Oscar, vittoria schiacciante di Bong Joon-ho
Stravince “Parasite” in una versione della notte del cinema più politicamente corretta degli ultimi tempi
Trionfo Sud Coreano. Non c’è modo migliore per definire la novantaduesima cerimonia degli Oscar.
Assoluto protagonista della serata, “Parasite” vince quattro premi, compreso quello come miglior film, diventando la prima pellicola non in lingua inglese a ottenere il riconoscimento più alto da parte dell’Academy.
Oltre a questo riconoscimento, ottiene le statuette come migliore film internazionale (che sostituisce da quest’anno la vecchia dicitura di “miglior film in lingua straniera”), per la sceneggiatura originale e quello per la regia. Premio, questo, consegnato a un Bong Joon-ho quasi imbarazzato dalla vittoria, tanto da omaggiare nel suo discorso di ringraziamento proprio il favorito della vigilia, Martin Scorsese. Questo gesto nei confronti di un grande maestro del cinema ha generato l’unica sincera standing ovation – seguita da quella per l’apparizione sul palco di Jane Fonda – da parte di una platea alquanto distaccata, pronta però a omaggiare uno degli ultimi grandi autori di Hollywood.
Se non fosse stato per questo momento e per le continue esternazioni di Charlize Theron e Scarlett Johansson (pronte ad applaudire, incitare, congratularsi e sorridere per ognuno dei colleghi) le prime file del Dolby Theatre, occupate dai grandi favoriti, sarebbero sembrate invase da statue di cera.
Controllata, morigerata rispetto a quelle degli anni scorsi, questa edizione degli Academy Awards non regala grandi emozioni sul piano umano o spettacolare, concentrandosi quasi completamente sulle premiazioni. In un’atmosfera insolitamente tiepida, il cinema americano mostra il suo volto più prudente, distribuendo quasi strategicamente i riconoscimenti.
È possibile notare come i favoriti – “Joker”, “1917”, “Once upon a time… in Hollywood” – abbiano ottenuto un numero equilibrato di Oscar, mentre “The Irishman” sia rimasto rimasto a bocca asciutta. Un risultato che, vista l’indubbia qualità del prodotto, potrebbe essere letto come una presa di posizione da parte dell’Academy rispetto alle produzioni delle piattaforme digitali come Netflix. Che come unica soddisfazione ottiene il premio come miglior documentario per “American Factory” di Julia Reichert e Steven Bognar.
Timidi, in questa edizione, gli accenni alla politica o alle problematiche sociali, portati avanti da Steve Martin e Chris Rock e in generale da parte di tutti gli ospiti intervenuti sul palco. Fatta eccezione per breve un siparietto tra Sigourney Weaver, Brie Larson e Gal Gadot – incentrato sulla differenza di trattamento tra donne e uomini nel mondo del cinema – i riferimenti alle forti tensioni sociali presenti negli USA sono stati pressoché nulli. Limitati all’introduzione della prima direttrice d’orchestra donna nella storia degli Oscar. Il trio di supereroine introduce i premi musicali della serata, assegnati rispettivamente a “Joker” per la migliore colonna sonora ed a Sir Elthon John, in collaborazione con Bernie Taupin, per “I’m gonna love me again”, canzone inserita nel film “Rocketman”.
Se Brad Pitt riceve, in apertura della cerimonia, il premio come miglior attore non protagonista per “Once upon a time… in Hollywood”, e Laura Dern ottiene la statuetta gemella come migliore attrice non protagonista per “Marriage Story”, a dominare le categorie tecniche sono “1917”, il war movie di Sam Mendez ambientato durante la prima guerra mondiale e la sfida automobilistica di “Ford v Ferrari”.
Rispettivamente, miglior montaggio e miglior montaggio sonoro vanno alla pellicola ambientata durante la ventiquattrore di Le Mans, la più sfiancante corsa del mondo, mente miglior sonoro e migliore fotografia vengono attribuiti a “1917”. È interessante notare che il premio per i migliori effetti speciali visivi venga destinato allo stesso film di guerra, la cui tecnica è più meccanica che digitale, rispetto alle grandi produzioni piene di CGI come gli ultimi “Star Wars” ed “Avengers”. Questo potrebbe segnare il desiderio di ritorno al passato da parte degli giurati, colpiti duramente dalle critiche piovute negli anni scorsi sulla tendenza dell’Academy ad equiparare il lavoro più “artigianale” con quello in computer grafica.
Se c’è un pregio riscontrabile nelle belle parole spese dai grandi attori di Hollywood nel corso della cerimonia è il comune ringraziamento nei confronti dei tecnici, questa volta visibilmente più sentito delle altre grazie alla costanza degli interventi sul tema.
Gli altri premi tecnici sono stati equamente suddivisi tra “Once upon a time… in Hollywood”, che ottiene il riconoscimento per la migliore scenografia, mentre per i migliori costumi vince, anche prevedibilmente, “Piccole Donne”, già dato favorito in questa categoria. Tra le pellicole più discusse di questa edizione, “Bombshell – la voce dello scandalo”, riesce ad ottenere solo il premio per miglior trucco e acconciature grazie all’incredibile trasformazione che ha reso Charlize Theron praticamente identica alla giornalista protagonista di una storia vera dai forti risvolti sociali.
Nel comparto relativo al miglior film di animazione è scontato il trionfo di “Toy story 4”, che corre solitario in quanto privo di reali concorrenti, mentre è interessante la vittoria di Taika Waititi, già produttore, sceneggiatore e regista, che sorprende con il suo “Jojo Rabbit”, vincendo il premio come migliore sceneggiatura non originale.
Dopo il doveroso e ricorrente momento “In memoriam”, introdotto da Steven Spielberg, durante il quale sono stati ricordati Kirk Douglas, Rutger Hauer, Piero Tosi (uno tra i più grandi costumisti del nostro cinema) ed il maestro Franco Zeffirelli. È arrivato per bocca di Tom Hanks l’annuncio della realizzazione di un museo del cinema, gestito dall’Academy, la cui apertura è prevista per il 14 dicembre 2020.
Infine, dopo questo stacco, è la volta del premio come miglior attore protagonista, consegnato a Joaquin Phoenix per l’interpretazione magistrale di “Joker”, e come migliore attrice protagonista, conquistato a sorpresa da Renée Zellweger per “Judy”. Se il primo ha accennato un intervento sulla necessità di aprire gli occhi sui danni ambientali perpetrati dall’uomo, predicando maggiore cooperazione tra i popoli prima di omaggiare il compianto River Phoenix, la seconda ha aperto il proprio intervento con un chiaro riferimento ai suoi genitori, immigrati arrivati negli USA senza soldi e senza lavoro. Predicando l’importanza culturale di persone come Judy Garland, alla cui memoria ed eredità dedica il premio.
https://www.youtube.com/watch?v=mfhjKYhHjEU
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