Il mito del cavaliere: Guglielmo il Maresciallo
Nel precedente articolo è stata introdotta la figura del cavaliere e ci si è soffermati sul suo ruolo tra i secoli VIII e IX. In questa sede ci sposteremo cronologicamente in un periodo che va dall’XI al XIII secolo e, come punto di riferimento, avremo Guglielmo il Maresciallo, I conte di Pembroke. La storia di Guglielmo è esemplare al fine di mettere in luce le caratteristiche peculiari del cavaliere medievale: Guglielmo era un self-made man dell’epoca e, soprattutto, tra coloro che esercitavano la sua stessa professione. Aiutato dalle sue scelte a da una concatenazione di eventi favorevoli, il futuro conte di Pembroke riuscì a farsi strada nella società, sino a occupare dei posti di rilievo alla corte di Enrico il Giovane.
Nato intorno al 1145 da Giovanni e Sibilla di Salisbury, Guglielmo era il quarto figlio nella linea ereditaria di Giovanni il Maresciallo. Mentre i primogeniti ereditavano terre e titoli, agli altri era riservata una vita da miles o da ecclesiastico. Per Guglielmo fu prevista una carriera militare e fu inviato in Normandia da Guglielmo di Tancarville, dove sotto la protezione del signore, fu assimilato alla banda dei cavalieri già presente insieme ad altri ragazzi. Fino al compimento dei suoi sedici anni Guglielmo dovette affiancare e servire coloro che erano già cavalieri durante lo svolgimento delle loro attività. A seconda della zona geografica essi venivano chiamati in maniera differente (vallettus, garcio, puer, scutifer, armiger), ma ovunque erano subordinati ai milites e si occupavano delle loro cavalcature, del vettovagliamento e anche di seguirli in battaglia per porgere loro le lance prima della carica. Lo juven o bacheler (così era anche chiamato colui che non era stato ancora armato cavaliere), per completare la sua formazione, si dedicava a esercizi ippici come la caccia o le simulazioni di guerra come i tornei, ma nulla di tutto ciò sostituiva l’idea che “l’apprendistato militare si faceva in guerra, sul campo di battaglia. Di qui la necessità di cominciare molto presto, ancora adolescenti, e di accumulare le esperienze col passare degli anni” (Contamine, 2005).
Al termine dell’addestramento (compiuti quindi i 16 anni di età), il servitore era pronto a diventare cavaliere attraverso la cerimonia dell’adoubement che, differentemente da quella che simboleggiava l’accesso al potere pubblico, sanciva l’inizio della professione guerriera come miles. Lasciata la casa del patrono che lo aveva formato, Guglielmo cominciò a vagare in giro senza una meta prestabilita e, come molti altri cavalieri del tempo, prese parte ai tornei per tentar di guadagnare qualcosa per vivere. Il primo torneo a cui partecipò gli permise di completare l’equipaggiamento e di mettere qualcosa da parte grazie al riscatto dei quattro prigionieri catturati durante il gioco.
In seguito Guglielmo si diresse in Inghilterra per mettersi al servizio del conte Patrizio di Salisbury, fratello della madre e strettamente legato ai Plantageneti. La prima missione fu quella di scortare Eleonora D’Aquitania (contessa di Poitiers e regina di Inghilterra) assieme allo zio paterno nel Poitou, dove alcuni vassalli erano in rivolta. Durante la scorta, il conte di Salisbury fu attaccato alle spalle e ucciso e Guglielmo, dal suo canto, tentò di vendicarlo ma fu catturato. La regina Eleonora, vedendo in lui le doti di un vero cavaliere e riconoscendo le ragioni che lo avevano spinto a tale gesto (vendetta nel nome del re e difesa della regina), lo liberò scambiandolo con degli ostaggi e lo elevò ufficialmente a cavaliere del suo seguito. Nel 1170, Enrico II incoronò re il figlio Enrico il Giovane (non governò realmente e non figura nella lista dei monarchi inglesi) e gli affiancò un pugno di cavalieri come guardia personale (cinque o sei per l’esattezza, ma a volte la banda poteva arrivare a venti) e, tra di essi, il Maresciallo fu designato, a soli venticinque anni, come mentore ed istruttore delle armi del quindicenne Enrico il Giovane. Guglielmo accompagnò il re in svariati tornei dove dimostrò le sue abilità con la lancia e con la spada e dove non si risparmiò di far vincere il suo protetto, in modo che questi potesse ricevere gloria e onori. Quando venne il momento di essere armato cavaliere, Enrico il Giovane scelse Guglielmo come officiante della cerimonia, mentre l’usanza prevedeva che dovesse essere il suocero (in questo caso il re di Francia Luigi VII) a svolgere il rituale. Gli altri cavalieri, gelosi della posizione che aveva raggiunto, ordirono una congiura contro il Maresciallo che si trovò accusato di adulterio con Margherita, figlia di Luigi VII di Francia e moglie di Enrico il Giovane. Accecato dalle accuse, Enrico congedò il cavaliere che si ritrovò di nuovo a vagare in giro per i tornei al fine di potersi guadagnare da vivere. Fu richiamato alle armi dallo stesso Enrico il Giovane quando questi decise di rivoltarsi contro il padre assieme ai fratelli Riccardo e Goffredo. La rivolta del 1173-1174 si concluse con i tre figli che rendevano omaggio a Enrico II e Guglielmo figurò tra quelli che ricevettero il perdono del re.
