Il potere visibile e quello invisibile
Licio Gelli e i segreti della P2
Ne La democrazia e il potere invisibile, Norberto Bobbio parla apertamente di un “sottogoverno”, delineatosi già in epoca postkeynesiana, quando la politica inizia ad affiancare, alle leggi e agli atti amministrativi, anche la gestione di grandi centri di potere economici (banche, industrie di Stato, etc) non facilmente controllabili. Accanto all’espressione “sottogoverno”, il filosofo torinese conia anche il termine “criptogoverno” per indicare un insieme di azioni compiute da politiche eversive in accordo con pezzi importanti dei servizi segreti (1).
Esistono dunque, per Bobbio, un potere visibile – che dovrebbe proprio a questa visibilità il suo essere democratico – e un potere invisibile. È chiaro che, affinché vi sia democrazia, è imprescindibile che il primo debelli il secondo. Ma, se il potere invisibile finisce per diventare un mezzo di sussistenza dei partiti (che della democrazia rappresentativa sono espressione), allora diventa assai difficile riuscire a scardinare il meccanismo di complicità e connivenze che ha caratterizzato con certezza (come possiamo ormai dedurre dai numerosi documenti) gli ultimi quarant’anni di storia italiana.
E che, con altrettanta certezza, continua a caratterizzarla, in attesa che altri scandali, altre morti derubricate a suicidi, altre stragi di Stato rimaste irrisolte vengano a galla. È in questo quadro di misteri, morti sospette, valigette scomparse che va collocato questo articolo, alla vigilia dell’uscita – per New digital frontiers – del libro di Alberto Di Pisa, Morti opportune (2).
Il 9 dicembre del 1981 si insediava a Roma la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, presieduta da Tina Anselmi. Il suo compito era «accertare l’origine e la natura, l’organizzazione e la consistenza dell’associazione (…) le finalità perseguite, le attività svolte, i mezzi impiegati; le forme di penetrazione negli apparati pubblici, gli eventuali collegamenti interni ed internazionali (…) nonché le eventuali deviazioni dalle competenze istituzionali di organi dello Stato, di enti pubblici e di enti sottoposti al controllo dello Stato» (3).
Furono nominati vicepresidenti l’onorevole Salvatore Andò (PSI) e il senatore Franco Calamandrei (PCI) sostituito dopo la sua morte, avvenuta il 26 settembre del 1982, dal compagno di partito Alberto Cecchi a partire dal 19 ottobre dello stesso anno; segretari furono il senatore Luciano Bausi (DC) e il deputato Aldo Rizzo (Gruppo Misto). La loggia P2 viene scoperta dalla Guardia di finanza nel marzo del 1981, durante le indagini del falso sequestro del banchiere Michele Sindona, membro appunto della P2.
Il 17 marzo di quell’anno, infatti, i finanzieri compiono una perquisizione alla GIO-LE di Castiglion Fibocchi (Arezzo), un’azienda di proprietà di Licio Gelli, nel corso della quale vengono rinvenuti gli elenchi di 848 iscritti alla loggia. Il ritrovamento aprirà, in seno alla Commissione di inchiesta, una querelle ripresa, contestualmente, anche dai principali quotidiani dell’epoca. Ad un’attenta analisi di tali liste, emergono infatti alcune incongruenze, non taciute peraltro nemmeno dalla presidente, Tina Anselmi: 114 nomi risultano depennati, 5 sospesi, 23 trasferiti, 29 assonnati, uno espulso. Si arrivò a ipotizzare da più parti che quelle liste costituissero in realtà un falso documento, fatto rinvenire deliberatamente dallo stesso Gelli per depistare il lavoro del Parlamento e della magistratura.
Del resto, persino la Commissione, due anni e mezzo dopo il suo insediamento, sentì il bisogno di esprimere massima cautela sulle conclusioni del suo lavoro. Nessuna prova inconfutabile risultava infatti possibile e spesso le deduzioni alle quali essa era pervenuta erano frutto di procedimenti logici e di coerenza. Che non servirono, tuttavia, a dare un chiarimento esaustivo delle numerose vicende ruotanti attorno a Gelli e alla sua loggia e che, anzi, contribuirono ad aprire tutta una serie di ulteriori interrogativi di maggiore portata.
I lavori della Commissione, comunque, riescono a mettere in rilievo le ramificazioni della loggia massonica in vari ambiti: mondo degli affari e dell’editoria, traffico di armi e di droga, interessi legati al petrolio, intrecci col mondo della politica e con ambienti militari nazionali e internazionali. Tale pericolosa trama di potere e di connivenze, del resto, sembra emergere già nelle prime concitate fasi del sequestro delle carte se è vero – come dimostrano i documenti in possesso della stessa Commissione – che, durante le perquisizioni della Guardia di finanza a Castiglion Fibocchi nel 1981, il generale Orazio Giannini si prese la briga di contattare personalmente il colonnello Vincenzo Bianchi, il quale sovrintendeva l’operazione, consigliandogli vivamente di fare attenzione alla lista perché in essa si trovavano i nomi di tutti i vertici del Corpo.
Informazioni su Gelli e sulla sua attività criminale, tuttavia, sono antecedenti ai fatti appena narrati. Va detto, infatti, che la prima relazione sul “gruppo Gelli” risale al 1974 e reca la firma di Emilio Santillo, direttore dell’Ispettorato per l’azione contro il terrorismo. Altre due relazioni di grande rilievo sono poi quella del dicembre del 1975 e dell’ottobre 1976 trasmesse rispettivamente dal giudice Zincani, che indagava su Ordine nero, e dai giudici Pappalardo e Vigna che svolgevano un’inchiesta sull’omicidio del giudice Occorsio (quest’ultimo stava a sua volta indagando su possibili collegamenti tra l’Anonima sequestri, la massoneria e l’eversione). Il lavoro di Santillo fu ostacolato dai servizi, che gli inibirono l’accesso alla documentazione su Licio Gelli in loro possesso.
Ciò che appare opportuno chiarire è che da più parti si è insistito, nel corso degli anni, sulla necessità di stabilire un netto confine tra la massoneria e la loggia P2 onde evitare di affidare alla ricostruzione storica degli eventi un’equazione tout court tra le due realtà che, come si avrà modo di spiegare meglio nel corso di questo articolo, presentano invero delle differenze sostanziali.
In primo luogo, è bene affermare che le organizzazioni massoniche, in generale, sono dotate di riservatezza, ma non di segretezza, come del resto stabilito anche dall’articolo 18 della nostra Costituzione il quale proibisce «le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare». Sulle differenze tra riservatezza e segretezza delle organizzazioni massoniche insiste anche la relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta, facendo notare che se la prima può anche essere logica e in qualche modo accettabile, la seconda risulterebbe del tutto incomprensibile volendo prendere per buoni gli obiettivi che la massoneria stessa afferma di voler perseguire (4).
