Museo Salnitriano: la “forma visibile” settecentesca
La proposta, che mi è stata offerta dal Prof. Ninni Giuffrida qualche settimana fa, di collaborare alla stesura di articoli, che avessero come oggetto argomenti, notizie, spunti di riflessione, idee legate ai miei interessi e agli studi di museologia storica, di antiquaria e di collezionismo è stata subito accolta con entusiasmo. Riflettendo su come poter articolare, nel modo più conveniente alla rivista, un lavoro che avrebbe dovuto coprire un certo arco temporale, ho pensato di trarre spunto da un tema a me molto caro: il Museo Salnitriano.
Perché questa scelta? Da quando ho studiato, ricostruito e pubblicato più di quindici anni fa il museo, ho sempre avuto chiaro quanto fosse importante, che un’istituzione cittadina come il Salnitriano, di fatto dimenticata per più di un secolo, dovesse essere conosciuta non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra i palermitani, che arrivasse quanto più possibile tra la gente comune, in modo da formare una cultura collettiva consapevole di certe dinamiche socio-politico-culturali cittadine tra il ‘700 e l’800. Favorire un’ampia divulgazione di un tale fenomeno culturale, a mio avviso, illuminerebbe alcuni aspetti del passato ormai dimenticati, che potrebbero fornire migliori chiavi di lettura del nostro presente.
Il Museo Salnitriano è il più antico museo di Palermo, costituito nel 1730 dai gesuiti presso il Collegio Massimo, l’attuale Biblioteca Centrale della Regione Siciliana (Figg. 1-2), dal quale si sono sviluppate ed hanno tratto spunto tutte le successive istituzioni museali della città. Gran parte degli attuali musei del capoluogo siciliano hanno al loro interno molti oggetti provenienti dal museo gesuitico, che aveva un’organizzazione e una concezione museale di una modernità straordinaria.
Il Museo Archeologico Regionale “Antonino Salinas”, la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, il Museo di Paleontologia e Geologia “Gaetano Giorgio Gemmellaro”, il Museo Etnografico Siciliano “Giuseppe Pitrè”, la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace”, il Museo universitario di Zoologia “Pietro Doderlein” e la collezione di arte araba della Zisa hanno tutti al loro interno una quantità di oggetti provenienti dal Museo Salnitriano.
Proprio a causa di ciò si è pensato di estrapolare dalle molteplici ed articolate vicende del museo, che si intrecciano in vario modo con la storia del capoluogo siciliano, alcuni nuclei tematici, che meglio facciano comprendere il peso specifico dell’istituzione museale.
Il museo e il suo sviluppo espositivo
La mancanza di qualsiasi documento (illustrazioni, incisioni, stampe) che illustri visivamente l’organizzazione e la disposizione del Museo Salnitriano, così come accade per molte altre collezioni storiche italiane e straniere quali il museo di Athanasius Kircher (1) a Roma, di Francesco Calzolari (2) a Verona (Fig. 3), di Ferrante Imperato (3) a Napoli (Fig. 4), di Basilius Besler a Norimberga (Fig. 5), di Ole Worm a Copenhagen (Fig. 6), di Manfredo Settala (4) a Milano (Fig. 7), di Ferdinando Cospi (5) a Bologna (Fig. 8), etc., non permette di avere un’idea perfettamente chiara ed esauriente della disposizione e struttura del museo di Palermo. Una tale deficienza delle fonti in nostro possesso, però, fortunatamente può essere ovviata grazie alla scoperta di alcuni documenti, per lo più inediti, custoditi presso alcuni archivi della penisola italiana (6), che descrivono in modo abbastanza completo il Museo Salnitriano sin dai suoi primi anni di vita.
