Nobili si nasce o si diventa? Alla ricerca delle origini
Posted On 9 Dicembre 2016
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“Nobili si nasce o si diventa? Alla ricerca delle origini” è il titolo provocatorio di una conferenza che si è tenuta presso l’Archivio di Stato di Palermo sul tema della feudalità. L’assemblea nazionale francese nella notte del 4 agosto 1798 decreta la fine della feudalità e di una classe i cui elementi distintivi sono la ricchezza, l’esercizio del potere, l’abilità nell’uso delle armi. Un blocco sociale non omogeneo nel quale “nobili si diventa e non si nasce”. Una scalata alla sospirata corona nobiliare ardua che ha le sue regole non scritte ma inesorabili: diventare ricco non basta è necessario conquistare onore e visibilità sociale. In Sicilia le dinamiche di ascesa si differenziano nei secoli. L’ascesa della famiglia Calvellis costituisce un modello esemplare di come si diventa nobili nella Palermo del trecento. Giovanni Calvellis in primo luogo consolida la sua ricchezza con l’acquisto di un rilevante patrimonio terriero. Infatti, come si ricava dal suo testamento del 1337, possiede i casali di Fitalia, Misilgarresi e Bramana oltre ai feudi di Barca, Canneto e Allegranza. Costruisce dei forti rapporti di alleanza con delle famiglie nobili grazie alle nozze dei suoi tre figli, due femmine e un maschio, con i Tagliavia, gli Sclafani e i Maletta; edifica un palazzo nobiliare nell’area dove insiste l’attuale via Montevergini, inglobando i ruderi del teatro romano che insisteva sul Cassaro; consacra all’interno dello “hosterio” una cappella dove celebrare ogni giorno una messa in ricordo dell’anima degli avi. I Calvellis hanno la necessità di un riconoscimento formale da parte della collettività che abbia anche un valore giuridico. Ben venga una causa con il monastero di San Martino delle Scale per citare numerosi testimoni con i quali certificare che Roberto Calvellis viveva velut nobili (come un nobile) in quanto possedeva cavalli, cani falchi addestrati alla caccia, scudieri et familias vivendo militaris (cioè disponendo di un esercito privato in grado di combattere). Ma non basta vivere come un nobile bisogna morire da nobile e, contestualmente, mandare un forte segnale a tutta la citta della sopravvivenza del casato alla morte del capo famiglia e “dell’incoronazione” del suo successore elaborando un complesso cerimoniale funerario grazie al quale i palermitani possano piangere Giovanni senior e gioire per Giovanni junior. Una cerimonia programmata nei minimi particolari: il tocco delle campane delle chiese palermitane comincia nel momento in cui il corpo mortale di Giovanni esce dalla porta del suo palazzo in via Montevergini posto sul tabuto (una sorta di portantina dove il defunto è posto e portato a spalla dai suoi familiari) per andare nella chiesa di San Francesco dove sarà sepolto nella cappella di famiglia; dietro tutti i chierici delle parrocchie palermitane sia di rito greco che latino vestiti con i paramenti sacri; segue il ciantro della Cappella Palatina con tutta la “schola cantorum” che deve “salmodiare” durante la processione; dietro ancora le monache dei principali monasteri femminili della città; dietro ancora i frati dei monasteri con in testa i francescani; poi i bambini e le bambine “proietti” (bambini abbandonate nelle ruote degli ospedali), le vergini orfani e infine i poveri della città. Cerimonia che si programma per l’imbrunire e che sarà resa più suggestiva dalla luce delle candele che tutti i partecipanti al corteo porteranno nelle mani (si compreranno due quintali di cera per fare le candele per tutti). Con l’arrivo dei Martini la nobiltà trecentesca antimonarchica è spazzata via dalla nuova nobiltà che si schiera con i sovrani spagnoli. Esemplare è il caso dei Bologna, famiglia di origine bolognese che emigra a Palermo nel ‘400 e che costruisce la nobiltà utilizzando non la milizia come nel caso dei Calvellis, bensì la conoscenza del diritto. Grazie al fatto di avere fatto studiare i figli alle Università di Padova e di Bologna, facendogli conseguire la laurea in utriusque iuris (diritto civile e canonico ), la famiglia entra nel ceto togato e assumere il controllo dei vertici dei più importanti uffici pubblici: diventano Tesorieri del Regno, Maestri portulani, Secreti di Palermo. I Bologna, tra il 1516 e il 1523, fanno scelte politiche vincenti: si schierano a favore della Corona in occasione della rivolta capeggiata da Squarcialupo e della congiura Imperatore, partecipando attivamente alla repressione e al ripristino del potere viceregio. Da quel momento la famiglia comincia ad acquistare feudi e titoli nobiliari. La baronia di Cefalà, appartenente al ribelle Federico Abatellis, dopo essere stata incamerata dalla Regia Curia è acquisita da Francesco Bologna, unico acquirente con l’avallo del viceré, insieme a Marineo. Il figlio Giliberto consolida gli acquisti di Francesco acquisendo da Filippo II il titolo di marchese di Marineo. Rafforzata la posizione della famiglia Bologna nel contesto palermitano e siciliano, è necessario celebrare la gloria della famiglia ed esaltarne la “nobiltà”. Il compito è affidato a Baldassare di Bernardino di Bologna che compila una “Descrittione della casa e famiglia de’Bologni” pubblicata nel 1605 che offre un esempio di libro di famiglia con il quale si vuole esaltare la famiglia e i percorsi che ne legittimano la loro appartenenza alla nobiltà. L’esaltazione della genealogia diventa una sorte di ossessione: tutti vogliono trovare le loro radici nel lontano passato. Nell’Archivio di Stato di Palermo è conservato un fascicolo che contiene la genealogia della famiglia Alliata di origine pisana che passa dal titolo di barone a quello di principe e che fa risalire le sue origini a Quinto Allio Massimo, console e dittatore di Roma. Nobili si diventa anche comprando il titolo: tra il XVI e il XVII secolo il mercato degli onori si inflaziona a livello europeo in quanto i monarchi devono fare fronte ad un debito pubblico devastante e hanno un bisogno insaziabile di denaro. La Sicilia non fa eccezione e in quegli anni si assiste a una moltiplicazione di titoli di ogni genere da quelli di don a quelli di principe. Il Parlamento del 1812 promulga una nuova costituzione che chiude anche Sicilia il ciclo giuridico della nobiltà senza, però, far venire l’illusione dell’importanza sociale della conquista di un titolo nobiliare. Calogero Sedara, quando va a concludere il matrimonio tra Angelica e Tancredi, comunica al principe Fabrizio che gli manca un solo “attacco” per diventare barone del biscotto” titolo concesso sulle secrezie del porto di Mazzara.
Ninni Giuffrida