Pertanto, al fine di capire meglio chi fosse Licio Gelli e cosa, effettivamente, sia stata la Propaganda 2, è necessario prima indagare la vita del suo ispiratore. Sin dalle prime sedute della Commissione di inchiesta, emerge la necessità di far piena luce sui suoi contatti, sulle relazioni, sui trascorsi di un personaggio destinato a ricoprire un ruolo tutt’altro che marginale nella vita politica del nostro Paese. Ne è convinto assertore il senatore Giorgio Pisanò (MSI-DN) il quale propone, già nel corso delle prime riunioni della Commissione, di istituire un sottocomitato che si occupi esclusivamente e rapidamente di ricostruire la vita di Licio Gelli: «Personalmente, parto dal principio che ci troviamo di fronte ad una specie di tela di ragno dove il ragno è Licio Gelli. E mi riesce difficile pensare ad un tipo d’indagine, su una situazione così complessa ed ingrovigliata, se non si parte dalle origini, cioè dalla figura di Licio Gelli; infatti tutta questa storia comincia quando questo signore entra a far parte della Massoneria. Bisogna quindi ricostruire la vita di Licio Gelli minuto per minuto al fine di vedere come è entrato nella Massoneria» (5).
Pisanò chiede che vengano auditi non solo gli allora capi della massoneria, ma anche quelli che tenevano in mano le redini del potere ai tempi dell’ingresso di Gelli nell’organizzazione. Il gruppo di lavoro proposto dal senatore doveva essere formato da non più di cinque o sei commissari che, autorizzati ad accedere a nome della Commissione «in determinati settori della vita pubblica», potessero ricostruire le origini di quella ragnatela, gli eventi, i contatti.
Pisanò insiste anche sui venti anni di vuoto intercorsi tra il 1945 e il 1971, anno in cui esplode il caso della P2. Il deputato è convinto, infatti, che il nucleo degli eventi salienti legati alla loggia vada collocato proprio in quel lasso di tempo e chiede pertanto una collaborazione anche all’Ufficio dell’ispettorato della banca d’Italia (6).
Delineare un ritratto netto di un personaggio che è riuscito a controllare ampi settori nazionali e internazionali della società (dall’editoria alle forze armate e ai servizi segreti) non è certamente impresa facile e tanti sono coloro che ci hanno provato negli anni successivi allo scoppio dello scandalo della P2. Qui proviamo a ripercorrere, in modo piuttosto discorsivo e divulgativo, alcune tappe di una storia che certamente rimane ancora piena di misteri. Molte sono le bibliografie sul “venerabile”, alcune appaiono più che altro delle vere e proprie apologie come, ad esempio, quella di Orazio Tognozzi (7). Non è un segreto, infatti, che Gelli amasse rilasciare interviste ed esistono diverse biografie, costruite attorno alle sue dichiarazioni, volte a ricostruirne l’immagine ingiustamente infangata, a suo dire, dai risultati dell’inchiesta della Commissione Parlamentare (8).
Nato a Pistoia il 21 aprile 1919, partecipò nel 1936 alla guerra civile spagnola arruolandosi, sotto falsa identità, perché ancora minorenne, nell’ex M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale). Durante gli scontri perse il fratello, anch’esso arruolato come legionario italiano al fianco delle truppe di Francisco Franco. Gelli dichiarò che a partire da quel momento sorse in lui un feroce odio anticomunista (9). Tornato in Italia, fu aiutato da Mussolini a ottenere una borsa di studio per accedere ai corsi di preparazione politica organizzati dal duce per i giovani fascisti. Durante la seconda guerra mondiale, partecipò alla conquista di Cefalonia, coordinata dal principe Borghese cugino di Junio Valerio.
I suoi primi contatti con i servizi segreti risalgono al 1943 quando, trovandosi a Cattaro, gli fu affidato il compito di recuperare e trasportare il tesoro jugoslavo in Italia (10) in qualità di uomo di fiducia di Parini, segretario dei fasci italiani all’estero. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, con l’Italia divisa in due, riesce a diventare anello di congiunzione tra le autorità locali della Repubblica sociale e il comando tedesco di cui divenne il principale informatore. Pare che, grazie alle sue delazioni, in quel periodo ebbero luogo numerose fucilazioni di giovani renitenti alla chiamata alle armi di Salò (11).
Nelle fasi successive del conflitto, Gelli inizia ad assumere un atteggiamento camaleontico. Intuita una possibile sconfitta dei tedeschi, decide di cercare contatti con i partigiani, allo scopo di dissuaderli, a suo dire, dal compiere rappresaglie contro i collaborazionisti (12). Si sa che, ormai sospettato dai soldati tedeschi, trascorse i giorni fino all’8 settembre 1944 nascosto in una capanna di proprietà della sorella e del cognato. Quello che invece non è certo – come ebbe a dire anche Pisanò in un suo intervento durante i lavori della Commissione di inchiesta – è ciò che Gelli fece successivamente a quella data. Rimase certamente sotto il controllo delle forze dell’ordine e fu condotto alla Maddalena il 25 gennaio del 1945 e qui, orientativamente, va collocato non solo il suo ingresso nella massoneria ma anche il suo primo contatto col SIM (Servizi Informazione Militare).
Il 22 febbraio del 1945 fu arrestato, su ordine della procura pistoiese, per il sequestro di Giuliano Bargiacchi, figlio di un collaboratore dei partigiani. Portato a Regina Coeli, vi conobbe Junio Valerio Borghese, comandante della X Mas. Fu assolto perché il fatto non costituiva reato il 27 gennaio del 1947. Ma, già nell’ottobre del 1944, secondo dichiarazioni dello stesso Gelli, era stato chiamato a collaborare con il Counter Intelligence Corps, il servizio di controspionaggio militare americano.
Da uomo libero, inizia a dedicarsi alla politica, diventando segretario provinciale del Partito nazionale del lavoro, di ispirazione monarchica. Nel 1948 collabora con Romolo Diecidue, candidato in Toscana per la Democrazia cristiana, restando però sostenitore convinto della monarchia. Secondo una relazione dell’amministrazione provinciale di Pistoia, Gelli viveva molto al di sopra delle sue possibilità, se è vero che in quel periodo lavorava col suocero vendendo merci di ogni genere in un mercato della città. Non si spiegherebbe come sia riuscito, con i proventi di tale lavoro, ad aprire la libreria “La casa del libro”. Per tale ragione, fu sospettato di contrabbando di armi ed esplosivi e di attività di spionaggio a favore dei Paesi dell’Est.
