Il banchetto alla corte dei Chiaromonte tra rappresentazione pittorica e realtà
Dai dipinti delle travi, il racconto della vita quotidiana attraverso uno dei suoi aspetti fondamentali
La visita alla mostra dedicata alla ricostruzione della vita alla corte dei Chiaromonte necessita di approfondimenti e di momenti di riflessione per coglierne le più nascoste implicazioni legate alla rappresentazione che i pittori fanno della quotidianità.
È infatti cruciale chiedersi a quali modelli gli artisti del tempo si siano ispirati per realizzare le pitture che decorano il soffitto. Da un lato ci sono le scelte delle storie da rappresentare, con i loro significati simbolici ed esoterici che, certamente, rispondono a delle precise indicazioni provenienti dal contesto culturale, che supporta ideologicamente e politicamente la corte chiaromontana; dall’altro, la rappresentazione degli oggetti e del quotidiano, trasposti nelle pitture: vestiti, armature, arredamenti, architetture, stoviglie, scacchiere, oggetti in vetro.
Una prima riflessione riguarda il tema del cibo: il banchetto diventa infatti oggetto di rappresentazione nei diversi cicli come momento centrale in alcuni episodi. La ricognizione delle diverse travi hanno permesso a chi scrive di individuare almeno quattro raffigurazioni che hanno come punto focale una tavola imbandita. In particolare:
- (Trave I B) Merenda nel bosco: Tristano e Isotta sono seduti tra gli alberi, su una roccia è distesa una tovaglia sulla quale sono posati coltelli, un bicchiere di vetro e una brocca;
- (Trave IV B) Il re Oeta siede a tavola con Medea e Giasone, altri convitati e un servitore;
- (Trave VIII A) Banchetto per le nozze tra Peleo e Teti. A capotavola la dea Discordia che lancia sul tavolo il pomo sotto lo sguardo attento delle tre dee, Venere, Giunone e Minerva;
- (Trave XI A) Altra scena di banchetto in cui è raccontata la storia della nascita di Alessandro Magno, nella quale il re d’Egitto Nectanebo appare sotto forma di drago per convincere Filippo dell’innocenza di Olimpia.
In questo viaggio a ritroso nel tempo, occorre soffermarsi davanti alla tavoletta dedicata al banchetto (Maestro del giudizio di Salomone, storia dei Giasone e Medea: Medea seduce Giasone al banchetto di re Oeta) per cercare di rivivere l’atmosfera di un pranzo nel momento di maggior splendore della quotidianità della corte chiaromontana.
Il primo punto da sottolineare è la presenza sul tavolo soltanto di coltelli: mancano ovviamente le forchette, che saranno introdotte molto più tardi: il cibo si porta alla bocca con le mani. Inoltre, sono stati rappresentati sulla tavola, coperta da una tovaglia bianca, stoviglie in terracotta e bicchieri di vetro. Anche il coppiere che mesce il vino ha una bottiglia di vetro e una brocca in terracotta.
La lettura della tavoletta è agevolata dal fatto che i curatori della mostra hanno realizzato una ricostruzione del tavolo del banchetto con stoviglie coeve ritrovate nello scavo degli scarichi dei rifiuti utilizzati nella quotidianità dai servitori del palazzo. Da sottolineare la presenza di bicchieri di vetro, identici a quelli rappresentati dal pittore, indicatori della raffinatezza della corte, ci cui stoviglie, scodelle e altri piatti, riportavano sul fondo lo stemma.
La presenza di bicchieri e di bottiglie di vetro pone il problema di individuare i canali di rifornimento di questi veri e propri suppellettili di lusso evidenziate nelle pitture. Un documento del 1345 testimonia che oggetti di vetro si producevano e si vendevano nelle botteghe a Palermo. Giovanni de Landino costituisce una società con maestro Passananti de Ser Arrigo di San Miniato e maestro Giacomo de Chiumello di Firenze “gottari” “in faciendo mazacocto pro vitro e de dicto mazacocto faciendo et laborando vasa vitrea ipsoque vendendo”. Il capitale della società è di cento fiorini e i due maestri fiorentini devono realizzare “fornacem unam pro faciendo dictis vasibus vetreis”.
Se un mercante palermitano decide di investire nell’impresa un capitale rilevante e di far venire da Firenze due tecnici specializzati nella lavorazione del vetro significa che esisteva una richiesta di mercato per questi prodotti.
Quindi, non solo i Chiaromonte ma anche gli altri nobili palermitani apparecchiavano le loro tavole con questi “vasa” vitrei. Il pittore che ha lavorato sul soffitto dello Steri, infine, non ha rappresentato sulle tavole imbandite il cibo che i convitati stavano mangiando tranne che il pane e qualche radice; mancano, inoltre, i cucchiai.
Per sapere cosa mangiassero bisogna leggere il recente lavoro di Henri Bresc dedicato alla cucina medievale siciliana pubblicato dalla Palermo University Press, che riserva numerose sorprese.
Una rapida occhiata al filmato che pubblichiamo sul nostro settimanale on line L’identità di Clio dà, inoltre, la testimonianza di come un bravo chef riesca a reinterpretare la cucina della corte chiaromontana, coinvolgendo anche il gusto nella visita della mostra dedicata a questa nobile famiglia.