Dall’analisi di tutto il materiale documentario venuto in nostro possesso è possibile distinguere fondamentalmente tre grosse fasi espositivo-organizzative del museo: un primo periodo che chiameremo convenzionalmente il momento settecentesco che prende il via dalla sua creazione sino all’espulsione dei gesuiti dalla Sicilia (1730-1767) e che corrisponde al periodo di maggiore splendore del Salnitriano; una fase di inevitabile declino e sbandamento, causata da una serie di vicende politiche, sociali e culturali, che va dall’allontanamento dell’ordine religioso sino alla riorganizzazione del museo da parte della stessa Compagnia di Gesù (1767-1844); ed, infine, un momento, seppur breve, di ripresa e di ricostituzione del Salnitriano, espressione di una concezione prettamente ottocentesca molto distante dall’originaria visione settecentesca, che va dalla gestione dei due padri gesuiti Saverio Pirrone e Giuseppe Romano sino al trasferimento di tutto il materiale presso il Museo dell’Università (1844-1861). In tutti e tre i periodi la collocazione topografica, la sistemazione e la disposizione del museo variano in relazione al diverso modo di “vedere” l’intera raccolta. In tal modo si è cercato di rappresentare per linee generali e sotto un’altra angolazione “la forma visibile del museo”.
Dei tre momenti espositivo-organizzativi, in realtà, soltanto di due di essi si può conoscere approssimativamente l’organizzazione, la disposizione e l’ubicazione topografica all’interno del Collegio Massimo: della prima fase settecentesca; dell’ultimo momento di ripresa e ricostituzione ottocentesca.
La fase settecentesca (1730-1767).
Il Museo Salnitriano viene istituito a Palermo dal padre gesuita Ignazio Salnitro. Osservando ancora oggi la pianta topografica del centro storico del capoluogo cittadino, l’intera costruzione dell’ex Collegio Massimo dei Gesuiti si presenta come la struttura più grande esistente (Figg. 9-10). Manifestazione evidente della grandezza e prosperità della Compagnia di Gesù. Il complesso monumentale, infatti, ancora oggi occupa quasi un intero isolato e comprende l’attuale Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, il Convitto Nazionale di Stato “Giovanni Falcone”, parte del Liceo Classico Statale “Vittorio Emanuele II”.
Immaginando di essere uno dei tanti viaggiatori stranieri che nel corso del Settecento giungono in Sicilia ed a Palermo, seguendo l’itinerario del Grand Tour, attratti dalla civiltà classica e dalle bellezze naturali dell’Isola, percorrendo il Cassaro nei pressi della Cattedrale, arriviamo davanti all’ingresso del collegio gesuitico.
Entrando all’interno del primo cortile, di fronte al primo piano troviamo l’accesso al museo. Sulla fronte esterna del portale d’ingresso leggiamo un’iscrizione probabilmente in lingua greca (τεχνη-ϕυσις-ταμειον) “Techno-physio-tameum“, che tradurrei “Tesoro di Arte e Natura” (Fig. 11).
Una volta oltrepassata la soglia all’interno del museo notiamo un’altra iscrizione (forse latina) “Physicae, ac Philologiae incremento anno 1730”, che interpreterei: [costruito] nell’anno 1730 ad incremento delle scienze naturali (Physica) e delle scienze letterarie (Philologia): l’iscrizione è il “manifesto programmatico” culturale del museo gesuitico e forse dell’intero Collegio Massimo di Palermo. L’intera ala occidentale del primo piano (attualmente utilizzata dal Liceo Classico Statale “Vittorio Emanuele II”) è occupata dal museo, che è composto da un lungo corridoio, separato al centro da un bellissimo peristilio. L’ambiente è ornato da colonne riccamente decorate (forse poste agli angoli) e da quattro statue che personificano la Natura, l’Arte, l’Antichità e la Rarità, delle quali purtroppo si è perduta attualmente ogni traccia. Ad ognuna di esse corrisponde un’iscrizione latina. Le quattro iscrizioni formano un bel distico: “E triplici Regno – Ingenio ditissima ab uno – dant Anni pretium – dant Peregrina decus”, la cui interpretazione potrebbe essere: dal Triplice Regno (Natura); cose preziosissime da un singolo Ingegno (Arte); gli Anni conferiscono valore (Antichità); le Cose Esotiche attribuiscono ornamento (Rarità).
Le notizie sopra riportate sono state desunte da un documento del 1741/1742, redatto in latino e custodito presso l’Archivio Generale della Compagnia di Gesù di Roma, nella sezione riguardante la provincia gesuitica siciliana (7).
Lo scritto, il primo, sino ad ora, a menzionare il museo, descrive in modo abbastanza puntuale l’originaria sistemazione del Salnitriano e documenta lo stato di fatto dell’istituzione museale (8). Degna di attenzione è la precisione dell’autore nel trascrivere con la lettera maiuscola l’iniziale di ogni parola, che semanticamente connota la statua/personificazione: Regnum (Natura), Ingenium (Arte), Annus (Antichità), Peregrinus (Rarità) (9).