Secondo un’informativa dell’ufficio romano del SIFAR del 20 gennaio 1945, infatti, Gelli era un agente del Kominform. Tale sospetto, però, non verrà mai suffragato da prove valide e incontestabili. Appare inoltre certo che viaggiasse molto in quel periodo: dopo la sua scarcerazione, infatti, il “venerabile” aveva ottenuto il passaporto grazie all’interessamento di Orfeo Sellani, allora dirigente del MSI. Meta di quei viaggi, oltre a Francia, Spagna, Svizzera, Belgio e Olanda fu anche l’Argentina, dove il “venerabile” diventerà consigliere economico dell’ambasciata e dove pare si sia occupato di nascondere i capitali degli ex gerarchi fascisti, ottenendo in cambio una somma che ammontava al 40% del totale trasferito. Né meravigliano queste attività all’estero, poiché è ormai assodato che la massoneria avesse già allora un carattere internazionale. Dunque la loggia P2 – che agiva all’interno della comunione pur distinguendosene – aveva analoghe caratteristiche.
Già nella relazione finale della Commissione d’inchiesta questo fatto appariva accertato (13). Non deve stupire dunque se da un’inchiesta condotta su richiesta dell’Ispettorato antiterrorismo di Santillo (e affidata al colonnello Florio, al tenente colonnello Giuseppe Serrentino, al maggiore Antonino De Salvo e al capitano Luciano Rossi) sia emerso che Gelli avesse rapporti consolidati con Perón, Campora e Massera dai quali venne nominato, nel 1973, console onorario d’Argentina.
A riprova delle reti di protezione e di amicizie di cui il “venerabile” godeva anche all’estero, va ricordato che, quando nel 6 marzo del 1982 il Ministero degli esteri italiano, su sollecitazione della Commissione di inchiesta, fece formale richiesta alle rappresentanze diplomatiche italiane di trasmettere documenti e notizie su Gelli e la loggia, ricevette una risposta negativa da parte dell’ambasciata di Buenos Aires. Vale la pena anche ricordare che il colonnello Florio e il capitano Rossi – sopra indicati – morirono in circostanze alquanto misteriose: il primo in un incidente stradale avvenuto nel luglio del 1978 lungo l’autostrada del sole e il secondo, che stava indagando proprio sulle reali cause dell’incidente di Florio, morì suicida il 5 giugno del 1981 (14).
Un’altra testimonianza dei consolidati rapporti che Gelli era riuscito ad intessere all’estero ci è data dalle sue frequentazioni con l’agente della CIA Frank Gigliotti. Il quale, nel 1947, fece ottenere al “venerabile” il primo riconoscimento del Grande Oriente da parte della circoscrizione del Nord degli USA e, secondo la Commissione, la comparsa di Licio Gelli nella massoneria andrebbe collocata proprio in seguito alla scomparsa di Gigliotti.
Una ventina d’anni più tardi, nel 1965, Gelli viene segnalato al “gran maestro” Giordano Gamberini, dal “gran maestro aggiunto” Roberto Ascarelli, iniziando così un’ascesa insolitamente rapida nei ranghi della massoneria.
Egli passò, con estrema facilità, dal grado di apprendista a quello di segretario organizzativo della loggia Propaganda, mansione che rivestì a partire dal 1971. Va detto che tale carica non era mai esistita all’interno della loggia, e tutto lascia pensare che sia stata appositamente creata per Licio Gelli. Persino la natura del compito affidatogli lascia sbalorditi, trattandosi di un assunto assai delicato: riunificare il Gran Oriente di palazzo Giustiniani con quello di piazza del Gesù e iniziare a intessere relazioni con il mondo cattolico. Tre anni più tardi, nel 1975, Licio Gelli viene nominato “maestro venerabile” dal medico fiorentino Lino Salvini, successore di Gamberini al quale verrà affidato l’incarico di tenere rapporti con le massonerie estere e con la CIA.
Tuttavia sulla insolita rapidità dell’ascesa di Gelli ai vertici dell’organizzazione (così come sulla nomina a “maestro venerabile”, carica rigorosamente elettiva fino a quel momento in seno alla massoneria), la Commissione d’inchiesta non riesce a fornire motivazioni chiare, alludendo alla natura polimorfa dell’organizzazione, alla lacunosità di alcuni documenti e al grado di riservatezza di alcune informazioni coperte da omissis la causa di tale incertezza.
Si può tuttavia ipotizzare che le motivazioni di tanto potere vadano ricercate in alcuni fascicoli compilati dal Sifar durante la gestione De Lorenzo ed entrati in possesso del generale Giovanni Allavena. Questo, dopo esser stato cacciato nel giugno del 1965 dal servizio segreto militare, avrebbe poi consegnato tali fascicoli alla massoneria (ancora la P2 non esisteva) dopo avervi aderito (15. Quello che sicuramente è indiscutibile è che Gelli – dapprima delegato del “gran maestro” della famiglia massonica di palazzo Giustiniani, poi segretario organizzativo della loggia a partire dal 1971 e infine “maestro venerabile” dal 1975 – era funzionale ad una ristrutturazione dell’organizzazione e della natura della massoneria che mirasse a conferirle connotazione politica. Operazione per la quale era necessario intessere degli intrecci profondi con le realtà politiche e militari del nostro Paese.
Uno degli aspetti più inquietanti emersi dall’indagine della Commissione, ma certamente non l’unico, è proprio l’intreccio tra la massoneria “rinnovata” di Gelli e gli ambienti militari nazionali e internazionali. Tale preoccupazione dovette essere colta anche da alcuni affiliati, i cosiddetti “massoni democratici”, che si opposero fermamente al disegno di Gelli e di Salvini. Tra questi vanno ricordati Ferdinando Accornero, membro della giunta esecutiva del Grande Oriente ed Ermenegildo Benedetti, “grande oratore”.
Ad accendere inizialmente i riflettori sulla Propaganda 2, tuttavia, non furono le connessioni tra questa e le sfere politiche e militari, quanto piuttosto i legami con l’eversione nera e l’anonima sequestri. Ne ricordiamo alcuni: primo tra tutti il Golpe Borghese, avvenuto nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 sotto la spinta del Fronte nazionale. Molti esponenti di spicco tra gli organizzatori erano iscritti alla P2 o alla massoneria: Vito Miceli (direttore del SID), Duilio Fanali, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio, Giuseppe Casero, Filippo De Jorio che, tra l’altro, figurano nelle liste di Castiglion Fibocchi.
