Musica concentrazionaria: memoria e testimonianza
Nata nei campi di prigionia, durante la seconda guerra mondiale, la musica concentrazionaria rappresenta la volontà di sopravvivere dei reclusi.
Musica concentrazionaria come musica della memoria
Stamattina, in occasione del Giorno della Memoria, sulla pagina Facebook di Arci Tavola Tonda verranno caricati alcuni brani di musica concentrazionaria. Un modo per fare conoscere quella che è una testimonianza in musica della Shoah. Componimenti tramandati, conservati o scritti tra il 1933 ed il 1945 all’interno dei campi di lavoro, internamento, concentramento e detenzione.
I brani saranno eseguiti da un gruppo di artisti tra cui Luisa Hoffmann, musicista e studiosa del fenomeno, specializzata nei componimenti tipici dell’Europa centrale e della Germania. E discendente da una famiglia che i campi di concentramento li ha vissuti sulla propria pelle.
La musica nei campi di detenzione italiani
Una realtà praticamente sconosciuta, forse volutamente ignorata per non danneggiare ulteriormente la figura di Mussolini, è quella dei campi di detenzione italiani. Luoghi prodotti dal contesto sociale, politico ed economico del periodo fascista, che gestiva il sistema concentrazionale italiano, attraverso il ministero dell’Interno, che delle strutture era proprietario. Circa quaranta campi, per lo più semisconosciuti, costruiti nel sud del Paese (principalmente da Napoli in giù), o incassati negli Appennini. Un sistema che, stando ai numeri, avrebbe ospitato dal 1940 più di diecimila internati (compresi molti ebrei italiani), funzionando in maniera coordinata con i campi di internamento civile, come quello pugliese di Alberobello.
La musica concentrazionaria oltre la Germania
Per quanto sia fortemente legata alle deportazioni avvenute in Europa durante il secondo conflitto mondiale, la musica concentrazionaria non riguarda solo il cuore del vecchio continente, ma ogni parte del mondo in cui qualcuno sia stato internato, deportato, incarcerato o confinato nel corso della seconda grande guerra. Dalla Germania al Giappone, dalle coste del Nord Africa alle prigioni Russe, per finire con l’Italia stessa e le sue strutture di detenzione.
https://www.youtube.com/watch?v=voZZorFpV9o
Il multilinguismo della musica concentrazionaria
Di musica concentrazionaria esistono vari esempi e brani in numerose lingue, questo perché migliaia di persone hanno usato la musica per darsi coraggio, per mantenere viva la scintilla della speranza nel corso della prigionia.
Nei campi, questa è diventa non solo un’espressione identitaria, ma anche un metodo per trasmette il sapere e le conoscenze di popoli e individui. Per dare in qualche modo un senso alle sofferenze patite, perpetrando tradizioni e valori tanto culturali quanto religiosi. Tutto questo grazie alla forza, all’energia e alla magia insiti nella musica.
Molteplicità di generi nella musica concentrazionaria
Molti spartiti e brani di musica concentrazionaria sono sopravvissuti perché nascosti con cura o tramandati oralmente, comprese opere realizzate prima delle leggi razziali che altrimenti sarebbero andate distrutte. Tali componimenti mescolano generi colti e popolari, unendo musiche tipiche regionali con l’opera, narrando spesso eventi semplici, legati per lo più alla vita quotidiana o alle storie d’amore dei protagonisti. Per Luisa Hoffmann, proprio in questa varietà risiede il fascino intrinseco di questi componimenti, la cui natura varia dalla ninna nanna alla musica classica.
La musica concentrazionaria come analisi sociologica
Fondamentale per comprendere pienamente il fenomeno della musica concentrazionaria è partire da un’idea di ricerca musicologica che metta a confronto i testi con la storia, ampliando in chiave sociologica il racconto dei brani stessi.
Questo perché, una volta incasellato nella griglia degli eventi storici sul contesto in cui è nato, ogni componimento allarga la propria narrazione aggiungendo ulteriori dettagli e informazioni. Come nel caso dei lavori di Mordechaj Gebirtig, famoso poeta yiddish ucciso nel ghetto di Cracovia, o di Brundibar opera commissionata dagli stessi tedeschi alle proprie vittime durante la prigionia nei campi di sterminio.