Paolo Borsellino, il magistrato ucciso da “cosa nostra”
Paolo Borsellino oggi rappresenta un punto di riferimento nella lotta alla mafia. Dall’istituzione del pool antimafia, dalla collaborazione con il collega ed amico Giovanni Falcone, con cui ha istruito il maxiprocesso, fino alla tragica strage di via D’Amelio, Borsellino ha lottato duramente per i propri ideali. Principi che ancora oggi hanno ispirato la sorella Rita e i figli che si sono impegnati politicamente e nella lotta alla criminalità.
Paolo Borsellino, la vita e i primi anni di carriera
Paolo Borsellino nacque a Palermo nel quartiere Kalsa il 19 gennaio del 1940.
Durante gli anni in cui frequentava il liceo classico Giovanni Meli, divenne il direttore del giornale scolastico “Agorà”. Dopo aver conseguito la maturità decise di frequentare la facoltà di Giurisprudenza dell’università di Palermo e nel corso della sua carriera universitaria si iscrisse al Fronte universitario d’azione nazionale, in cui fece parte del direttivo. Il 27 giugno del 1962 Paolo Borsellino si laureò con la votazione di 110 e lode e nel 1963 partecipò al concorso per accedere alla magistratura: riuscì a posizionarsi cinquantasettesimo in graduatoria su centoventicinque posti disponibili.
All’età di 23 anni ebbe inizio la carriera di Borsellino all’interno della magistratura italiana. Prima svolse il tirocinio come uditore giudiziario e, una volta completato nel settembre del 1965, venne assegnato alla sezione civile del tribunale di Enna. Nel dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto, dalla quale ebbe tre figli: Fiammetta, Lucia e Manfredi. Nel 1975 venne assegnato all’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo, in cui cominciò ad indagare sui rapporti mafiosi tra Altofonte e Corso dei Mille. Durante le indagini instaurò una forte collaborazione con Emanuele Basile, capitano dell’Arma dei carabinieri, e con Rocco Chinnici, che lo chiamò come componente del pool antimafia, divenendo un mentore e un “secondo padre”.
Paolo Borsellino e il pool antimafia
Nel 1980, in seguito agli omicidi del capitano Basile e del magistrato Gaetano Costa, Rocco Chinnici decise di fondare un ufficio in cui i magistrati avrebbero lavorato a stretto contatto e collaborato attraverso lo scambio di informazioni sulle indagini condotte da ognuno di loro.
Nacque ufficialmente il pool antimafia. Borsellino diventò parte della squadra, in cui lavorava anche Giovanni Falcone. Le indagini condotte da lui e dai colleghi del pool consistevano prettamente nel fare accertamenti bancari e patrimoniali, come aveva suggerito il defunto Giorgio Boris Giuliano, sull’analisi di vecchi rapporti delle forze dell’ordine, ma anche su nuovi procedimenti penali, che consentirono di raccogliere un abbondante materiale probatorio. Il 9 novembre del 1983 a Palermo arrivò il nuovo giudice istruttore, Antonino Caponnetto, il quale sostituì il defunto Rocco Chinnici che era stato ucciso in un attentato mafioso, e con lui i primi eclatanti risultati per il pool. Venne arrestato in Brasile Tommaso Buscetta, “il boss dei due mondi”, che in seguito deciderà di collaborare con la giustizia.
A seguito delle dichiarazioni di Buscetta, i giudici Falcone e Borsellino potranno istruire il primo maxiprocesso contro “cosa nostra”. Avvalendosi delle figure dei collaboratori di giustizia o più comunemente “pentiti” del calibro dello stesso Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, le indagini si portarono a 493 mandati di cattura ai danni dei vertici mafiosi.
L’amicizia tra Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Quello che avevano in comune Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non fu esclusivamente l’amore per la giustizia e la lotta contro la mafia: condivisero anche parte della loro infanzia e della loro giovinezza.