Uomini della P2 appaiono anche, come risulta dalle indagini del giudice Tamborino di Padova, nel movimento Rosa dei Venti: sono il generale Ricci, Alberto Ambesi e Francesco Donini. La P2 ebbe un ruolo anche nell’orribile strage del treno Italicus, devastato da un ordigno esplosivo nella notte tra il 3 e il 4 agosto del 1974. In particolare, quest’ultima carneficina è imputabile ad un’organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana, ed è comprovato che la P2 finanziasse i gruppi della destra extraparlamentare di quella regione. Lo conferma la sentenza assolutoria d’assise 20.7.1983-19.3.1984:
«A giudizio delle parti civili gli attuali imputati, membri dell’Ordine Nero, avrebbero eseguito la strage in quanto ispirati, armati e finanziati dalla massoneria, che dell’eversione e del terrorismo di destra si sarebbe avvalsa, nell’ambito della cosiddetta “strategia della tensione” del paese creando anche i presupposti per un eventuale colpo di Stato. La tesi di cui sopra ha invero trovato nel processo, soprattutto con riferimento alla ben nota loggia massonica P2, gravi e sconcertanti riscontri, pur dovendosi riconoscere una sostanziale insufficienza degli elementi di prova acquisiti sia in ordine all’addebitabilità della strage a Tuti Mario e compagni, sia circa la loro appartenenza ad Ordine Nero e sia quanto alla ricorrenza di un vero e proprio concorso di elementi massonici nel delitto per cui è processato».(16)
L’insufficienza di prove rese impossibile identificare con certezza i mandanti della strage, ma non impedì ai giudici bolognesi di provare che Ordine nero avesse legami con la massoneria e che fosse «un’organizzazione terroristica che intendeva creare insicurezza generale, lacerazioni sociali, disordini violenti e comunque (nell’ottica della cosiddetta “strategia della tensione”) predisporre il terreno adatto per interventi traumatici, interruttivi della normale, fisiologica e pacifica evoluzione della vita politica del Paese» (17).
Non a caso Bobbio, nella sua disamina sui poteri occulti, insiste sulla necessità di far risalire proprio alla strage di piazza Fontana l’inizio della degenerazione del sistema democratico italiano (18). Il golpe Borghese, la strage dell’Italicus, Piazza Fontana (solo per citare alcuni esempi) fecero sì che i giornali iniziassero a occuparsi della loggia P2. E i massoni democratici, infastiditi da quel polverone che rischiava di alzarsi a discapito dell’intera comunione, sottoposero Gelli a processo.
Il “venerabile” verrà graziato da Salvini e, seppur formalmente sospeso per tre anni dalla massoneria, egli continuerà a lavorare con la complicità del medico fiorentino e di Gamberini. L’atteggiamento mostrato dai massoni democratici dimostrerebbe che la loggia P2 sia stata un corpo estraneo e nemmeno tanto tollerato in seno alla comunione. Ma certamente, gli affiliati non potevano essere tutti all’oscuro delle azioni criminali commesse da Gelli e dal suo gruppo.
La Commissione d’inchiesta, a tal proposito, afferma che la loggia Propaganda era inserita a pieno titolo nella «comunione massonica di più antica tradizione di più vasta affiliazione di aderenti». Ma che, a differenza di questa, era dotata di segretezza e che Gelli potrebbe essere stato un infiltrato nella massoneria allo scopo preciso di costituire la loggia Propaganda. Secondo la relazione della Commissione, infatti, la comunione di palazzo Giustiniani si trovò ad essere vittima e complice allo stesso tempo di Gelli, così come emergerebbe dagli scontri, neppure troppo velati, tra i dissidenti (massoni democratici) e gli alti vertici del Grande Oriente come Salvini.
Credere che l’intera comunione massonica fosse totalmente all’oscuro delle manovre della P2 risulta assai poco credibile, considerato anche che le modalità di azione poste in essere dalla stessa ricordano quelle ben note della criminalità organizzata: gli affiliati giuravano non riservatezza, bensì silenzio e sin dalla loro adesione sapevano che la loggia sarebbe intervenuta per ristabilire l’ordine nel caso in cui uno di essi si fosse trovato in difficoltà. La sostituzione di un potere occulto all’ordinamento democratico dello Stato è uno degli anelli di congiunzione tra le due forme di criminalità, forse il più pericoloso. Non a caso, Giovanni Falcone aveva capito che la massoneria fosse il collante dei vari poteri criminali con la politica e le istituzioni (19).
Nel corso degli anni ’70 e ’80 poi l’azione dipanata dalla loggia P2 va inserita nella cornice storica delle rivolte sessantottine le quali forzarono l’apertura di un dibattito in seno ai principali partiti politici dell’epoca: la DC, il PSI e il PCI.
Il Sessantotto è un anno cruciale: le occupazioni delle università a Trento, Torino, Pisa, Napoli, Firenze si intrecciano infatti con le agitazioni degli studenti europei di Madrid, Bonn, Praga, Parigi e dei giovani universitari americani. I ragazzi scendono in piazza, contestano il sistema, criticano la cultura ufficiale, chiedono la riforma dell’università, la fine della guerra nel Vietnam, l’abbattimento della società dei consumi. In quelle stesse piazze trovano le forze dell’ordine pronte a rispondere con elmetti, manganelli, camionette corazzate, bombe lacrimogene.
Gli operai iniziano a guardare con interesse alla contestazione giovanile e gli universitari partecipano ai picchetti davanti al Lingotto e a Mirafiori. L’esigenza di un cambiamento profondo delle istituzioni politiche, a partire dal mutamento stesso della società, fu percepita e accolta – seppur con un certo ritardo – dall’allora presidente del Consiglio Mariano Rumor, da Aldo Moro e dal Partito comunista. Più prudente, invece, apparve la posizione di Nenni che finì per determinare l’allontanamento della corrente più radicale del Partito socialista che, dopo aver fondato il Psiup e aver rifiutato un’alleanza con la DC, si avvicinò al PCI formando con esso liste uniche al Senato in occasione delle elezioni del 1968.
Bisognava dare delle risposte all’ondata di proteste proveniente dalle piazze di studenti e operai e una di queste sarà, due anni dopo, lo Statuto dei lavoratori del 1970. Le spinte di rinnovamento, la naturale tendenza alla secolarizzazione della società – come dimostrano gli esiti del referendum sul divorzio del 1974 – vengono percepite dai partiti i quali, tuttavia, non riescono a incanalarle in opportune riforme.
Al contrario, la politica si dimostra incapace di rispondere alle istanze sociali rivendicate con forza dalle masse. È in questo quadro di alta tensione che va inserita la decisione di Moro e Berlinguer di mettere da parte le differenze, le rivalità, gli scontri in modo tale da far cadere la conventio ad excludendum che, dal 1947, teneva di fatto il PCI fuori da ogni ipotesi di alleanza di governo.
Berlinguer guardava anche alla politica internazionale: il golpe cileno del 1973 lo preoccupava. Il pericolo di un colpo di Stato era concreto anche in Italia ed esigeva un atteggiamento responsabile da parte dei partiti politici al fine di arginare pericolose derive. Moro venne sequestrato il 16 marzo del 1978 e ucciso il 9 maggio successivo, proprio mentre lavorava alla realizzazione di quello che fu definito “compromesso storico”. Oggi siamo consapevoli che quel delitto, la cui responsabilità ricadde allora per intero sulle Brigate rosse, sia maturato proprio all’interno di quella fitta trama di poteri occulti definita da Bobbio con l’espressione “criptogoverno”.
