Michele Sindona: mafia, massoneria e servizi segreti
Michele Sindona nasce a Patti (Sicilia) l’8 maggio 1920 e morirà nel carcere di Voghera il 22 marzo del 1986
La presenza della mafia, della massoneria e dei servizi segreti si può dire costituiscano quasi una costante nella vita e nelle attività di Sindona. Dovendo parlare pertanto di questo complesso personaggio, sul quale molto si è scritto, non sarebbero sufficienti più volumi. In questa sede pertanto, mi limiterò a tracciare un profilo delle vicende di maggiore rilievo che lo hanno interessato soffermandomi in particolare sul suo finto sequestro e viaggio in Sicilia, vicenda emblematica dei suoi collegamenti con mafia e massoneria, e di cui allora mi occupai quale componente del pool antimafia costituito presso la Procura della Repubblica di Palermo.
Sin dal 1944 Sindona dimostra una particolare propensione alle attività illecite. In tale anno infatti imbastisce un vero e proprio traffico di armi con i separatisti siciliani. Egli infatti si procurava dal sindaco di Regalbuto, fiduciario del boss mafioso Calogero Vizzini, prodotti agricoli che poi cedeva al governo militare USA che lo pagava con armi che venivano dallo stesso vendute ai separatisti siciliani. Fu tale traffico che gli consentì di realizzare, in tale periodo, il suo primo capitale.
Ma il salto di qualità lo fa nel 1956 allorquando inizia a collaborare con la mafia americana tramite Joe Adonis, collaborazione che nel 1960 continuerà a Milano tramite Daniel Anthony Porco, di professione contabile, detentore in Italia di grosse somme provenienti da attività illecite e in particolare dal traffico di allucinogeni tra l’Italia e gli Stai Uniti, come risulta da una segnalazione che la polizia americana fa il 1° novembre 1967 alla Criminalpol di Roma.
Il suo ingresso nella massoneria avviene nel 1973. In tale data entra a far parte della loggia massonica Giustizia e Libertà, una loggia coperta della Massoneria Universale di Piazza del Gesù i cui iscritti poi confluiranno, quasi totalmente, nella loggia P2 di Licio Gelli. Nella loggia Giustizia e Libertà, che riuniva i “fratelli” più in vista, Sindona si ritrova con personaggi espressione delle più alte cariche istituzionali e politiche ma anche con personaggi di spicco della mafia quali don Agostino Coppola, economo della cattedrale di Monreale, condannato a 18 anni di reclusione in quanto ritenuto appartenente alla cosca di Luciano Leggio.
Sindona, negli anni 60-70 creò tutta una serie di banche ( Banca privata italiana, Finabank di Ginevra, Franklin Bank di New York), banche che costituivano il veicolo attraverso cui veniva riciclato il denaro di pertinenza della organizzazione mafiosa, denaro proveniente dalle attività illecite di tale organizzazione( traffico di droga, di armi, estorsioni) ed attraverso le quali veniva realizzato un ingente movimento di esportazione all’estero di capitali di pertinenza del mondo politico, finanziario, militare ed ecclesiastico. In particolare, per quanto riguarda la “Franklin National Bank, questa venne acquistata da Sindona nel 1972 pagando 40 milioni di dollari la cui provenienza non è stata mai accertata.
Nel settembre del 1974, a seguito del fallimento della Banca Privata, Sindona fugge all’estero portando con sé l’elenco di 500 personaggi che, tramite lo stesso Sindona, avevano esportato capitali all’estero. Per il fallimento della Banca privata venne accertato un buco di 258 miliardi. Dove siano finiti i soldi sottratti alle casse della Banca Privata e del Banco Ambrosiano è rimasto un mistero. Lo IOR e cioè la Banca dello Stato Vaticano, risulterà coinvolta nel fallimento della Banca privata e successivamente nel crack del Banco Ambrosiano. Liquidatore della Banca Privata viene nominato l’avv. Giorgio Ambrosoli che verrà ucciso a Milano il12 luglio 1979 e cioè poco prima del finto rapimento e del viaggio di Sindona in Sicilia. I giudici milanesi individueranno il mandante dell’omicidio in Sindona e l’esecutore materiale in William Aricò il quale muore nel tentativo di evasione dal carcere di Manhattan. Lo stesso, dopo avere segato le sbarre della cella, si sarebbe calato dal nono piano, con lenzuola annodate, precipitando sulla terrazza del carcere.
