Paolo Borsellino, l’uomo che ha cambiato il volto della Sicilia
I primi anni di Paolo Borsellino
Paolo Borsellino nasce a Palermo il 19 gennaio del 1940 e, sempre nel capoluogo siciliano, muore per mano di “cosa nostra” il 19 luglio del 1992. Cresce per le strade della Kalsa, quartiere nel cuore della città dove, giocando a calcio, conosce, anch’egli bambino, Giovanni Falcone.
Borsellino si laurea in giurisprudenza il 27 giugno del 1962, con una tesi dal titolo:o “Il fine dell’azione delittuosa”, coniugando il proprio ingresso nel mondo del lavoro con le responsabilità verso una famiglia di cui, in seguito alla morte del padre, diventa il punto di rifermento.
Paolo Borsellino: gli inizi della carriera
Borsellino è noto per essere stato, quando vinse il concorso per entrare in magistratura nel 1963, il più giovane magistrato d’Italia. Un lavoro iniziato realmente nel 1965, quando ottenne il primo incarico presso il tribunale di Enna, dove trascorse due anni prima di diventare pretore, prima a Mazara del Vallo e successivamente nel comune di Monreale.
Nel 1975 torna finalmente al tribunale di Palermo dove ricopre il ruolo di giudice istruttore, instaurando un ottimo rapporto personale con il collega Rocco Chinnici. Anni dopo, nel 1980, indaga sulla morte di Emanuele Basile, capitano dei carabinieri di Monreale con cui collaborava da anni. Qui, per la prima volta, il giudice si scontra contro il sistema di collusione criminale insinuatosi all’interno della magistratura. Prima i colleghi gli inviarono indietro il materiale istruttorio e successivamente assolsero gli imputati per insufficienza di prove, vanificando il lavoro investigativo svolto da Borsellino.
Il legame tra Paolo e Giovanni Falcone
Falcone e Borsellino hanno condiviso un percorso durato una vita intera. Dai tempi delle partite di calcio da ragazzi alle aule di tribunale da adulti. Sono un simbolo di onestà e giustizia, amici e uomini di legge che hanno lottato insieme. Nati a otto mesi di distanza l’uno dall’altro (Falcone era il più grande dei due), sono stati uccisi da “cosa nostra” a 57 giorni di distanza.
La morte di Giovanni Falcone, ucciso nella strage di Capaci, influenzò profondamente l’atteggiamento di Borsellino, che, stando alle sue stesse dichiarazioni, iniziò a percepire su di sé tanto il peso dell’eredità del collega e amico, quanto l’avvicinarsi della morte per mano della criminalità organizzata.
Il pool antimafia
In ambito giudiziario, con il termine pool viene definito un gruppo di magistrati che si occupano collegialmente delle stessa indagine, condividendo le informazioni per rendere più efficace l’azione giudiziaria, collaborando affinché l’eventuale morte di uno dei magistrati non blocchi le indagini.
Il Pool antimafia di Palermo venne istituito e guidato dal giudice Rocco Chinnici il 16 novembre 1983. Di questo gruppo vennero chiamati a far parte Giovanni Falcone, Giuseppe di Lello, Leonardo Guarnotta e lo stesso Paolo Borsellino. Uomini accomunati dalla voglia, l’esperienza e la capacità necessarie per occuparsi esclusivamente di reati legati alla mafia. Merito del Pool antimafia fu quello di affrontare il fenomeno della criminalità organizzata in maniera coordinata e globale, raccogliendo materiale accessibile a tutti i componenti della squadra.
La fine del Pool antimafia
Grazie alle rivelazioni di pentiti eccellenti, quali Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, le indagini portate avanti dal Pool, soprattutto in ambito economico e finanziario, produssero quasi cinquecento arresti tra uomini d’onore, prestanome e affiliati di “cosa nostra”.
Da Palermo a Roma i carabinieri colpirono le risorse e gli assetti della mafia, ottenendo tanto il plauso quanto le critiche da parte della politica e dell’opinione pubblica. Nel frattempo, alla morte di Rocco Chinnici, (ucciso con un’autobomba il 29 luglio del 1983), Antonino Caponnetto diventa capo di un Pool antimafia antimafia sempre più inviso al potere. Tanto che, quando Caponnetto lascia il proprio ruolo per motivi di salute, il Consiglio superiore della magistratura nomina al suo posto Antonino Meli, magistrato anziano che non crede alle teorie sull’esistenza (all’epoca ancora non accertata) di ”cosa nostra”. Tanti da arrivare smantellare il Pool antimafia di cui Giovanni Falcone aveva chiesto la guida.