Illuminante appare, a tal proposito, una relazione dei servizi segreti italiani, prodotta sotto la gestione del generale Santovito, la quale fu approntata per consentire all’allora ministro della difesa, Attilio Ruffini, di documentarsi in seguito alla presentazione di un’interrogazione dell’onorevole Natta alla Camera dei deputati. Tale relazione, seppur avesse lo scopo di sviare l’attenzione dalla loggia P2 e dalla figura di Licio Gelli, finì per svelare indirettamente la palese adesione del generale alla politica di Gamberini e, dunque, dello stesso Gelli. Leggiamo infatti:
« […] è opinione diffusa ritenere che la massoneria italiana, spinta da quella americana, si sia intromessa in note vicende politiche (si citano la scissione di Palazzo Barberini, l’estromissione del PCI dal governo De Gasperi, l’introduzione del PSI nell’area di governo, il divorzio, la scuola laica), ma bisogna riconoscere che il suo peso in tali vicende è indiretto, ed è soltanto dovuto alla presenza di “fratelli” in Parlamento, negli enti locali, nella dirigenza statale, nell’industria, nella finanza e così via. Su istigazione del comunismo internazionale si tende a disgregare la massoneria, ma per fortuna Gamberini, a partire dal 1974 (lapsus freudiano?) ha cominciato ad espellere falsi fratelli antimassonici, affaristi e intrallazzatori […]» (20).
“Fumose considerazioni sulla massoneria”: così fu bollato dalla Commissione parlamentare di inchiesta il rapporto di Santovito, ma utile a far emergere la reale posizione del “venerabile” all’interno dei servizi. Gelli era persona di appartenenza ai Servizi Segreti e pertanto veniva protetto, evitando di fornire alle autorità politiche che ne facessero richiesta qualsiasi informazione utile a dipanare la complicata matassa che opprimeva la vita democratica del Paese.
Ed è in questo groviglio di complicità che vanno ricercate le cause delle morti e dei suicidi sospetti degli ultimi quarant’anni: dal banchiere Roberto Calvi, coinvolto nel crack del Banco ambrosiano e trovato impiccato a Londra il 18 giugno del 1982, a Gabriele Cagliari, implicato nella vicenda Enimont e trovato morto in carcere il 23 luglio del 1993, a Raoul Gardini che, disteso sul letto, si sparò un colpo di pistola alla tempia. Fino ai depistaggi e alla scomparsa sospetta di testimoni della strage di Ustica, rimasta ancora oggi, a quarant’anni di distanza, senza colpevoli.
Ai giudici di Bologna che indagavano sulla strage dell’Italicus, il direttore del SID, l’ammiraglio Casardi, rispose il 4 luglio 1977 che «il SID non dispon[eva] di notizie particolari sulla loggia P2 di Palazzo Giustiniani […] non dispon[eva] di notizie sul conto di Licio Gelli per quanto concerne la sua appartenenza alla loggia P2 oltre quanto diffusamente riportato dalla stampa» (21). In questo caso, l’intento dei servizi non è quello di proteggere Gelli, quanto piuttosto di utilizzare le informazioni che volutamente essi negano ai giudici, per poterlo controllare.
Troppo fitta è la trama di affiliati appartenenti alle forze armate per non affermare con assoluta certezza che Gelli esercitasse su di esse un forte potere di controllo e di condizionamento (22): cinquantadue ufficiali dei carabinieri, nove dell’aeronautica, ventinove della marina, cinquanta dell’esercito, trentasette della Guardia di finanza e sei della pubblica sicurezza. Su centonovantacinque esponenti del mondo militare, poi, novantadue erano generali o colonnelli (23) e non vanno tralasciati gli incarichi in posizioni delicate di alcuni di essi: Giovanni Torrisi, capo di Stato maggiore della marina negli anni 1977-1980 e della Difesa nel 1980-1981; Giulio Grassini direttore del SISDE dal 1977 al 1981, il già citato Santovito direttore del SISMI dal 1978 al 1981, i generali Raffaele Giudice e Orazio Giannini, comandanti generali della Guardia di finanza tra gli anni Settanta e Ottanta solo per citarne alcuni.
La stretta connessione tra una parte delle forze dell’ordine e la P2 è attestata, poi, dalle vicende che ruotano attorno alla divisione carabinieri “Pastrengo” di Milano. Il tenente colonnello Bozzo, che vi prestava servizio, dichiarò l’esistenza di un vero e proprio gruppo di potere al di fuori della gerarchia il quale includeva il generale Giovanni Battista Palumbo (24), comandante della divisione, il maggiore Antonio Calabrese e il generale Franco Picchiotti. Quest’ultimo presenziò ad alcune riunioni tenutesi presso villa Wanda. La questione Pastrengo, nella fattispecie, assume un grande risalto dal momento che quella divisione costituiva un “punto nevralgico” per la lotta al terrorismo nell’Italia settentrionale.
Sono talmente numerosi i documenti che attestano l’influenza di Gelli negli ambienti militari, in particolare nelle alte sfere, da far pensare che nessuna nomina venisse fatta senza prima informarlo. È il caso del già citato generale della guardia di Finanza, Raffaele Giudice, che rivestì quell’incarico tra il 1974 e il 1978, su nomina di Giulio Andreotti. Giudice fu coinvolto in una serie di scandali legati in particolare a un traffico di petrolio con la Libia – in cui erano coinvolti Mario Foligni, democristiano, il fratello del premier maltese Don Mintoff e altri petrolieri italiani.
Nell’indagare su queste pericolose connessioni, nel 1979 perse la vita in uno strano incidente stradale il maresciallo dei servizi segreti Augusto Ciferri, autore delle intercettazioni telefoniche che avrebbero dato vita al famoso fascicolo Mi.Fo.Biali dal quale emergerebbe il tentativo di istituire un secondo partito cattolico alternativo alla DC, di stampo conservatore e finanziato attraverso una serie di importazioni illegali di petrolio dalla Libia. Tale dossier, finito anche nelle mani del giornalista Mino Pecorelli, potrebbe essere la chiave anche dell’omicidio di quest’ultimo, avvenuto nello stesso anno di Ciferri.
Dunque, come si ricava dalle numerose testimonianze rese alla Commissione di inchiesta da vari membri delle forze militari, l’iscrizione alla P2 era funzionale se non addirittura essenziale per ottenere eventuali avanzamenti di carriera. Tra queste testimonianze, appare illuminante ad esempio quella del generale Dalla Chiesa (25). Tali infiltrazioni della P2 negli ambienti della polizia e dei carabinieri di Arezzo, così come nella magistratura, permisero al “venerabile” di agire indisturbato per diversi anni. Membri della P2 erano presenti del resto anche al Viminale e sedevano tra le forze dell’ordine al tavolo del Comitato di coordinamento che aveva il compito di monitorare la delicatissima vicenda del sequestro di Aldo Moro: i generali Giudice, Torrisi, Santovito, Grassini, Lo Prete, il colonnello Siracusano.
