Una moschea “persiana” in un complesso castello/khan nell’agro palermitano detto “farsumeli”
Una moschea “persiana” in un complesso castello/khan nell’agro palermitano detto “farsumeli”. Fondo Starrabba/Valenza-alta. Rapporto preliminare*
1 – Premessa. – Individuare, riconoscere e datare una struttura architettonica sconosciuta non è per niente semplice, soprattutto se non esiste una letteratura che ne supporti la conoscenza[1]. A Palermo le notizie che cronologicamente si allontanano dal periodo normanno diventano sempre più scarse, fino alla quasi totale assenza[2]. Tuttavia il manufatto che testimonia se stesso può restituire, ad una attenta osservazione, notizie illuminanti sul periodo della sua costruzione, consentendone la datazione. Si può dire che ogni manufatto abbia un padre e una madre, individuati ove possibile, nel fondatore che ne volle l’esistenza e nel periodo storico in cui il fondatore visse e operò. Il processo critico di “riconoscimento” su strutture escluse fino a quel momento dalla loro collocazione naturale necessita della osservazione di ogni dato o notizia, siano pure indiretti, che possano illuminarne i contorni.
2 – Un castello/khan rurale. La moschea. Seguendo le vie delle acque, si scoprono insediamenti di grande interesse: uno in particolare (collegato alla vicina sorgente dell’Ambleri)[3] è costituito da un quadrilatero entro i cui confini si configurano: un rettangolo con il lato lungo in direzione est-ovest in cui si evidenziano cinque estradossi di volte a botte (fig. 1.2), poggiate su strutture affondate nel terreno circostante; dalla parte opposta ma all’interno del quadrilatero nell’angolo nord-ovest un caseggiato abitato ancora oggi, di aspetto cinquecentesco, in cui una struttura emergente dal corpo centrale suggerirebbe la presenza di una precedente torre; una stecca rettangolare ma con il lato lungo orientato in direzione nord-sud, adibita oggi come in antico a magazzini, collega il rettangolo con le strutture voltate al corpo della zona abitata, più propriamente denominata palazzo. Ad ognuno degli spigoli del muro a sud è collocata una torretta quadrata di circa 5,70 m di lato, per l’omogeneità costruttiva sembra coeva al resto delle fabbriche a cui si allinea in altezza. Solo l’elemento a sud-ovest ha un filo di tetto inclinato verso l’esterno. Accanto al volume della presunta torre un terzo torrino sembra allinearsi con quello a sud-ovest, ma allo stato attuale è difficilmente riconoscibile a causa degli intonaci e dei volumi aggiunti: è molto simile dal punto di vista planimetrico agli esempi a cui si farà riferimento più avanti, i cui torrini sono però circolari (si veda il ribat di Sousse in Tunisia (fig.7.2), cfr. LEZINE 1956). La tipologia del castello rurale fortificato del probabile primo periodo islamico in Sicilia trova finora due esempi: uno a Mazzallaccar presso Sambuca di Sicilia (SCHMIDT 1972) e uno in Donnafugata-Ragusa (ANSELMI 2002, pp. 17-28), entrambi delle stesse dimensioni del nostro sia pure con piccoli scostamenti. Un esame ravvicinato conferma un enorme interesse documentario. Il caseggiato è stato apparentemente trasformato nel corso dei secoli da vari interventi, il nucleo principale si presenta come palinsesto di successivi ripensamenti architettonici, a partire da una databile facies del XV secolo. L’insediamento nel suo complesso può considerarsi come “castello rurale” e vedremo perché (v. infra) e quindi essere valutato nei suoi elementi attuali, con le diverse possibili attribuzioni cronologiche. In particolare a sud del quadrato si evidenziano le cinque “navate” coperte da volte a botte, di cui quella centrale più alta, più larga e più lunga delle altre, tutte non absidate ma con terminazione piatta, rigorosamente orientate in asse nord-sud (con una deviazione di circa 4°-5°, che sono la deriva della parallasse terrestre rispetto al periodo di presumibile costruzione, IX secolo d.C.). Il controllo dell’orientamento [4] e la tipologia architettonica indurrebbero a supporre una specifica funzione religiosa, riferibile a una moschea. Altri fondamentali indizi (la presenza di abbondante acqua, la posizione topografica lungo una antica via di comunicazione tra le pianure e le montagne vicine, la possibile esistenza di una torre di difesa/avvistamento/minareto) certificano la vetustà di quel particolare complesso inserito in una doppia forbice cronologica: una che si apre a partire dal IX secolo (dall’831, conquista musulmana di Palermo) alla data della frana del 934 (in BAS I, 1880, pp. 284-285) e una che dal XV secolo si conclude con una successiva frana dovuta alla grande alluvione del 1557 (a cui fanno seguito altre dovute ai reiterati dissesti idrogeologici che hanno funestato Palermo con frequenza quasi secolare). La connotazione può quindi essere quella di una moschea annessa a un caravanserraglio (khan), iscritta in un recinto le cui dimensioni sono quelle tipiche di un castello rurale (47,20 × 51,40 m, circa 80 × 100 cubiti ). Ha la sua ragione d’essere per il riposo e riparo di persone, animali e merci, a una giornata di cammino da e per la città, su una trazzera[5] di collegamento di questa (Palermo) con i centri dietro le montagne a est sud-est.