Per l’omicidio Ambrosoli venne emesso nei confronti di Sindona un mandato di cattura che peraltro verrà eseguito soltanto nel 1984 allorquando il 25 marzo di tale anno gli Stati uniti concederanno l’estradizione del banchiere che, nel frattempo, nel 1980, era stato condannato per il crack della Franklin Bank di New York.
Nel 1979 si verifica il finto rapimento di Sindona e il suo viaggio in Sicilia realizzato con la collaborazione della massoneria e della mafia siculo- americana, vicenda molto particolare che merita una trattazione a parte.
Sindona godeva di amicizie e di collegamenti ad alto livello. Lo stesso infatti, intratteneva rapporti con l’entourage del Presidente Nixon, con elementi della CIA e con i vertici della magistratura italiana come il Procuratore Generale di Roma Carmelo Spagnuolo ( risultato iscritto alla P2), che deporrà a suo favore a New York e davanti all’ambasciatore statunitense a Roma. Dichiarò dinanzi al console americano a Roma E.Hill : “Non solo le accuse contro Sindona non sono fondate, ma la loro stessa affrettata formulazione conferma ciò che molti in Italia sanno e cioè che Michele Sindona è stato accanitamente perseguitato per le sue idee politiche” Spagnolo venne indiziato di reato, all’inizio del 1974 nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti tra mafia e polizia e infine radiato dalla magistratura.
Ma Sindona aveva stretto amicizie anche con politici di spicco quali Andreotti, come risulta da una lettera che l’8 novembre 1973, Pier Sandro Magnoni, genero di Sindona, invia a quest’ultimo. Scrive Magnoni : “ La mia profonda impressione su quanto ella ha voluto suggerire riguardo alla strategia che il nostro gruppo vuole seguire in Italia, mi autorizza a pensare, di avere noi, se mi consente, un sincero amico in lei e un formidabile esperto con cui potere concordare, di volta in volta le decisioni più importanti”. Andreotti aveva dichiarato essere Sindona “Il salvatore della lira”
I legami di Sindona arrivavano anche ai massimi vertici della politica statunitense. Basta ricordare come Sindona fosse legato a molti degli esponenti di maggiore spicco della cerchia di Richard Nixon, quali ad esempio David Kennedy e Charles Bludhorn, tant è che non è da escludere che le vicissitudini che portarono al crollo di Sindona debbano essere ricondotte all’Impeachment di Nixon conseguente al famoso scandalo Watergate che esplose a Washington nell’agosto del 1974 e che costrinse Nixon alle dimissioni.
I rapporti intrattenuti da Sindona ad alto livello, insieme alla sua potenza finanziaria, erano tali da consentirgli di condizionare la vita politica italiana. Nel 1976, infatti, la Commissione di inchiesta del Congresso americano, che indagava sulle attività “coperte” della CIA, presieduta da Otis Pike, rivelava che al generale Vito Miceli, capo del SID, erano stati consegnati 11 milioni di dollari da distribuire, come sostegno elettorale, a 21 uomini politici italiani di fede ed appartenenza anticomunista. Ciò era avvenuto per il tramite di Sindona.
Come si è accennato, nel 1972 Sindona acquista, per 40 milioni di dollari La “ Franklin National Bank” destinata, cosi’ come il Banco Ambrosiano, al fallimento, acquisto che darà luogo ad una bancarotta di duemila miliardi. Vennero accertate cointeressenze di Sindona con Calvi, Presidente del Banco Ambrosiano. Sembra che l’operazione di acquisto della Franklin Bank, per motivi non potuti accertare, sia stata finanziata dalla Banca Nazionale del Lavoro, attraverso banche statunitensi collegate a quest’ultima. Non può non rilevarsi come le manovre finanziarie effettuate da Sindona e successivamente da Calvi furono certamente agevolate dalla scarsa (forse voluta) vigilanza da parte della Banca D’Italia che nulla fece per impedire queste operazioni non ortodosse e comunque rischiose.
