I piagnoni del Sud
Si pubblica questo articolo di Anna Laysa Di Lernia, allieva del master in Public History, svoltosi presso l’università statale di Milano e coordinato dal prof. Antonino De Francesco
”L’Unità d’Italia? 150 anni di menzogne, di soprusi, di infame silenzio”, “tutta colpa di Garibaldi se l’Italia si trova in queste condizioni“, “la mala unità”. No, non è la Lega Nord a sbandierare questi slogan, ma un agguerrito manipolo di nostalgici della dinastia dei Borbone, travolta dalle vicende unitarie del 1860.
Da qualche anno, attraverso saggi, articoli, dibattiti, audiovisivi pubblicati in rete, cerimonie in luoghi considerati simbolici, i Neoborbonici sostengono che l’unificazione sia da considerarsi una vera “colonizzazione” del Sud da parte dei Piemontesi, che avrebbero intenzionalmente distrutto un’economia floridissima, anzi all’avanguardia rispetto al resto della penisola (si citano dati degli archivi del Regno, sulla cui interpretazione vari esperti hanno avanzato dubbi, poiché non correttamente contestualizzati), incamerandone le ricchezze ed eliminando una pericolosa concorrenza. E ovviamente, come per ogni colonialismo che si rispetti, gli oppositori, chiamati “briganti”, mentre erano “resistenti” difensori della patria, sono stati sterminati. Emblematica è la narrazione relativa al Forte di Fenestrelle, descritto come “il primo lager della Storia”, dove i soldati dell’esercito borbonico sarebbero stati rinchiusi in condizioni disumane per condurli a morte certa. La storico A. Barbero ha studiato i documenti della vicenda e ha dimostrato l’infondatezza di queste ricostruzioni, ma i Neoborbonici lo accusano di parzialità (“lui è Piemontese…” obietta De Crescenzo, il loro presidente). Sì, perché la disputa è ormai tutta centrata sul rifiuto della Storia ufficiale, quella degli accademici, specialmente se del Nord, arrivando al rifiuto antropologico di “chi non può capire, non essendo meridionale”.
La lamentazione portata nel discorso pubblico dai vagheggiatori dell’età dell’oro del Sud è comune a molti revisionismi, da quello Statunitense a quello Catalano, e propone una lettura vittimistica delle vicende di un secolo e mezzo fa che ben si inquadra nell’interpretazione post-novecentesca del passato, unita alla passione per le narrazioni sensazionalistiche e complottistiche tipiche dei media contemporanei.
Queste narrazioni fanno presa sull’opinione pubblica del Sud e non solo (la Lega Nord ha sposato con entusiasmo la causa revisionista), in un momento di crisi economica e sociale, ma rischiano di ridursi ad uno sterile piagnisteo che non sa analizzare le vere cause dei problemi dell’oggi, imputandole ad un passato distorto e deformato.