Il ruolo di Borsellino nel Maxiprocesso
La conseguenza più importante dell’operato svolto dal Pool antimafia si ha con la convocazione del Maxiprocesso di Palermo, uno dei più ampi e vasti procedimenti legali mai costituiti nella storia della magistratura internazionale.
Iniziato il 10 febbraio del 1986, si svolse in una nuova struttura: l’aula bunker adiacente al carcere palermitano dell’Ucciardone, costruita appositamente per contenere il numero impressionante di imputati, avvocati, magistrati e anche giornalisti provenienti da tutto il mondo. Oltre a redigere, insieme con Falcone, le 8000 pagine dell’ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio per gli imputati del Maxiprocesso, Borsellino e Falcone sorvegliarono da vicino lo svolgimento dei tre atti di giudizio, limitando quanto possibile il coinvolgimento di magistrati sospettati di collusione o connivenza.
Da Sciascia a Rita Atria
Subito dopo lo smantellamento del Pool antimafia, Borsellino chiede di essere trasferito a Marsala, dove diventa procuratore attirando su di sé numerose polemiche, tra cui quelle sollevate da Leonardo Sciascia in un articolo pubblicato il 10 gennaio 1987 sulle pagine del Corriere della Sera.
Dalla penna dello scrittore di Racalmuto nasce infatti la polemica sui “professionisti dell’antimafia”, cavalcata pubblicamente in quegli anni da molti politici e giornalisti, che porterà al progressivo isolamento tanto di Falcone quanto di Borsellino. Sciascia incontrò Borsellino e chiarì che non si riferiva a un caso particolare ma che voleva, anzi, porre una questione di carattere generale sui criteri per l’avanzamento delle carriere dei magistrati.
Sempre durante la permanenza a Marsala, Borsellino raccoglie la testimonianza della giovanissima Rita Atria, che a soli 17 anni decide di collaborare con la giustizia fornendo informazioni preziose per smantellare le cosche di Partanna, Sciacca e Monreale. Sviluppando un rapporto profondo con Borsellino, la Atria entra nel programma di protezione dei testimoni venendo trasferita a Roma, dove, capendo che senza il giudice non potrà più contare sulla reale protezione dello Stato, si toglierà la vita una settimana dopo la strage di via D’Amelio.
Paolo Borsellino e l’eredità di Falcone
Giovanni Falcone muore il 23 maggio del 1992, ucciso con una carica di tritolo capace di sventrare l’autostrada Palermo-Capaci, devastando le auto blindate su cui viaggiavano il giudice, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.
Paolo Borsellino morirà quasi due mesi dopo, ucciso con un autobomba in via D’Amelio. Con lui, nell’attentato che ha squarciato il cuore di Palermo, perderanno la vita anche gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Walter Cosina.
Tra le due stragi intercorrono 57 giorni, durante i quali Borsellino viene lasciato solo. Isolato dai colleghi, dai vertici delle forze dell’ordine e dai politici, sente di essere il successivo obiettivo della mafia, ma nonostante questo non smette di combattere, portando avanti le battaglie iniziate da Giovanni Falcone, rifiutando la candidatura forzata che lo avrebbe portato lontano da Palermo.
Paolo Borsellino: gli eredi e l’impegno politicoDall’attivismo politico e antimafia della sorella Rita (nata il 2 giugno del 1945 e morta il 15 agosto del 2018) a quello del fratello Salvatore, la morte di Paolo Borsellino ha lasciato ai suoi eredi il compito di portarne avanti le battaglie. In particolare sono i suoi figli oggi a tenere alto il vessillo della lotta contro “cosa nostra”.
Dall’attivismo di Fiammetta, che non ha mai smesso di combattere per conoscere la verità sulla morte del padre, affermando spesso la propria diffidenza nei magistrati che oggi si occupano di mafia, alla scelta di Manfredi, arruolatosi nella polizia e oggi alla guida del commissariato di Mondello-Valdesi, fino a Lucia, già assessore regionale che ancora cerca e chiede la piena verità sulla strage in cui il genitore perse la vita.