Nel 1730, quindi, Ignazio Salnitro costituisce o, quanto meno, comincia ad organizzare il Museo Salnitriano, dal momento che muore nel 1738. Un nuovo curatore viene nominato nella figura di padre Melchiorre Spitaleri, docente di Matematica (“Matheseos“) presso il collegio, al quale è forse da attribuire la prima vera “musealizzazione” dell’Istituto e il documento del 1741/1742.
Sempre secondo la stessa fonte proprio in quegli anni il museo è dotato di sedici armadi finemente lavorati (“scrinia affabre elaborata“), che potrebbero essere stati realizzati in raffinato stile tardo barocco o rococò, così come era la moda dell’epoca in molti musei d’Europa.
Per avere un’idea, ovviamente limitata, con le dovute proporzioni e differenti finalità, di come potesse essere l’arredamento del museo settecentesco di Palermo si potrebbero confrontare i mobili, gli arredi e le decorazioni dell’attuale Volta Verde (Grünes Gewölbe) di Dresda, una Kunstkammer o Stanza dell’arte, allestita nel castello residenziale (Residenzschloss), fondata proprio in quegli anni (1723) dal principe elettore di Sassonia Augusto il Forte (1670-1733) e proseguita dal figlio Augusto III (1696-1763).
I sedici armadi sono così distribuiti: dieci collocati sul lato lungo del corridoio, mentre i restanti sei tra le colonne del peristilio, che divide in due il corridoio (10). Il contenuto degli armadi è suddiviso in varie classi di oggetti: monete/medaglie/gioielli vari, forse riuniti in uno o più armadi/medaglieri, dal momento che non viene specificato il loro numero; ceramica e bassorilievi di varie epoche; fossili; reperti artistico-archeologico; materiale proveniente dal regno vegetale, minerale ed animale; oggetti metallici ed in pietra.
Non viene precisata la disposizione degli oggetti, che vengono descritti tra l’altro in modo abbastanza vago, ma ovviamente il materiale più prezioso o più raffinato doveva trovarsi all’interno dei sei armadi, che occupano il peristilio centrale.
Melchiorre Spitaleri muore nel 1747 e viene sostituito alla guida del museo da padre Giuseppe Maria Gravina, che è il mittente di una lettera, datata 7 aprile 1752, inviata a Bologna al botanico Ferdinando Bassi, Custode dell’Orto Botanico dell’Università del capoluogo emiliano. La lettera, attualmente custodita presso l’archivio storico dell’Università di Bologna, è il secondo documento, che descrive in modo più preciso la disposizione del museo palermitano (11).
Il Prefetto del Salnitriano descrive in modo puntuale le iscrizioni poste sugli armadi del museo, che intanto da sedici sono divenuti quaranta, ognuno dei quali contiene oggetti dello stesso genere, suddivisi a loro volta in cinque o sei classi. Tra i “titoli” menzionati troviamo: “Indica – Graphica – Mathematica – Physica – Idola – Animalia Perfecta – Insecta – Monstra et Monstrosa – Lapides – Argille – Anatomica – Monumenta Religionis – Plante – Bibliotheca Musei – Libri Rariores – Arma – Res vestiaria – Testacea – Vasa – Fossilia“, etc. etc.. Gli armadi, infine, sono riccamente ornati da pitture, ritratti, casse cinesi, quadri, capricci di pittura e di penna in carta, statue, strumenti matematici, macchine e grandi vasi antichi figurati (Fig. 12).
Sempre da un’altra lettera inviata dal Gravina al Bassi il 16 giugno dello stesso anno si legge che il gesuita siciliano sente la necessità di collocare accanto ad ogni oggetto del museo delle tavolette di legno -veri e propri “cartellini”- su cui indicare non solo la suddivisione degli oggetti in categorie, ma anche una descrizione del reperto e la sua provenienza, imitando quanto viene fatto da “M[onsieur] de Biffon Intendente del Real Museo in Parigi” (il Louvre) (12).