Entrambi erano nati e cresciuti all’interno del quartiere della Kalsa, un luogo in cui risiedevano principalmente commercianti e professori. Entrambi frequentarono il liceo classico Giovanni Meli. Per Falcone le scuole secondarie furono particolarmente importanti: grazie al suo professore di storia e filosofia, Franco Salvo, imparò a sfuggire ai dogmi e a coltivare il dubbio, fino ad abbandonare il rito della messa domenicale con la madre. Paolo Borsellino si distinse nel suo percorso studentesco, come l’amico Giovanni, per avere una volontà di ferro e una memoria eccezionale.
Dopo la licenza superiore entrambi si ritrovarono a studiare giurisprudenza all’università di Palermo, dove i due futuri magistrati conseguirono la laurea con il massimo dei voti. In seguito al periodo universitario Giovanni e Paolo si ritrovarono colleghi in quel pool antimafia fondato da Rocco Chinnici, fianco a fianco come fratelli e commilitoni in questa battaglia contro “cosa nostra”.
Nel corso dell’istruzione del maxiprocesso varie sono le immagini che ricostruiscono quel soggiorno all’Asinara, tra le mille sigarette e il rumore della macchina da scrivere che batteva le parole dei mandati di cattura. Nonostante tutto erano insieme in questa battaglia per far trionfare la giustizia e la legalità.
Dopo la nomina di Borsellino come procuratore a Marsala, vi era il timore che le cose potessero cambiare nell’ambiente lavorativo del pool di Palermo. E così è stato, poiché con la morte di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino dichiarò che “aveva perso un fratello” e di conseguenza rimase da solo.
Il ruolo di Paolo Borsellino nel maxiprocesso
In seguito agli omicidi di Beppe Montana e del magistrato Ninni Cassarà, la paura di altri attentati cominciava a serpeggiare.
Falcone e Borsellino, con le rispettive famiglie, furono trasferiti in fretta e furia all’Asinara, l’isola-carcere a nord-ovest della Sardegna, per concludere l’istruttoria del maxiprocesso, che fu depositata l’8 novembre di quello stesso anno. Alla fine di quel periodo, durato 33 giorni, lo Stato ebbe l’ardire di presentare ai magistrati il conto del soggiorno.
Il 10 febbraio 1986 ebbe inizio il maxiprocesso che vide alla sbarra 475 imputati, accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Per contenere il numero degli imputati, venne costruita un’aula bunker, collegata da passaggi interni al carcere dell’Ucciardone di Palermo. Nel maggio dello stesso anno, Paolo Borsellino divenne procuratore della Repubblica a Marsala con l’intento di indagare sulle operazioni mafiose condotte dal “capo dei capi”, Totò Riina, e da Bernardo Provenzano. Il magistrato Ignazio De Francisci affermò: “Senza Paolo, si accentuò la distanza tra noi e Falcone. Borsellino aveva l’esperienza professionale per parlare con lui da pari, e nello stesso tempo era più umano, più vicino a noi”.
Il maxiprocesso si concluse il 16 dicembre 1987 con 360 condanne e 114 assoluzioni. E, con questo, Caponnetto ritenne chiusa la sua esperienza palermitana. Era ragionevolmente sicuro che il suo posto sarebbe stato preso da Falcone, suo erede naturale. Ma così non fu. Il clima politico era sfavorevole e al posto del rampante Giovanni Falcone venne eletto per questioni di anzianità Antonino Meli. L’anzianità aveva vinto sulla competenza e ciò aveva incupito Falcone.
Meli cominciò subito ad assegnare a magistrati esterni al pool le inchieste di mafia, e sul tavolo di Falcone e dei suoi colleghi piovvero invece indagini per borseggi, scippi, assegni a vuoto. Borsellino provò a reagire, nonostante lavorasse a Marsala. Il procuratore rilasciò un’intervista al giornale l’Unità in cui affermò: «Hanno tolto a Falcone la titolarità delle grandi inchieste antimafia. Le indagini di polizia giudiziaria sono bloccate da anni. La squadra mobile di Palermo non è mai stata ricostituita. Ho l’impressione di grandi manovre per smantellare il pool antimafia».