La loggia non era infiltrata solo nelle forze armate e negli ambienti militari, ma anche nel settore della pubblica amministrazione per un totale di quattrocentoventidue iscritti: Ministero dell’interno; Ministero degli affari esteri; Ministero dei lavori pubblici; Ministero della pubblica istruzione; Ministero delle partecipazioni statali; Ministero del tesoro; Ministero della sanità; Ministero dell’industria e del commercio; Ministero delle finanze; Ministero di grazia e giustizia sono questi i dicasteri in cui risulta un numero di affiliati maggiore. Ma vari iscritti si contano anche all’INPS, alla Corte dei conti, all’Avvocatura generale dello Stato, al Consiglio di Stato e persino alla presidenza della Repubblica.
La cosa certamente più inquietante non è di per sé soltanto la presenza nei gangli vitali della vita democratica del Paese di affiliati alla loggia, quanto piuttosto i ruoli da questi svolti all’interno di quelle stesse istituzioni: il direttore generale del Tesoro o il segretario generale della Farnesina, solo per fare qualche esempio. Secondo la Commissione di inchiesta, è proprio in questa necessità di istituire e mantenere una rete di controllo permanente nel cuore pulsante della democrazia che va ricercato il senso primo del Piano di rinascita democratica all’interno del quale, non a caso, si delinea la necessità di reinserire i segretari generali all’interno dei ministeri al fine di ovviare alla transitorietà dei titolari dei vari dicasteri.
La loggia, vicina ad ambienti eversivi di estrema destra fino agli inizi degli anni ’70, subirà poi un importante mutamento a partire dalla seconda metà di quel decennio, quando inizierà a dedicarsi al mondo della finanza (si veda il caso Calvi) e dell’editoria (Corriere della sera). Questo mutamento è ben testimoniato, del resto, dal consistente numero di affiliati iscritti alla P2 e dotati di incarichi delicati non solo presso il ministero del Tesoro, ma anche nelle principali banche (in particolare la Banca d’Italia, la Banca nazionale del lavoro, la Monte dei Paschi di Siena, la Banca Toscana, il Banco di Roma e quello ambrosiano) e negli ambienti finanziari. Particolare rilievo assume il controllo della stampa e dell’editoria da parte della loggia non solo in Italia, bensì anche in America Latina. Dove Gelli, con l’aiuto di Calvi e l’intervento di Ortolani, nel 1977 acquisiva dal gruppo editoriale Abril (26) una catena di giornali (27).
La vicenda è peculiare e merita un approfondimento, in quanto in quello stesso periodo si consumava, in un’Argentina fresca di golpe militare, l’appropriazione indebita della società Papel Prensa SA ai danni della famiglia Graiver con la complicità dei quotidiani Clarín, La Razón e La Nación. Lo scopo dell’operazione era quello di controllare in modo capillare l’informazione del Paese nella fase più dura della repressione messa in atto dai militari.
Concludendo, si può affermare che Gelli fu il centro attorno a cui tutto ruotava, ma certamente non il vertice di un’unica piramide. In tal senso, la relazione della Commissione fa esplicito riferimento all’esistenza di una “doppia piramide” all’interno della quale Gelli sarebbe stato sì la punta, ma di quella collocata in basso. A un livello immediatamente superiore, si collocava un’altra piramide; da chi fosse effettivamente occupata resta, ancora oggi, poco chiaro.
Chi copriva e ispirava l’azione della P2? Vi erano indubbiamente legami con i servizi segreti internazionali i quali, in concorso con quelli italiani, hanno per anni «sviato o inquinato ogni accertamento sulle iniziative della P2 […] per operare in modo intrecciato al servizio di un gruppo di potere» (28). Dunque al SISMI, prima Miceli, poi Casardi e successivamente Santovito (affiancato al colonnello Musumeci) hanno coperto, quando non apertamente appoggiato, la loggia P2.
Nella relazione di minoranza del senatore liberale Attilio Bastianini, si fa preciso riferimento alla nomina a capo del Sisde del generale Grassini, iscritto alla P2. La designazione di quest’ultimo evitò che quello stesso incarico andasse al Santillo, il quale non solo non risultava iscritto alla loggia ma era un personaggio ad essa inviso. Santillo infatti aveva prodotto un fascicolo informativo su Gelli e la P2. La nomina di Grassini, come tante altre, fu effettuata durante la presidenza del consiglio di Giulio Andreotti; così come le assegnazioni ai vertici della Guardia di Finanza (il generale Giudice dal 1984 al 1978, solo per fare un esempio) ebbero luogo sotto la presidenza di Rumor o di Cossiga.
Per tale ragione, secondo il senatore liberale vi erano delle responsabilità politiche che la relazione di maggioranza della Commissione non volle o non poté vedere. Secondo Altero Matteoli, all’epoca deputato del MSI-DN, quella piramide di livello superiore, sotto la quale si trovava la seconda piramide presieduta da Licio Gelli, andava riempita con nomi eccellenti: in primo luogo Andreotti e poi la sua rete di protezione (29).
In un quadro tale, risulta ovvio che Licio Gelli non sarebbe mai riuscito da solo a muovere le fila del suo progetto eversivo. Altrettanto ingenuo sarebbe pensare che la politica nazionale (o almeno una consistente parte di essa) abbia potuto svolgere, da sola, un ruolo così determinante. Non è un mistero, infatti, che i servizi segreti americani abbiano avuto una grossa responsabilità in una serie di eventi chiave nella storia martoriata della nostra democrazia.
Lo dimostrano, ad esempio, la vicenda di Renzo Rocca, ex colonnello del SIFAR trovato morto nel suo ufficio a Roma il quale, secondo le indagini, era in possesso di documenti scottanti inerenti le attività di Gladio nel nostro Paese o, ancora, il golpe Rosa dei Venti (un’organizzazione neofascista di militari e di uomini dei servizi segreti) che era stata appoggiata dagli USA per arginare il “pericolo” di una partecipazione comunista al governo dell’Italia (30).
Gli USA, del resto, avevano appoggiato anche il golpe bianco di Edgardo Sogno in combutta con la loggia P2 di Licio Gelli.
Per approfondire i risvolti delle infiltrazioni della loggia P2 nelle forze armate, si consiglia la lettura del libro di Alberto Di Pisa, Morti opportune, Palermo University Press, 2020. Sarà possibile farsi un’idea ancora più chiara di alcune vicende citate in questo articolo: il caso Rocca; il caso Ciferri e il fascicolo Mi.Fo.Biali; la morte del generale Florio e del tenente Rossi; il maresciallo Dettori e la strage di Ustica.
