Il trapasso nel passato e la ritualità della morte
La pandemia da Covid-19 ha cancellato un aspetto fondamentale dell’esistenza umana: la ritualità della morte, una pratica fondamentale per l’elaborazione del lutto
La morte per pandemia da Covid-19
La filosofa Marina Sozzi sostiene nessuna cultura sia ma stata pronta ad accogliere un’epidemia, figurarsi una pandemia, che ha avuto il potere di riportare indietro di secoli il nostro modo di vivere la morte. Da lenta e degenerativa, la “Nera signora” è tornata a colpire rapidamente, accompagnata da una condizione di solitudine che paralizza la percezione stessa del decesso.
Morte da Covid-19: il dolore della solitudine
Molte sono le lettere giunte alle redazioni dei giornali per raccontare soprattutto il dolore della solitudine rispetto al decesso di una madre o di un padre anziani, entrati in ospedale e mai più rivisti. Annullare la ritualità codificata della morte ha determinato una profonda spaccatura nelle sicurezze delle persone, che, private della catarsi del rito funebre, si sono ritrovate senza gli strumenti psicologici necessari per affrontare o elaborare il dolore della perdita.
Il trapasso nel passato: se la pandemia riavvolge in nastro il tempo
La pandemia da Covid-19 ha cambiato il modo di vivere e affrontare la morte, riportando la società ai primi del Novecento, quando guerre ed epidemie scalzarono il concetto cristiano di “buona morte”, un processo lento e accompagnato dalla comunità (rivisitato anche dalle comunità salesiane di Don Bosco tra il finire del 1800 e lo scoppio della prima guerra mondiale). A questa prassi, torna ora a sostituirsi la “morte di massa”, rapida e brutale, già sperimentata a partire dalla Prima guerra mondiale.
Oggi come allora, le norme di sicurezza anticontagio hanno privato le famiglie di quella condivisione del dolore necessaria all’individuo per elaborare la tragedia e trovare la forza di accettare la morte.
Morte e medicina del primo ‘900
L’avvento di nuove medicine e delle tecniche chirurgiche del primo Novecento contribuirono in qualche misura a rallentare la morte, rendendo per contrasto più traumatico il rapporto con guerre ed epidemie. A cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, la malattia inizia dunque a diventare una condizione cronica, destinata a peggiorare lentamente. Questo non solo prolunga in qualche modo la vita del malato, ma aumenta il tempo a disposizione dei familiari per un’adeguata preparazione al lutto.
Quando il decesso arriva dopo settimane e non più dopo giorni, la mente ha il tempo di adattarsi e processare quanto sta accadendo, preparandosi al trauma emotivo.
Atteggiamenti mentali che, come abbiamo già avuto modo di osservare, guerre ed epidemie hanno sempre cancellato nel corso della storia, ma mai in maniera così traumatica come con l’avvento del primo conflitto mondiale, la cui brutalità ha trasformato la morte in un evento di massa.
La “morte di massa” nella Prima guerra mondiale
L’immane tragedia della Prima guerra mondiale ha cancellato ogni forma di ritualità funebre nonché di individualità. Perfino nella morte l’individuo diviene uno tra tanti, sepolto frettolosamente (quando possibile) nei pressi del fronte. Una forma massificata di trapasso che nega ogni possibilità di ritualizzare il decesso, di lavorare sulla componente emotiva e psicologica della morte, trasformando il bisogno di accettarla in quello di negarla con forza.
Dal “Milite ignoto” ad Hart Island
Per capire come e quanto la Prima guerra mondiale abbia influito sulla concezione della morte, basta inquadrare la figura del cosiddetto “Milite ignoto”. Si tratta di un militare morto in guerra le cui spoglie non possono essere identificate, diventato simbolo e rappresentazione di decine di deceduti, abbandonati in solitudine nei cimiteri improvvisati, mai reclamati e mai riconosciuti.
Un evento che non riguarda solo la guerra, ma anche la pandemia, come dimostrato recentemente dalle sepolture di emergenza a New York, dove centinaia di corpi (di persone decedute a causa del Covid-19) sono stati frettolosamente tumulati su Hart Island, il cimitero degli indigenti della Grande mela, dove molti ancora aspettano di essere reclamati o riconosciuti dai propri cari.
Il significato del “Milite ignoto”
La tomba del “Milite ignoto”, presente ormai in quasi tutti i Paesi del mondo, è una sepoltura simbolica che rappresenta tutti coloro che sono morti durante il conflitto e non sono mai stati identificati.
Una pratica nata l’11 novembre del 1920, in occasione delle celebrazioni per il primo anniversario dalla fine del primo conflitto mondiale. Quando le prime tombe vennero istituite in Francia e Inghilterra, rispettivamente sotto l’Arco di Trionfo (a Parigi) e all’interno dell’abbazia di Westminister (a Londra). Una pratica celebrativa adottata il 4 novembre 1921 anche in Italia, dove il sacrario del “Milite ignoto” venne posto all’interno del Vittoriano (a Roma).
La morte da Covid-19: le bare di Brescia
Torniamo nel 2020. Per l’Italia, l’immagine dei camion dell’esercito che hanno trasportato lo scorso anno le bare dei morti bresciani verso altri cimiteri rimarrà il simbolo della pandemia.
Il monito di una tragedia che ha privato moltissime famiglie dello possibilità di piangere i propri morti, trasformando il lutto in uno stato di emergenza deleterio per l’anima.
Privando troppe persone della possibilità di elaborare il lutto, caricandole invece del senso di colpa per l’assenza nel momento finale dei propri cari.
La morte da Covid-19: l’India e le pire funerarie
Tutti i Paesi del mondo stanno affrontando la tragedia del Covid-19 e l’India sta combattendo contro una catastrofe sanitaria senza precedenti. L’emergenza deriva da una serie di cause complesse, una concatenazione di motivazioni che posseggono un carattere anche religioso e sociale.
L’immagine simbolo di questo disastro sono i cadaveri che vengono bruciati a centinaia su grandi pire funebri, sempre più spesso anche improvvisate. Questo perché nel credo induista la cremazione del corpo è un rituale necessario per permettere all’anima di liberarsi dalla propria vita precedente e reincarnarsi per affrontare il successivo ciclo dell’esistenza. Solo che questo rito viene solitamente accompagnato da altre cerimonie, di cui (anche) le famiglie indiane sono state private.