* Ringrazio sentitamente: il signor Pietro (detto Giuseppe) Trapani che mi ha cortesemente consentito l’accesso ai locali di sua proprietà; la signora Alba Di Vita, che con generosa cortesia mi ha permesso di vedere il suo giardino e il palazzo; la prof. Lavinia Sole che mi ha fornito un suo studio in corso di stampa sulle zecche autonome d’Occidente prima di Cartagine.
[1] Le sole notizie precedenti queste note appaiono in una rapidissima segnalazione di CHIRCO, 2006 pp. 58-59 che lo classifica come «antico baglio rurale del XV sec, appartenuto nel XVIII sec. a Biagio Marassi principe di Pietratagliata, concesso nel 1799 a Felice Valenza» da cui la denominazione attuale.
[2] Ancora non si è certi del nome antico della città. Vedi: DIODORO SICULO, Palermo 1997, libro XXII, 10. IMHOOF BLUMER 1886, pp. 249-251, 262-265. JENKINS 1971, e anni successivi. CUTRONI TUSA 1982; CUTRONI TUSA, 1990-1991; CUTRONI TUSA, 1999; SOLE, in corso di stampa 2017, pp. 3 e seguenti, con nutrita bibliografia specialistica, offre una dotta visione panoramica delle varie correnti di pensiero che hanno appassionato gli specialisti sulla misteriosa iscrizione con lettere puniche SYS, da un lato, spesso con l’iscrizione PANORMOS dall’altro lato, come si rilevano su molte emissioni monetali del V e IV secolo a.C. Non si è neanche sicuri del nome e dei confini di monti, valli e fiumi della Sicilia e di Palermo preislamica. Anche su parti antiche come le fortificazioni pre-normanne non vi sono certezze, spesso vi è confusione: si tratta di un capitolo ancora totalmente aperto.
[3] Cfr. BAS I, 1880, pp. 21-23. FALCANDO 1550 in BRESC 1972, pp. 12-13 e nota a p. 56 riferita alla carta del territorio redatta da FILANGERI 1971.
[4] Cfr. TERRASSE 1935, pp. 109, 110; SCERRATO 1974, p. 45; BAUSANI, 1977, V libro, 2° cap.; CRESWELL 1966, pp. 14-15, p. 298, fig. 55, Bou-Fatata, qibla.
[5] Tipico insediamento fortificato su strada interna di comunicazione, si veda BAS I [Ibn Hawqal], pp. 18-19, ma soprattutto MONNERET DE VILLARD, 1966, p. 160, che ipotizza la derivazione abbreviativa del temine persiano-pahlevi di khanèh, casa, dimora. Nel caso specifico palermitano un khan (caravanserraglio) in cui si evidenzia un corpo quadrato con un volume quadrato centrale, che potrebbe inglobare un antico minareto, fuori asse rispetto alla navata centrale. Si vedano anche SANTAGATI 2006 pp. 9-14 e nota 4, e DUFOUR 2006: Regie Trazzere; elenco delle regie trazzere, presso l’Ufficio Tecnico Speciale apposito a Palermo.
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