Come cambia il Parlamento europeo: situazione attuale e proiezioni
Il Parlamento Europeo è l’unico organo dell’Unione eletto a suffragio diretto e rappresenta i 500 milioni di cittadini dell’UE. Svolge un ruolo fondamentale nell’elezione del presidente della Commissione europea e condivide con il Consiglio dell’Unione europea il potere di bilancio e il potere legislativo.
Fra il 23 e il 26 maggio 2019 gli europei hanno votato i nuovi 751 deputati, numero destinato a scendere a 705 una volta portata a termine la Brexit.
Queste elezioni saranno ricordate per diversi aspetti di ampia rilevanza.
1) L’alta affluenza
Anzitutto, va sottolineato un diffuso ritorno alle urne, con un’affluenza in forte crescita in paesi quali Spagna (+20%), Germania (+12%), Romania (+15%) e Polonia (+21%). L’affluenza in tutta l’Unione è stata pari al 50, 95%, la percentuale più alta dal 1994, quando il 56,67% degli aventi diritto al voto si recarono alle urne.
Una affluenza in aumento conferma la centralità che l’Unione Europea e l’idea stessa dell’Europa ricoprono oggi nella sfera pubblica in diversi Stati membri. Il dibattito pubblico venutosi a creare nei mesi precedenti le elezioni ha contribuito a portare i cittadini a votare, tanto fra i detrattori accaniti come fra i convinti sostenitori del progetto europeo.
Va anche tenuto in considerazione come l’Unione che si approcciava a queste elezioni era – ed è – un’Unione che ha attraversato diversi momenti difficili: la crisi migratoria del 2015, il referendum sulla Brexit l’anno seguente, il ruolo – ancora da definire e consolidare – dell’Unione in un mondo che vede altre superpotenze come Stati Uniti Cina e Russia avere, ancora, gioco facile nello scacchiere mondiale. Un’Unione quindi indebolita da diversi punti di vista, e che ha prestato il fianco a svariati attacchi da parte di partiti euroscettici.
Proprio questa contrapposizione fra ideologie pro-Europa e contro-Europa ha rappresentato un aspetto cruciale di queste elezioni da tenere a mente per meglio comprenderne l’esito.
2) Il fronte sovranista
La forte polarizzazione fra chi sostiene l’Unione e chi invece la identifica come un inutile, quando non dannoso, fardello negli ultimi anni si è palesata con sempre maggiore veemenza e frequenza, a vantaggio – un vantaggio percepito quantomeno a livello nazionale, vedremo fra poco perché – dei partiti e movimenti euroscettici, soprattutto nel caso di due partiti quali la Lega in Italia o il francese Rassemblement National (RN), noto fino a giugno 2018 come Front National.
Va poi sottolineato, e andrebbe analizzato più approfonditamente in altre sedi, il fatto che istanze fortemente euroscettiche come quelle propugnate da questi due partiti vengano proprio da due dei paesi fondatori dell’Unione.
Questi due partiti hanno vinto le elezioni nei rispettivi paesi: la Lega ha raccolto il 34,33% dei voti, il RN il 23,33% – un risultato questo comunque inferiore rispetto alla precedente tornata elettorale europea dove l’allora Front National raccolse il 24,86%. Al momento della stesura di questo articolo, Lega e RN andrebbero a confluire nel gruppo ENL – Europa delle nazioni e delle libertà, contribuendo con 58 europarlamentari.
Fra gli altri partiti sovranisti ed euroscettici, l’ungherese Fidesz (Alleanza Civile Ungherese) del Primo Ministro Viktor Orbán, il polacco PiS (Legge e Giustizia), hanno conseguito risultati notevoli, come ampiamente prevedibile. Meno fortuna ha invece avuto Vox, Partito spagnolo fondato nel 2013, che raccoglie il 6.20% delle preferenze. Vox si caratterizza per istanze di destra radicale quali il nazionalismo, politiche anti-immigrazione. Il programma elettorale prevede anche la proibizione dell’aborto.
Un discorso a parte, in ragione di tutte le vicissitudini legate al recesso del Regno Unito dall’Unione e le implicazioni a livello di composizione del nuovo Parlamento, andrebbe fatto per Nigel Farage e il suo nuovo partito chiamato semplicemente “Brexit”: uscito vincente, con ben ampio margine, dalla competizione elettorale, la nuova creatura di Farage si prefigge come unico impegno con i propri elettori di portare il Regno Unito fuori dall’Unione, così come decretato nel referendum tenutosi ormai tre anni fa.
