnello francese Elie Jullian. Il quale rimprovera la totale inadeguatezza delle truppe inviate da Roma e giunte a Messina totalmente prive di attrezzi, di viveri e di ambulanze.
Così, malgrado i sovrumani sforzi dei russi per liberare dalle macerie diversi superstiti, questi ultimi finiscono per trovare ugualmente la morte, perché rimangono privi di cure. Inoltre, sembrerebbe che le truppe italiane abbiano ricevuto due ordini contraddittori: da una parte vengono richiesti aiuti per estrarre dalle macerie gli eventuali sopravvissuti e delle barelle per il trasporto dei feriti, salvo poi bloccare totalmente le partenze per paura che possano sbarcare degli sciacalli in aggiunta a quelli che, evasi dal carcere, stanno già facendo razzia di tutto ciò che trovano13. Dinanzi a quest’ultimo ordine, dunque, l’autorità militare14 impedisce gli sbarchi delle navi che l’autorità marittima dirige verso il porto, lasciando bloccate le imbarcazioni italiane di soccorso, mentre inglesi e russi si affaccendano a scavare, a spegnere gli incendi e a trasportare i feriti15. È questo il caso della squadra di soccorso genovese carica di viveri, tre ospedali da campo, medici e ingegneri imbarcatasi a Napoli per Messina: dopo aver tentato invano di sbarcare per ben 24 ore, abbandona le coste dell’isola per andarsene in Calabria.
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Note
1 G. Belcredi, Il Messaggero 7 gennaio 1909, in Mercadante F. (a cura di), Il terremoto di Messina. Corrispondenze, testimonianze e polemiche giornalistiche, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1962, p. 287
2 «The account of the earthquake which appears to give the best idea of what occurred I received from Major Graziani, Chief Staff Officer of the Messina Division. He told me that after the first shock he jumped up and commenced to dress hastily in uniform. Whilst doing this he was thrown down three times by other shocks. He said that the sensation was as if somebody had seized him by the legs, below the knees, and dragged his feet from the floor. He said the operation of putting on the pieces of uniform and sword could not have taken more than two or three minutes, and that he stood under the arch over the door to dress, as he thought it the safest pIace. Whilst standing under the door he felt the last of the great shocks, which was accompanied by thunderous rumblings, aud was succeeded by an immense roar of masonry falling in all directions. The movements of this shock he described as being first upwards and then horizontally rotary, giving the sensation of being shaken like a rat in thejaws of a terrier» C. D. Radcliffe, Relazione provvisoria all’ambasciatore Sir Rennell Rodd del 22.4.1909, in M.T. Di Paola, L’emergenza come fatto politico: l’intervento della marina inglese nel terremoto di Messina del 1908, Società Messinese di Storia Patria, Archivio Storico Messinese, vol. 67, 1994, p. 136
3 Sulle tensioni tra Italia e Austria cfr. L. Albertini, Le origini della guerra del 1914, Gorizia, 2019
4 Nell’intervista rilasciata a La Stampa il 3 gennaio del 1909, Giolitti sottolinea come le polemiche sui ritardi nei soccorsi da parte del governo nazionale siano strumentali e che, malgrado il ritardo con cui la notizia era giunta a Roma, il governo sia stato abbastanza rapido ed efficiente a creare dal nulla tutti i servizi necessari nella zona devastata. Cfr. Sobrero C., Giolitti racconta, La Stampa, 3 gennaio 1909, in Mercadante F. (a cura di), op. cit., pp. 473-474
5 «Con dolore, con vergogna constatiamo che alla flotta italiana non può tributarsi la stessa ammirazione che dobbiamo tributare illimitatamente ai marinai stranieri. E ciò non per colpa dei nostri soldati o degli ufficiali sempre pronti a ogni pericolo» telegramma di N. Colajanni a Il Pungolo, 1 gennaio 1909 in F. Mercadante, ivi, p. 488
6 J.W. Wilson e R. Perkins, Angels in Blue Jackets, The Navy at Messina 1908, Chippenam 1985, p. 19
7 S. Attanasio, 28 dicembre 1908, ore 5.21: terremoto, Acireale 1988, p. 96
8 «The population on the Sicilian side is perhaps the least fitted of any in the world to face a disaster of this character. They appear to be, literally, incapable of doing anything whatever for themselves, and often refuse with extraordinary callousness to assist even their nearest relatives. It appears that the great earthquake of 1782 had left a tradition in the country districts of how many had enriched themselves by plundering the ruins of the wrecked town. In any case, the inhabitants of the surrounding villages showed themselves astonishingly prompt to profit by this occasion, as they swarmed down in parties, in many cases most methodically equipped with mules and sacks for carrying the plunder, which they hoped to secure. They robbed the dead, the living and the injured, indiscriminately, and set to work to search the ruins wherever their local knowledge led them to think that treasure might be found. These operations commenced within a few hours of the disaster, and it almost seemed as though it had been expected, so prompt were the robbers. In addition to the thieving, it was reported by many that the most ghastly and incredible outrages were perpetrated on defenceless and injured women and children. There seemed to be no limit to the depth of infamy to which these Sicilian ruffians would sink. It is also reported that a considerable number of girls and children were spirited away to become victims of the “mala vita” in Sicily and Naples. On the Calabrian side the population, by comparison with the Sicilian, appears in a better light, though here also rapacity, callousness, lack of self-respect and energy in helping themselves are very evident, and make the organization and distribution of reÌief an ungrateful, unsatisfactory, and disappointing task» C. D. Radcliffe, Relazione provvisoria all’ambasciatore Sir Rennell Rodd del 22.4.1909, in M.T. Di Paola, op.cit., p. 136
9 Ibid.
10 Archivio Centrale dello Stato, Fondo Presidenza Consiglio dei Ministri, 1909, busta 4, fascicolo 380, Accademia dei Lincei
11 P. Villari, Corriere della sera, 30 dicembre 1908
12 Lettera di Bayard Cutting jr a Lloyd C. Griscom del 7 gennaio 1909 in G. Boatti, La terra trema, Mondadori, 2004, p. 314
13 A dire il vero anche i soldati italiani, mal equipaggiati e privi di razioni di cibo sufficienti a sfamarsi, sono costretti a saccheggiare e depredare:«[…] i soldati debbono, se vogliono mangiare, penetrare nei negozi diruti e cercare le casse dei biscotti, le botti del pesce marinato, il pan secco, la frutta e le bottiglie di Marsala», Il Giornale d’Italia, 13 gennaio 1909
14 Dopo il sisma, con decreto del 4 gennaio, viene proclamato lo stato d’assedio e la direzione dei soccorsi, quindi, è affidata alle forze militari. A dirigere lo stato d’assedio viene nominato il conte Francesco Mazza di Rivanazzano, generale di corpo d’armata, l’autorità militare di più alto grado
15 Rapporto del colonnello francese Elie Jullian al Ministro della Guerra e al 2ème Bureau, in G. Boatti op. cit., p. 323