Numerose sono poi le vicende e i fatti dai quali emerge un rapporto continuativo tra Gelli e Sindona. Basti pensare che Gelli era uno dei personaggi facente parte della famosa lista dei 500 e cioè di coloro che attraverso Sindona avevano esportato denaro all’estero e come Gelli compaia spesso come mediatore dei conflitti di interesse che avevano luogo tra Calvi e Sindona.
I rapporti finanziari e le cointeressenze di Sindona in operazioni finanziarie si estendono anche al Vaticano. Nel 1968 infatti, è proprio Sindona che, divenuto l’uomo di fiducia dello IOR ( Istituto per le Opere Religiose di cui era Presidente Paul Marcinkus), provvede, per conto del predetto Istituto ad una colossale operazione di trasferimento e conversione di titoli italiani di pertinenza della Santa Sede, in titoli e valori esteri.
Ed ancora la figura di Sindona compare nell’inchiesta sul c.d. “Golpe Rosa dei Venti” avviata dal giudice padovano Giovanni Tamburrino che fece arrestare il capo del SID Vito Miceli. L’inchiesta venne avocata dalla Procura della Repubblica di Roma e si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati. Tra i finanziatori del Golpe figurarono Sindona, la Finabank di Ginevra e numerosi industriali del Nord Italia.
Una conferma dei rapporti intercorrenti tra Michele Sindona e la mafia italo americana, emerge oltre che dalla vicenda del finto rapimento e del viaggio in Sicilia con l’aiuto della mafia e della massoneria, dal processo che si celebrò a New York, nel Tribunale federale di Manatthan a carico di John e Joseph Gambino ai quali vennero contestati reati che andavano dalla associazione a delinquere, all’omicidio, alle estorsioni, al traffico internazionale di stupefacenti. Secondo gli investigatori statunitensi avevano riciclato enormi capitali provenienti dal traffico di droga nei Caraibi, negli Stati Uniti e in Sicilia con la collaborazione di Michele Sindona.
Sindona Morirà il 22 marzo 1986 nel carcere di Voghera dove era sottoposto a stretta sorveglianza. Avrebbe ingerito un caffè avvelenato,. L’inchiesta, aperta dalla magistratura, pervenne alla conclusione che si era suicidato anche se non fu possibile accertare come il veleno gli fosse pervenuto. Qualche giorno prima aveva subito la condanna all’ergastolo quale mandante dell’omicidio Ambrosoli e aveva minacciato di rivelare i numerosi segreti di cui era depositario, segreti che per lunghi anni aveva taciuto ma che, dopo la condanna all’ergastolo gli precludeva qualsiasi possibilità di salvataggio da parte dei suoi protettori, dai quali, peraltro, dovette ritenere di essere stato abbandonato.
La morte di Sindona presenta, per un certo verso, una impressionante analogia con l’uccisione di Salvatore Pisciotta, luogotenente e cugino del bandito Salvatore Giuliano. Pisciotta infatti morirà il 9 febbraio 1954 avvelenato da un caffè alla stricnina, mentre si trovava detenuto nel carcere dell’ Ucciardone a Palermo.
Anche in questo caso non fu possibile stabilire come e da chi il potente veleno fu introdotto in carcere e se fosse stato messo nel caffè o nello zucchero. Anche Pisciotta, così come Sindona, al processo per la strage di Portella della Ginestra, per la quale era stato condannato all’ergastolo, aveva minacciato di fare gravi rivelazioni sulla strage e sui mandanti della stessa. Ai primi di febbraio e cioè pochi giorni prima di essere ucciso, aveva chiesto di parlare con il Procuratore della Repubblica di Palermo al quale intendeva fare scottanti rivelazioni. Il Procuratore della Repubblica si recò all’Ucciardone, ascoltò le dichiarazioni di Pisciotta e si ripromise di tornare per verbalizzare il tutto. Non ne ebbe il tempo.
Anche Giuseppe Inzalaco minacciò di rivelare gli intrecci mafia politica in Sicilia nel processo che lo vedeva imputato del reato di corruzione. Anche lui venne ucciso prima che potesse fare queste rivelazioni. Tutti e tre fecero l’errore di manifestare preventivamente la loro intenzione. Chi temeva queste rivelazioni recepì il pericolo ed agì.