Quando a Palermo scomparve la mafia
Alberghi, ristoranti, dolcerie ed empori: la città di fine secolo nella guida di Luigi Natoli
“Il carattere della popolazione non ha nulla che lo rassomigli al tipo convenzionale degli uomini del Mezzogiorno. Senza perdere la sua vivacità il Palermitano, come il Siciliano in genere, è sobrio, dignitoso, ha qualche cosa dell’indole araba. Vive di poco, ama il lavoro; è generoso e ospitale. Tutte le antiche piaghe, fomentate dal mal governo sono sparite; come non esiste più brigantaggio nell’isola, non esiste più la mafia a Palermo. Il viaggiatore, in città e in campagna, è sicuro come nella propria casa”.
A scrivere queste (ottimistiche) parole, nelle prime pagine della “Guida di Palermo e i suoi dintorni”, è Luigi Natoli, meglio noto come il William Galt dei Beati Paoli e dei tanti romanzi d’appendice che ebbero il merito di rivelare storie non sempre conosciute, comunque di riportare in vita testimonianze preziose di una città che fu. E anche in questo caso di una Palermo che fu si parla, collocata in quel 1891 in cui la città sarebbe stata teatro dell’Esposizione nazionale. Occorreva perciò una guida in grado non soltanto di descrivere monumenti e vie, ma anche di indicare ai viaggiatori dove mangiare, dove acquistare, dove dormire.
Alcuni nomi di attività e negozi sono arrivati fino a noi, a dispetto di una storia spesso crudele, di tragedie familiari ed economiche e di un sacco che da lì a pochi decenni avrebbe cambiato – e per sempre, e brutalmente – quel paesaggio “ […] dei giardini eternamente primaverili, sempre fioriti, [che] rendono il soggiorno a Palermo, specie d’inverno, preferibile a ogni altro”.
Dove dormire, allora, nella città di fine Ottocento? Sicuramente all’Hotel des Palmes di via Stabile, “di primo ordine, con giardino, colla terrazza, splendida posizione”; oppure all’Hotel Trinacria di via Butera, “molto elegante, con vista sul golfo”. Chi voleva godere anche di una “cucina eccellente” non doveva che affidarsi alle cure del personale dell’Hotel de France, a piazza Marina.
Le possibilità di scegliere un buon ristorante non mancavano: Natoli sottolinea, anzi, come spesso i caffè principali avessero anche il servizio di trattoria. Vale la pena scorrere alcuni di questi nomi, in questo caso interamente inghiottiti dalla storia: Caffè Oreto (a piazza Marina), Caffè Lincoln (in via Vittorio Emanuele e in prossimità dell’Oreto), Zum Falstaff e Stella Americana (sempre nella stessa via del precedente), Foro Italico (in via Torremuzza).
Ancora in tema culinario, ecco le pasticcerie. In questo caso Caflisch, una volta in via Vittorio Emanuele, ha mantenuto soltanto un nome glorioso; molte altre non esistono invece più, come Gulì e figli, “confetturieri di Casa Reale”, e la Real Confetteria del cavalier Bruno (entrambe le dolcerie sorgevano nella stessa, frequentatissima via di Caflisch). Di quest’ultimo imprenditore si disse che aveva creato una vera e propria scuola di pasticceria mutuando le ricette dei conventi.
Dei teatri non c’era che l’imbarazzo della scelta: Bellini, Politeama, Santa Cecilia, Garibaldi. E una promessa: “(Massimo) Vittorio Emanuele (non ancora compiuto) […] sarà il più grande e il più bello d’Italia”.
Palermo, e con essa tutta la Sicilia, era insomma un fermento di attività e di idee: una sosta alle gioiellerie Mercurio (via Vittorio Emanuele) era d’obbligo; valeva la pena fare una capatina poi da Scelsi, in via Maqueda, per acquistare busti (indispensabili per la moda femminile del tempo), ma anche biancheria, guanti, cappelli per signore. Nello stabilimento di Giorgio Senes Camarda (nella stessa via) era possibile procurarsi il “Profumo Imperiale – dedicato a S M Guglielmo II Imperatore di Germania”: il kaiser che soprannominò donna Franca Florio “Stella d’Italia”.
Abbondavano anche le attività legate al vino marsala, perfino al noleggio di vetture di lusso e alle fonderie “… tra le quali – continua l’autore della guida – l’Oretea della casa Florio, ed eccellenti sono i mobili e i letti che si lavorano in qualche fabbrica di Palermo”.
Un viaggio, il nostro, che potrebbe continuare all’infinito, e che non coinvolge solo la storia, ma tutti i quanti i sensi. E i sentimenti: come rintracciare nella categoria “banchieri” Ignazio e Vincenzo Florio e, tra i medici, un certo dottor Giuseppe Pitré.