Nuovi capitoli nella tragedia siriana
Il 20 Gennaio 2018 l’esercito turco ed una parte dei ribelli siriani, per volontà del presidente Erdogan, hanno dato inizio nella regione di Afrin all’operazione “Ramoscello d’ulivo”, con lo scopo d’annientare la presenza curda nella parte nord occidentale della Siria. Gli stessi curdi, approfittando della situazione di caos determinatasi con lo scoppio della guerra civile, si sono dotati di un autogoverno, la federazione della Rojava, e di proprie formazioni armate, le YPG, le quali si sono distinte più volte nella lotta contro l’ISIS, rendendosi allo stesso tempo una concreta minaccia per la vicina Turchia, che vede deleteria per la propria stabilità interna la presenza di una forte realtà politica ostile radicata ai propri confini, volta a sostenere le formazioni armate curde presenti nel paese anatolico, come il PKK guidato a lungo da Abdullah Öcalan.
La perenne lotta dei curdi per un proprio stato nazionale è uno dei tanti filoni che ha alimentato il durevole e contorto conflitto siriano, dove neppure la recente sconfitta del sedicente califfato ha contribuito a renderne prossima la fine, anzi paradossalmente ha alimentato ulteriormente la lunga ed atroce spirale di violenza che da quasi sette anni sta martoriando il paese mediorientale.
Tutto questo è saltato nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica in questi giorni dai bombardamenti governativi sulla periferia di Damasco, in quanto è venuto a mancare un attore che costituiva un nemico comune per tutte le altre parti in lotta, congelando momentaneamente rivalità consolidate come appunto quella tra la Turchia ed il popolo curdo.
La scelta di Erdogan, oltre ad avere lo scopo di preservare l’integrità territoriale della Turchia, risponde anche ad una precisa visione espansionista che ha sempre ispirato la sua politica estera, il Neo-ottomanismo. Politica, quella del leader turco, volta ad incrementare l’influenza del paese anatolico nelle aree geografiche un tempo sotto il dominio della Sublime Porta, la quale è stata alla base del forte sostegno turco ai ribelli siriani nella loro lotta contro il presidente Bashar al-Assad.
Quest’ultimo, timoroso che l’intervento turco possa compromettere la favorevole situazione bellica che si era determinata per lui in questi ultimi tempi con l’annientamento dell’ISIS ed il notevole ridimensionamento dell’opposizione siriana, ha deciso di sostenere i curdi nella difesa dall’aggressione turca. Un’alleanza non facile in quanto lo stesso rais siriano non ha mai visto di buon occhio il processo di emancipazione della minoranza curda, la quale sotto il dominio del regime baathista, guidato da una visione panaraba, non ha mai avuto un vero e proprio riconoscimento rimanendo in stato di perenne attrito con il clan Assad. Tuttavia l’escalation turca sembra aver momentaneamente sopito i passati rancori.
Il vero problema per Assad è generato dal fatto che l’inedita alleanza delle forze governative con i curdi non è vista di buon occhio dal suo principale alleato, il presidente russo Vladimir Putin, il cui sostegno militare al regime è stato importante nel ribaltarne favorevolmente le sorti all’interno del conflitto siriano. Putin, da diverso tempo ha attuato una politica di riavvicinamento alla Turchia nel tentativo di sganciarla dalle potenze occidentali, concordando insieme ed essa una divisione della Siria in aree d’influenza e dando avvio alla costruzione nel 2017 del gasdotto Turkish Stream, che dovrebbe trasportare il gas dalla Russia all’Europa attraverso il Mar Nero aggirando l’odiata Ucraina. Quindi Putin ci tiene a mantenere solidi i rapporti col “Sultano” e non desisterà certo di fronte la volontà curda di autodeterminarsi.