Attraverso la lettura della prefazione all’opera di Gabriele Lancillotto Castelli, Principe di Torremuzza del 1762, osserviamo come l’organizzazione “topografica” del museo è stata in gran parte modificata. Non abbiamo alcuna indicazione relativa al numero degli armadi, né alla loro disposizione al suo interno, che permetterebbe di comprendere quantitativamente l’accrescimento materiale del museo, ma è certo che il Salnitriano, nel momento in cui scrive Torremuzza, è all’apice del suo splendore: “Occupa questo Museo due interi bracci dell’ultimo superiore ordine del Collegio” (13).
Il museo rispetto al decennio precedente, a quanto pare, ha quasi raddoppiato la sua estensione; mentre prima, infatti, i due corridoi divisi dal peristilio erano sicuramente contenuti in un solo braccio, adesso i bracci del Collegio Massimo occupati sono due. L’arricchimento quasi esponenziale del museo durante questi anni suscita chiaramente la meraviglia del Principe di Torremuzza per la gran quantità di materiale raccolto in così poco tempo dai gesuiti. Molteplici sono i motivi per cui l’istituzione si espande a vista d’occhio: lo scambio di numerosi oggetti di ogni genere con i vari eruditi e studiosi di Sicilia e d’Italia (Roma e Bologna per esempio); l’invio dalle missioni gesuitiche sparse in tutto il mondo, di oggetti esotici e rari (“Rarità dell’Indie, e della China“); ma, soprattutto, non è stata ancora compiuta la sua prima spoliazione che di lì a poco avverrà (1767) con l’abolizione della Compagnia di Gesù.
Note
1 G. De Sepi, Romani collegii Societatis Jesu musaeum celeberrimum, Amsterdam, 1678.
2 B. Ceruto – A. Chiocco, Museum Calceolarium, Verona, 1622.
3 F. Imperato, Dell’Historia Naturale Libri XXVIII, Napoli, 1599.
4 V. De Michele, L. Cagnolaro, A. Aimi, L. Laurencich, Il Museo di Manfredo Settala nella Milano del XVII secolo, Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Milano, 1983; A. Aimi, V. De Michele, A. Morandotti, Musaeum Septalianum. Una collezione scientifica nella Milano del Seicento, Firenze, 1984; M. Navoni, L’Ambrosiana e il museo Settala, in Storia dell’Ambrosiana. Il Settecento, Milano, 2000, pp. 205-255.
5 L. Legati, Museo Cospiano annesso a quello del famoso Vlisse Aldrovandi e donato alla sua patria dall’illustrissimosignor Ferdinando Cospipatrizio di Bologna e senatore cavaliere commendatore di S. Stefano, Balì d’Arezzo, e march. di Petriolo, fra’ gli Accademici Gelati il fedele, e principe al presente de’ medisimi. Descrizione di Lorenzo Legaticremonese, Bologna, 1677.
6 Archivio Generale della Compagnia di Gesù di Roma; Biblioteca dell’Università di Bologna; Archivio Storico del Museo Archeologico Regionale “A.Salinas” di Palermo.
7 Sicula Historia 1728-1768, Collegium Panormitanum, 1741/42, XXI, pp. 30-31.
8 Per la lettura dell’intero documento si veda R. Graditi, Il museo ritrovato. Il Salnitriano e le origini della museologia a Palermo, Palermo, 2003, p. 8.
9 R. Graditi, Il museo ritrovato. Il Salnitriano e le origini della museologia a Palermo, Palermo, pp. 10-11, 14.
10 R. Graditi, Il museo ritrovato. Il Salnitriano e le origini della museologia a Palermo, Palermo, p. 14.
11 Lettera di Giuseppe Maria Gravina a Ferdinando Bassi custodita presso la Biblioteca dell’Università di Bologna ai segni 296 (233), vol. III, cc. 253 r. – 254 v..
12 Lettera di Giuseppe Maria Gravina a Ferdinando Bassi custodita presso la Biblioteca dell’Università di Bologna ai segni 296 (233), vol. III, cc. 255 r. – 256 v…
13 G. L. Castelli, principe di Torremuzza, Le antiche Iscrizioni di Palermo raccolte, e spiegate sotto gli auspizi dell’eccellentissimo Senato Palermitano grande di Spagna di prima classe, Palermo, 1762, Prefaz. pp. XXIII-XXIV.