Note:
1 Norberto Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, in “Rivista italiana di scienza politica”, n. 2, 1980.
2 A. Di Pisa, Morti opportune, New digital frontiers, 2020.
3 T. Anselmi, Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla loggia Massonica P2, Documento XXIII n. 2-ter -IX Legislatura, p. 3.
4 «Chi infatti guardi al contenuto dottrinale proprio di questa forma associativa, il suo conclamato richiamarsi al trinomio di princìpi Libertà-Fratellanza-Uguaglianza (art. 2 delle Costituzioni massoniche), non può non constatare come questo sia verbo al quale mal si appongono forme di culto riservato e quanto piuttosto chieda di essere con orgoglio portato nella società degli uomini, nella quale è messaggio che non può porsi che come fonte di benefiche influenze. È avviso di questa Commissione parlamentare che una terza soluzione non sia data tra i due corni di questo dilemma: o infatti questo, o altro lecito, è il cemento morale della comunione ed allora non v’ha luogo a riservatezza alcuna nel godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione repubblicana a tutti i cittadini; o piuttosto la ragione d’essere dell’associazione è di diversa natura e va allora revocata in dubbio la sua legittimità in questo ordinamento. Passando, poi, dal piano generale della logica corrente a quello più specifico della logica giuridica, e con riferimento alla normativa sulle associazioni segrete, il dilemma deve porsi in questi diversi termini: o la comunione esclude ogni possibile interferenza con la vita pubblica dalla sua sfera di interessi (come dovrebbe essere in base alle regole originarie), ed allora indulga quanto crede al rito esoterico del segreto, o vuol piuttosto partecipare in toto al divenire della nostra società. Se è vera la seconda alternativa sarà giocoforza che essa rinunci alle coperture, alle iniziazioni sul filo della spada, alle posizioni «all’orecchio». Riti tutti che hanno il fascino dei costumi misteriosi di tempi lontani, ma che l’esperienza ha purtroppo dimostrato essere fertile terreno di coltura per illeciti di tempi recenti», Relazione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla loggia Massonica P2, Roma 1984, IX Legislatura, p. 29.
5 Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla loggia Massonica P2, cit. p. 85 -86.
6 Ivi, p. 87.
7 O. Tognozzi, Licio Gelli: i giorni della “Linea Gotica”, Edizioni A. Car, Lainate (Milano) 2008.
8 Di diverso tenore, invece, e volte a una fedele e onesta ricostruzione del personaggio Gelli sono i volumi: S. Bonsanti, Da Gelli al caso Moro, da Gladio alle stragi di mafia. Il Gioco Grande del Potere, Chiarelettere, Milano 2013; S. Neri, Licio Gelli. Parola di “venerabile”, Aliberti, 2010.
9 M. Francini, Il periodo pistoiese di Licio Gelli, in Quaderni di Fare Storia, Anno XI – N. 1 Gennaio-Aprile 2009.
10 Piazzesi, La caverna dei sette ladri, Baldini&Castoldi, Milano 1996
11 «Un mattino di fine marzo 1944 il sottoscritto [Pasquale Lamberti] veniva arrestato in una azione di rastrellamento […]. Fui per alcuni giorni trattenuto nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri di Sant’Andrea. Qui, dopo aver subito il primo interrogatorio nella casa del fascio di Pontenuovo, ad opera dell’allora federale di Pistoia, resistetti alle impudenti lusinghe del tenente delle ss italiane Gelli, dopo aver conosciuto a mie spese come pesassero le mani vigliacche di un capitano delle stesse famigerate ss italiane M. L. da Firenze che condusse con altri sgherri l’interrogatorio del sottoscritto tra sputi e calci», Relazione ufficiale della formazione partigiana “La Feliciana”, redatta dal comandante Pasquale Lamberti, Archivio dell’Istituto storico della Resistenza e della Società Contemporanea della provincia di Pistoia in M. Francini, Il periodo pistoiese di Licio Gelli, cit.
12 S. Neri, cit.
13 «Ultima connotazione di ordine generale […] è l’aspetto internazionale della massoneria, che si pone come un contesto di organizzazioni nazionali fortemente legate tra loro secondo due schieramenti, che, per quanto concerne l’Europa, possono identificarsi in una parte a primazia britannica verso la quale è orientata la comunione di Palazzo Giustiniani (prima grande famiglia della Massoneria italiana, chiamata Il Grande Oriente d’Italia, ndr), ed una parte di orientamento cosiddetto latino egemonizzata dalla massoneria francese, alla quale si ispira la famiglia di Piazza del Gesù (seconda grande famiglia della Massoneria italiana nata dalla scissione, avvenuta nel 1908, dal Grande Oriente d’Italia, ndr). In un più ampio contesto argomentativo si può dire che la massoneria vive sotto l’egida del mondo anglosassone, nell’ambito del quale il primato attribuito agli inglesi per motivi di tradizione è confrontato dalla grande potenza organizzativa della massoneria nord-americana», Relazione finale della Commissione d’Inchiesta sulla loggia Massonica P2, cit., pp. 10-11.
14 A. Di Pisa, cit.
15 Cfr. Deposizione di Paolo Leandri a Libero Mancuso, 11 marzo 1985 in G. De Lutis, La Strage. L’atto d’accusa dei giudici di Bologna, Editori Riuniti, Roma 1986, p. 331.
16 Sentenza Assolutoria di Assise 20.7.1983-19.3.1984 in Relazione della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla loggia…, cit., pp. 94-95.
17 Ibidem
18 «Risalgo alla strage di Piazza Fontana, anche a costo di apparire ormai attardato in un episodio remoto (ma più che remoto, rimosso), se pure riemergente, perché la degenerazione del nostro sistema democratico è cominciata di lì, cioè dal momento in cui un arcanum nel senso più appropriato del termine, è entrato imprevisto e imprevedibile nella nostra vita collettiva, l’ha sconvolta, ed è stato seguito da altri episodi rimasti altrettanto oscuri», N. Bobbio, cit, p. 202.
