O’Tama. Migrazione di stili. Il fascino senza tempo di un progetto
A Palazzo dei Normanni rivivono in una mostra le opere (e i sogni) dell’artista giapponese
Visitabile presso gli appartamenti reali di palazzo dei Normanni, dal 7 dicembre al 6 aprile 2020, la mostra “O’Tama. Migrazione di stili”, propone 101 opere restaurate dell’artista nipponica O’Tama Kiyohara provenienti dalla collezione originale di reperti portati in occidente più di un secolo fa, da lei e da Vincenzo Ragusa. Organizzata dalla fondazione Federico II, in collaborazione con l’ambasciata del Giappone in Italia e l’istituto d’arte palermitano cointestato dal 2015 a Vincenzo Ragusa e O’Tama Kiyohara, la mostra riporta in vita molti capolavori rimasti per troppo tempo nascosti al pubblico.
Patrizia Monterosso, direttrice della Fondazione, tiene a rimarcare l’importanza artistica e culturale insita nell’opera della Kiyohara, che lentamente riuscì a rompere gli schemi dell’arte tradizionale, aprendo la strada all’innovazione che porterà alla concezione cosmopolita insita nello stile Liberty.
Al Palazzo Reale di Palermo rivive il sogno di O’Tama Kiyohara e Vincenzo Ragusa
Oggi l’opera dell’artista nipponica rivive così nelle sale del palazzo reale attraverso una visione sinottica nell’allestimento museale delle collezione. Ceramiche, stoffe ed acquerelli restaurati ed esposti qui per la prima volta insieme, compreso il prezioso kimono dipinto a mano, ricamato in seta policroma e filo d’oro, sistemato strategicamente all’interno di una teca post nella sala dei vicerè.
Create seguendo una contaminazione tra la concezione non verista dell’arte orientale e le tecniche dell’arte occidentale, le opere in mostra vengono arricchite da una costruzione espositiva che affronta il tema della mescolanza culturale applicando video istallazioni alla fruizione da parte del pubblico, ampliando in questo modo l’esperienza conoscitiva del visitatore. Immergendo il fruitore in una dimensione artistica che valorizza anche la sontuosità degli appartamenti reali, che per la prima volta ospitano un evento di questo genere.
“Una mostra è un mondo, un microcosmo che respira nelle opere degli artisti”, ricorda Patrizia Monterosso, esemplificando con una frase le linee guida della logica espositiva di una mostra che connette Oriente e Occidente.
Alla base di questa mostra c’è un grande lavoro di squadra: la collaborazione della preside dell’istituto Ragusa-Kiyohara, Giuseppa Attinasi, da cinque anni direttrice delle una struttura didattica che rappresenta la realizzazione del progetto originale di Vincenzo Ragusa.
Una scuola di arti applicate connessa ad un museo, dotata di un percorso didattico laboratoriale improntato sulla pratica artistica.
Questo istituto, sito in piazza generale Turba, rappresenta oggi l’eredità spirituale dell’officina artistica e della scuola-museo volute dall’artista palermitano al suo ritorno dal Giappone. Una realtà istituita nel 1884 per essere poi rimodulata nel 1887 con un decreto regio, che la rendeva un istituto di arte applicata all’industria, cancellandone di fatto la componente multiculturale, ripristinata parzialmente a partire dalla riforma Gentile del 1924.
La cooperazione dell’istituto, depositario dei reperti della collezione del Ragusa rimasti a Palermo, insieme con il Centro Regionale per la progettazione e il restauro, ha permesso di riportare alla luce i reperti visibili della mostra. Restaurati e catalogati anche grazie al lavoro degli studenti, impegnati nei progetti di alternanza scuola-lavoro e coadiuvati da esperti specializzati nel restauro dei tessuti, provenienti dal dipartimento di chimica dell’università degli studi di Palermo.
Oltre quattromila oggetti d’arte nipponica sono stati riportati in Italia da Ragusa e Kiyohara con lo scopo di aprire un museo a Palermo
Maria Antonietta Spadaro, storica dell’arte ed esperta di cultura giapponese, si sofferma su come il paese del Sol Levante stesse attraversando, alla fine del 1800, un rinnovamento economico e culturale derivante dalla forzata apertura dei propri confini alle potenze occidentali. Tra i paesi europei, l’Italia godeva di un certo prestigio nel campo della tecnica artistica e questo convinse il governo nipponico a contattare l’accademia di Brera per invitare un loro rappresentante ad aprire una scuola di arte occidentale a Tokyo.
Vincenzo Ragusa venne selezionato per l’incarico e passò sei anni nella capitale giapponese, dove conobbe la pittrice O’Tama Kiyohara. Lì, Ragusa inizia ad acquistare numerosi oggetti antichi, spesso rappresentativi dell’arte locale. In questo frangente l’artista palermitano insegna alla Kiyohara le tecniche della pittura occidentale, che lei mescolerà abilmente con tematiche e suggestioni, tipicamente orientali, dando via ad uno stile unico ed inimitabile.
Il dato più importante riguarda gli oltre quattromila oggetti d’arte nipponica riportati in Italia da Ragusa e Kiyohara con lo scopo di aprire un museo a Palermo, progetto infranto dall’apatia delle istituzioni locali. Oggi gran parte di quegli oggetti appartengono al “museo delle civiltà-museo preistorico etnografico Luigi Pigorini” di Roma, cui venne ceduto gran parte del materiale non conservato presso la casa museo dei due artisti.
La mostra “O’Tama. Migrazione di stili” rappresenta una dimensione culturale da vivere e sentire, capace di attirare a se un insolito silenzio contemplativo, sconosciuto al fruitore occidentale, fungendo da ponte concettuale tra oriente ed occidente in chiave culturale e sociale.
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