Nel 1184 Enrico il Giovane morì di dissenteria e Guglielmo, per eseguire una delle sue ultime volontà, si recò in Terra Santa al suo posto. Quando tornò nel 1187, il Maresciallo entrò a far parte del seguito dei cavalieri di Enrico II e, come premio per averlo sempre servito fedelmente e per legarlo maggiormente a se, il re gli concesse in moglie Isabella di Clare, diciassettenne orfana di Riccardo di Clare, II conte di Pembroke. Nel Medioevo la donna era un mezzo di promozione sociale ed era ciò a cui aspiravano i cavalieri di qualsiasi origine sociale per mettere fine alla vita errante tra le bande dei milites. Inoltre, quella attuata dal re fu una tattica molto in uso all’epoca che serviva ad assicurarsi la fiducia di alcuni uomini dando in cambio loro delle garanzie materiali. L’orfana Clare possedeva dei demani in Irlanda, Inghilterra e Normandia e le nozze introdussero Guglielmo il Maresciallo nell’orbita del mondo aristocratico grazie ai titoli che lo sposalizio gli fruttò.
La guerra scoppiata fra Enrico II (dalla cui parte si schierò il nostro protagonista) e Riccardo Cuor di Leone mise inizialmente in pericolo la situazione sociale di Guglielmo che, alla morte del suo signore nel 1189, si vide ugualmente riconosciuta dal neo re Riccardo la promessa matrimoniale fatta da Enrico II.
Quando Riccardo partì per la crociata, il Maresciallo servì fedelmente Giovanni Senza Terra anche dopo la morte del fratello Riccardo tanto che, quando nel 1216 re Giovanni morì, la tutela di suo figlio Enrico fu affidata a Guglielmo: egli diventava ufficialmente il reggente del regno, nonché uno degli uomini più potenti del tempo. Differentemente da ciò che si possa pensare, Guglielmo il Maresciallo morì nel suo letto, non senza però aver affrontato l’ultima battaglia a Lincoln nel 1217 dove riportò una vittoria contro i francesi. Il 14 maggio 1219 si spense nel suo castello a Caversham e, come aveva chiesto durante il pellegrinaggio in Terra Santa, fu seppellito come un cavaliere templare e fu ammesso nell’Ordine dopo la sua dipartita.
Guglielmo il Maresciallo fu un cavaliere che aveva segnato un’epoca e che, vivendo fra due secoli e per un periodo abbastanza elevato per un uomo dell’epoca, riuscì sicuramente a osservarne alcune mutazioni anche perché, differentemente da molti suoi contemporanei, poté, grazie alle sue abilità e alle condizioni favorevoli, intraprendere una scalata sociale che lo rese un vero e proprio self-made man. Una vita singolare e avventurosa che, nel suo complesso, permise a Guglielmo il Maresciallo di essere fregiato del titolo di miglior cavaliere del mondo da quelli del suo tempo.
Per approfondire la storia di Guglielmo il Maresciallo o la figura del cavaliere fra i secolo XI e XIII potete consultare:
- Cardini Franco, Il guerriero e il cavaliere, in Jacques Le Goff, L’uomo medievale, Laterza, Bari, 2008, pp. 83-123;
- Contamine Philippe, La guerra nel Medioevo, Il Mulino, Bologna, 2005;
- Duby Georges, Guglielmo il Maresciallo: l’avventura del cavaliere, Laterza, Roma, 1990;
- Flori Jean, Cavalieri e cavalleria nel Medioevo, Einaudi, Torino, 1999;
- Settia Aldo A., Rapine, assedi, battaglie. La guerra nel Medioevo, Laterza, Bari, 2004.