L’avanzata dei partiti sovranisti ed euroscettici è sì innegabile, ma rimangono pur sempre minoranza, incapace di influenzare le politiche e il futuro dell’Unione, quantomeno in sede parlamentare.
Difatti, come già riportato, Lega e RN appartengono al gruppo ENL, gruppo al quale il partito Brexit con i suoi 29 neoeletti non aderirà. Allo stesso modo, il partito polacco PiS (26 seggi) non intende allearsi con la Lega e con il Rassemblement National e rimarrà nel gruppo parlamentare ECR – Conservatori e Riformisti Europei. Orbán ha già dichiarato di voler rimanere con il suo partito Fidesz e i suoi 13 eletti all’interno del Partito Popolare Europeo.
Caso ancora differente quello del MoVimento Cinque Stelle: reduce da una performance al di sotto delle aspettative a livello nazionale – ha raccolto il 16,57% dei voti, arrivando terzo dopo Lega e Partito Democratico (23%) – è rappresentato a Strasburgo al momento da 14 deputati.
Il solo partito fra i loro alleati ad aver superato la soglia di sbarramento è il croato Zivi Zid (Muro umano), che ha eletto un solo eurodeputato. Poiché per formare un nuovo gruppo in seno al Parlamento europeo sono necessari 25 deputati provenienti da almeno 7 paesi, attualmente il MoVimento 5 Stelle vedrebbe i suoi parlamentari obbligati a far parte del gruppo dei Non Iscritti, che non garantirebbe loro alcuna posizione rilevante nelle Commissioni parlamentari.
Questo breve, e certamente non esaustivo, excursus dei risultati elettorali delle forze euroscettiche dovrebbe comunque consentire di comprendere che al di là delle incontestabili vittorie o dei risultati positivi a livello nazionale, a livello sovranazionale gli antagonisti dell’Unione non sono in grado di esprimersi con una voce univoca. Nonostante ciò, va pur sempre tenuto a mente che circa un quarto del Parlamento vedrà esponenti di partiti di estrema destra, sovranisti e xenofobi.
Questo ci porta agli equilibri interni al Parlamento.
3) La composizione del Parlamento
Seppur reduci da risultati elettorali non esaltanti, il Partito Popolare Europeo e il Partito Socialista Europeo si confermano le prime due forze dell’emiciclo.
Fonte: Parlamento Europeo, dati aggiornati al 6/06/2019
I popolari guidano l’assemblea con 179 seggi, seguiti dai Socialisti con 153. All’interno di questi due partiti, per quanto riguarda l’Italia, troviamo rispettivamente Forza Italia con 6 eletti e il Partito Democratico con 19.
La vera novità di queste elezioni deriva proprio dal fatto che questi due partiti non saranno più in grado dopo 40 anni – ovvero da quanto il Parlamento europeo viene eletto dai cittadini – di guidare da soli il Parlamento.
Il gruppo dei Liberali (ADLE & R), ovvero l’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa insieme a Renaissance, gruppo che fa capo al Presidente Francese Macron, insieme al gruppo dei Verdi/ALE – Verdi Europei/Alleanza Libera Europea -, rispettivamente con 106 e 74 eletti, saranno necessari per formare una maggioranza che possa indirizzare le attività parlamentari.
4) Il voto ambientalista
La ragione del successo dei Verdi/ALE risiede probabilmente nell’insieme di politiche pro-europeiste e ambientaliste che stanno facendo breccia nell’elettorato europeo, o almeno in quello di alcuni paesi: l’exploit elettorale più significativo si è manifestato in Germania, dove una buona fetta dell’elettorato fra i 18 e i 29 anni ha votato per die Grüne, i verdi, segno anche del fatto che l’elettorato giovane tende a identificare temi di respiro sovranazionale come il clima e la tutela dell’ambiente come centrali per l’agenda europea. Altrettanto bene hanno fatto in Regno Unito, Finlandia, Francia, Irlanda e Belgio, mentre per quanto riguarda il nostro paese i Verdi non hanno superato la soglia di sbarramento.
Va salutato di buon grado il fatto che politiche tese a tutelare l’ambiente e il clima possano essere portate al centro del dibattito politico per forse la prima volta con la forza e l’urgenza necessaria, ma è pur vero che questa non è l’unica sfida che attende il Parlamento e l’Unione tutta nell’immediato futuro.
5) Le sfide future
La Brexit rappresenta il primo ostacolo, di enorme portata, per l’Unione del futuro. Il recesso del Regno Unito dall’Unione è previsto, dopo numerosi rinvii, per il prossimo 31 ottobre – data che peraltro si sovrappone all’inizio delle attività della nuova Commissione, prevista per il 1° novembre 2019.