La situazione ostica che colpì Falcone travolse di riflesso la magistratura del pool, ormai in via di smantellamento, e Paolo Borsellino. Falcone come si sa andò a Roma dove svolse l’incarico di procuratore, fino alla tragica strage di Capaci. Borsellino si trovò di colpo da solo e a raccogliere il testimone nella lotta alla mafia.
Via D’Amelio 1992: la morte di Paolo Borsellino
Domenica 19 luglio 1992, il giudice Borsellino si sposta da Villagrazia di Carini, la residenza estiva della famiglia, per andare a trovare la madre in via D’Amelio a Palermo. Il tragitto del giudice è controllato dagli occhi freddi e spietati dei suoi sicari. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di esplosivo, che era parcheggiata sotto l’abitazione della madre, detona al passaggio del giudice.
“Mia madre era in casa da sola e fece in tempo a sentire le sirene delle macchine che si avvicinavano e poi scoppiò il finimondo”, ricorda Rita Borsellino.
Insieme a Paolo vengono assassinati gli agenti di scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cusina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. L’unico superstite della strage di Via D’Amelio è l’agente Antonino Vullo, che stava parcheggiando una delle automobili della scorta di Borsellino al momento dell’esplosione.
Ai funerali di Paolo Borsellino, il 24 luglio del 1992, erano presenti il presidente Oscar Luigi Scalfaro, Francesco Cossiga e Claudio Martelli. Durante la funzione furono emblematiche le parole dell’orazione funebre dell’ex procuratore Caponnetto che disse: “Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi”. Paolo Borsellino, come Paolo di Tarso aveva combattuto la buona buona battaglia e aveva conservato la fede intrisa della giustizia in cui credeva.
La famiglia di Paolo Borsellino e l’impegno politico
Paolo Borsellino, con il suo lavoro e la sua perseveranza, ha ispirato migliaia di persone, che ancora oggi si impegnano nella lotta alla mafia.
La sorella Rita, scomparsa qualche anno fa, i figli Fiammetta, Lucia e Manfredi, da quel tragico 19 luglio del 1992 divennero gli eredi spirituali di quell’alto ideale di onestà e giustizia in cui credeva Paolo.
Rita, laureatasi alla facoltà di Farmacia dell’università di Palermo, si è impegnata politicamente, venendo eletta come eurodeputata nel 2009, e socialmente, con Libera, ha contribuito in maniera determinante all’approvazione della legge n. 109/96 sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie.
Dal 1992 si impegnò attivamente nel campo dell’educazione alla legalità democratica, nel diffondere una cultura di giustizia e solidarietà, non solo per tener vivo il ricordo del fratello e di tutte le vittime della mafia, ma soprattutto perché in particolare le nuove generazioni, attraverso la conoscenza dei fatti, acquistino consapevolezza dei propri diritti, del valore della legalità e della democrazia; una conoscenza critica e responsabile che, una volta adulte, consenta loro di fare scelte giuste e coerenti per il bene loro e della collettività nella quale sono chiamate a vivere.
Nel 2012 appoggiò Rosario Crocetta, candidato per le elezioni alla presidenza della Regione Sicilia. Il 15 agosto del 2014, all’età di 73 anni, morì dopo una lunga malattia.
Anche le figlie di Paolo Borsellino, Fiammetta e Lucia, si sono prodigate nel sociale e politicamente. Lucia Borsellino è stata assessore alla Sanità della Regione Sicilia, attraverso il proprio impegno hanno più volte cercato la verità sull’omicidio del padre. L’ultimo dei figli di Paolo, Manfredi, in seguito al suo ritorno a Palermo, nel 2019 è stato posto al comando del Commissariato di Mondello. L’attività portata avanti dai membri della famiglia Borsellino rappresenta la continuità degli ideali per cui ha vissuto, si è battuto ed è morto Paolo.