L’arcivescovo costruttore e la “fontana dei cannoli” di Monreale
Storia di un monumento che parla di ingegno e di civiltà, oggi relegato a disattenzione e incuria
La mattina del 12 febbraio 2020, il periodico online Monreale news ha pubblicato un articolo sul ritrovamento dello stemma della fontana settecentesca “dei cannoli”, dato per disperso da oltre dieci anni.
In realtà si è trattato di un ritrovamento “in casa”: lo stemma è infatti inserito nella parete frontale della vasca che, dieci anni fa, era stata depositata in un locale di pertinenza del Comune e poi dimenticata. Solo l’attivismo di Piero Faraci, segretario della proloco di Monreale, ha permesso che rivedesse la luce. Si tratta di un episodio di degrado che può sembrare minimo ma è senz’altro istruttivo.
La fontana “dei cannoli” portava l’acqua nella parte alta del paese: con i suoi vuoti e le ormai incongrue semicolonne ioniche su piedistalli è la muta testimone di una storia del tutto dimenticata, distrutta giorno per giorno senza che nessuno mostri di accorgersene.
In breve: a due passi dalla capitale, Monreale si inerpica sul monte Caputo. Nei secoli l’acqua scorreva solo nella parte bassa dell’abitato: nonostante il bisogno, troppe spese sarebbero occorse per rifornire la zona alta e mai s’era pensato a una simile evenienza.
Finché l’arcivescovo Francesco Testa non si insedia sul soglio arcivescovile, e molte cose cambiano.
Testa è un vescovo-costruttore, rifonda la cittadina e l’arricchisce con strutture sempre improntate a “magnificenza e decoro”: a partire dalla strada-monumento che, arredata con fontane scolpite da Ignazio Marabitti, nonostante l’abbandono ancora mostra i resti della propria bellezza.
È il 1763 quando Testa decide addirittura di deviare un corso d’acqua. Gli agrimensori Pietro e Giovan Battista Intravaia, assieme al capomastro Innocenzo Polizzi, studiano il percorso dei corsi d’acqua Giacalone, Api e Sant’Elia – affluenti dell’Oreto – misurano la portata e i dislivelli, decidono che si può fare.
Con “astratto e mastria” creano una rete idrica realizzando “la salita dell’acqua” attraverso un sistema di “giarre”, grandi vasche dove il liquido decanta prima di essere smistato attraverso tubi tarati. Nella parte alta di Monreale potrà arrivare l’acqua chiamata di Santa Rosalia, che scorreva distante un paio di miglia e sino ad allora era stata data in gabella dalla Mensa arcivescovile di Monreale ai giardinieri palermitani.
Quella detta “dei cannoli” era la principale delle fontane nella parte superiore del paese, da cui si partivano altre tubature che alimentavano almeno un’altra fontana nella zona più alta. Un’opera di ingegneria idraulica che sorprende per la sua imponenza e ricchezza: le acque percorrevano tutto l’abitato e scendevano in basso nella strada-monumento dove alimentavano altre fontane, adesso desolate.
Un’opera che in qualsiasi altro Paese sarebbe custodita con consapevole orgoglio, e che nella cittadina inserita nella World Heritage List dell’Unesco per il suo duomo va in rovina grazie a una colpevole ignoranza che genera indifferenza.