19 Sui legami tra mafia e massoneria e sulla scoperta da parte di Falcone della loggia Camea a Palermo, cfr. F. Imposimato, Doppi servizi. I misteri dell’Addaura, Micromega, 10 giugno 2010; si veda anche la lettera di Falcone a Tina Anselmi scritta l’8 novembre 1982: «Con riferimento alla nota n. 850/c P2 del 15/10/1982, pervenuta il 21 ottobre successivo, pregiomi comunicare che, nel corso di indagini su organizzazioni mafiose siciliane, è emerso che alcuni personaggi, imputati di gravi reati ed appartenenti a cosche mafiose, avevano operato per il trasferimento di Michele Sindona da Atene a Palermo nell’Agosto del 1979; trattasi di Giacomo Vitale, nato a Palermo l’1/2/1941 e di Francesco Foderà, nato a Mazara del Vallo l’8/9/1943, entrambi in atto latitanti. Costoro fanno parte della nota loggia Camea (centro di attività massoniche esoteriche accettate), il cui capo è il dott. Gaetano Barresi, già arrestato su mandato di cattura dei G.I. di Milano, dott. (Giuliano) Turone e (Gherardo) Colombo ed attualmente in libertà provvisoria perché implicato nella nota vicenda del finto sequestro Sindona. Allo scrivente i suddetti G.I. di Milano hanno trasmesso copia degli elenchi, da essi sequestrati, concernenti gli appartenenti alla suddetta loggia massonica CAMEA. Circa i collegamenti tra la P2 e la vicenda Sindona, è stato già accertato che il Dott. Giuseppe Miceli Crimi, anch’egli massone ed uno dei personaggi maggiormente coinvolti in tale vicenda, ha avuto numerosi contatti con Licio Gelli, durante la permanenza a Palermo di Michele Sindona. In relazione a ciò, ho chiesto con commissione rogatoria internazionale che venisse sentito come teste il Gelli, detenuto in Svizzera, ma non ho ricevuto ancora alcuna risposta dalle competenti Autorità. Per quanto concerne, infine, collegamenti fra organizzazioni massoniche e Flavio Carboni, nulla mi risulta al riguardo, mentre sono in corso indagini istruttorie per accertare collegamenti tra il Carboni e organizzazioni mafiose siciliane […]», Commissione d’Inchiesta Parlamentare sulla loggia Massonica P2, vol. IV tomo II, pp. 465,466.
20 Relazione della Commissione d’Inchiesta sulla loggia Massonica P2, p.67.
21 Ivi p. 75
22 Su questo punto, l’onorevole Alessandro Ghinami, nella sua relazione di minoranza, fa notare che non c’è da stupirsi visto che: «la grande tradizione massonica esistente nel nostro esercito [annovera tra gli altri] Garibaldi, Diaz, Badoglio» e che dunque sorprende lo stupore mostrato da taluno dei Commissari di fronte a questa constatazione visto che «in passato abbastanza recente esistevano addirittura le logge azzurre della massoneria, formate interamente da militari», Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla loggia Massonica P2, Relazione di minoranza dell’onorevole Alessandro Ghinami, doc. XXIII, N. 2-bis (vol. 4) p. 12.
23 Informativa inviata alla Commissione dal SISMI e dal SISDE.
24 Palumbo è anche noto per aver gioito alla notizia dello stupro di Franca Rame, pervenuta in caserma la sera del 9 marzo 1973. La testimonianza sull’accaduto è stata rilasciata proprio da Nicolò Bozzo, che di lì a poco, sarebbe diventato uno stretto collaboratore del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: « “Era ora”, diceva. […] Era il più alto in grado: il comandante della “Pastrengo”, il generale Giovanni Battista Palumbo. […] Allora io vissi quella reazione di Palumbo solo come una manifestazione di cattivo gusto. Credevo che il generale fosse piacevolmente sorpreso della notizia, nulla di più. D’altronde Palumbo era un personaggio particolare, era stato nella Repubblica Sociale, poi era passato con i partigiani appena prima della Liberazione. Non faceva mistero delle sue idee di destra. E alla “Pastrengo”, sotto il suo comando, circolavano personaggi dell’estrema destra, erano di casa quelli della “maggioranza silenziosa” come l’avvocato Degli Occhi». Nel 1987, Angelo Izzo e Biagio Pitarresi – appartenenti ad ambienti neofascisti – rivelarono al giudice Salvini che l’ordine di “punire” la Rame attraverso lo stupro venne proprio dalla Divisione Pastrengo. Sulla vicenda, cfr. G. M. Bellu, I carabinieri ci dissero: stuprate Franca Rame”. E il giudice accusa cinque neofascisti, Repubblica, 10 febbraio 1998; L. Fazzo, E il generale gioì per lo stupro. “Avete violentato Franca Rame? Era ora…”, Repubblica, 11 febbraio 1998. Divisione Pastrengo. Sulla vicenda, cfr. G. M. Bellu, I carabinieri ci dissero: stuprate Franca Rame”. E il giudice accusa cinque neofascisti, Repubblica, 10 febbraio 1998; L. Fazzo, E il generale gioì per lo stupro. “Avete violentato Franca Rame? Era ora…”, Repubblica, 11 febbraio 1998.
25 «[…] Nell’autunno del 1976, mi si presentò inopinatamente in ufficio il generale di corpo d’armata ausiliare dei Carabinieri Picchiotti che, già vice comandante dell’Arma, era in congedo da circa un anno e che durante la mia triennale permanenza in Torino non avevo mai visto. Nel corso della visita ebbe ad accennarmi dapprima con qualche sfumatura e poi con più convinzione il suo avviso perché io aderissi alla massoneria e in particolare alla loggia P2 di Roma. Alle mie reazioni ed obiezioni […] egli oppose la presenza di personaggi di rilievo dei vari settori della politica e della Pubblica Amministrazione che mai avrei potuto presumere», Commissione Parlamentare d’Inchiesta contro la loggia p2, Allegati alla relazione, Doc. XXIII n. 2-quater/1/IV, pp. 142-143.
26 A tal proposito, è bene precisare che Editorial Abril è una casa editrice fondata nel 1941 a Buenos Aires da Cesare Civita. Durante gli anni della dittatura militare, precisamente nel 1977, Civita fu costretto a venderla ad Angelo Rizzoli. Quest’ultimo ottenne il danaro grazie all’intervento di Licio Gelli, Umberto Ortolani e all’ammiraglio Emilio Massera (iscritto anche lui alla P2). Editorial Abril fallirà nel 1982.
27 La loggia del resto, secondo la relazione della Commissione di Inchiesta: «ha acquisito il controllo del maggiore gruppo editoriale italiano mettendo in atto, nel settore di primaria importanza della stampa quotidiana, una operazione di concentrazione di testate non confrontabile ad altre analoghe situazioni pur riconducibili a preminenti centri di potere economico», Relazione della Commissione d’Inchiesta sulla loggia Massonica P2, p.153.
28 Ibidem.
29 «Occorre partire da un’altra osservazione, e cioè che la presenza di Giulio Andreotti sulla scena politica italiana da 40 anni, è divenuta, e sono i fatti a fornirci la testimonianza, fattore altamente inquinante. Non si chiedono per Giulio Andreotti “emarginazioni”, si chiede al Parlamento di trovare, per lui, una formula per il suo pensionamento», Commissione d’Inchiesta Parlamentare sulla loggia massonica P2. Relazione di minoranza dell’on. Altero Matteoli, p. 45.
30 «La limitazione del potere dei comunisti in Italia e Francia è un obiettivo prioritario: esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo […] Del piano “Demagnetize” i governi italiano e francese non devono essere a conoscenza, essendo evidente che esso può interferire con la loro rispettiva sovranità nazionale» R. Faenza, Il malaffare, Mondadori, 1978, p. 313.