Politica e affari – Ferrante Gonzaga Viceré di Sicilia e Governatore di Milano
Una breve scheda su Ferrante Gonzaga e sul suo governo della Sicilia e di Milano. Carattere forte ed irruento si scontra con i Visitatori regi che lo mettono sotto accusa per la sua gestione. Ci siamo posti il problema se dobbiamo prestare fede acriticamente alle relazioni dei Visitatori oppure utilizzarle per una lettura di un percorso del Gonzaga che cerca di sperimentare strumenti nuovi per il governo dello Stato Moderno.
Una riflessione
Ferrante Gonzaga principe di Molfetta entra come un protagonista della politica nella realtà del governo dei territori italiani sotto il dominio spagnolo. Irrompe nella scena italiana come Viceré di Sicilia nel 1535. Nel 1546 si sposta a Milano quale Governatore del ducato, carica che ricoprirà sino al 1554. Muore nel 1557 a Bruxelles per una malattia non diagnosticata dopo la battaglia di San Quintino
Con la sua morte vengono a decadere le accuse di malversazione e i procedimenti di inchiesta promossi dai Visitatori che avevano sindacato il suo operato sia in Sicilia sia in Lombardia. Accuse accettate acriticamente dalla storiografia anche se alcuni autori hanno espresso numerose perplessità.
Chabod nella sua storia di Milano (F. Chabod, Storia di Milano all’epoca di Carlo V, Einaudi, Torino, 1971, p. 122), traccia un ritratto del carattere del Gonzaga e della sua personalità che serve a delineare al meglio i suoi percorsi di governo. In particolare, lo Chabod afferma:
potente personalità, tempra vera di uomo politico oltre che di militare, voglioso di fare e di muoversi, ambizioso e teso verso l’azione: ricco anche, sin d’allora, di nemici grossi ed acri, a cominciare dal Farnese e da Papa Paolo III e già oggetto nel passato di voci calunniose, alla cui origine stava, unica realtà la risolutezza e la spregiudicatezza del suo procedere, lo stile autoritario e brusco.
Lo stesso Sciuti Russo esprime delle perplessità sul quadro a fosche tinte che ne deriva dalla lettura degli atti delle inchieste sul Viceré promosse dai Visitatori e dalle accuse generalizzate di corruzione contro l’apparato giurisdizionale e amministrativo del Regno (v. Sciuti Russi, Visita e sindacato nella Sicilia spagnola. In «4° seminario C. N. R. sull’educazione giuridica», Perugia 15-18 dicembre 1978, pp. 8-9.).
Riflessioni storiografiche che propongono una valutazione sulla facile lettura degli atti dei Visitatori visti come coloro che mettono in luce il verminaio di complicità, di malversazioni e di ruberie. Una lettura che non tiene conto che proprio in quegli anni si sta sviluppando quel processo politico-giuridico che mira alla costruzione di una giurisdizione sovrana. I Visitatori con le loro relazioni non fanno altro che mettere in luce i rapporti di coesistenza e di conflittualità delle giurisdizioni che stanno alla base del percorso di costruzione dello stato in età moderna. Le relazioni dei Visitatori sono fondamentali per ricostruire i percorsi che, nel contesto del sistema imperiale spagnolo, i Governatori dei diversi Viceregni portano avanti per assumere il reale controllo dell’amministrazione. Le relazioni devono essere lette con spirito critico e non cedere alla facile tentazione di utilizzarle storiograficamente per una descrizione fosca dei protagonisti coevi. Un esempio che emerge dalle relazioni dei Visitatori è dato dal ricorso che fanno tutti i protagonisti alle reti di credito per gestire i loro rapporti e per veicolare i flussi dei gettiti finanziari che avrebbero dovuto versare al Fisco regio.
L’impatto con la Sicilia
Gonzaga arrivando in Sicilia trova una situazione politica ed economica complessa difficile da gestire in una prospettiva della costruzione di uno stato moderno che renda omogeneo il complesso reticolo di possedimenti che confluiscono sotto la corona imperiale di Carlo V.
In estrema sintesi Gonzaga deve confrontarsi con la realtà di una la Sicilia della prima metà del ‘500 in una fase di profondo cambiamento e specificamente:
- con una nuova classe dirigente costituita da uomini nuovi che emergono dalla congerie delle rivolte del primo ventennio del secolo come i Bologna o i Lo Porto che hanno logiche politiche e interessi economici profondamente diversi da quelli della realtà feudale del ‘400;
- con un mercato del credito che, nei fatti, è monopolizzato dai genovesi che hanno scalzato catalani e fiorentini con delle pesanti conseguenze sulla gestione del mercato del debito pubblico e non solo;
- con una dirigenza burocratica di notevole spessore professionale e culturale che ha comprato gli uffici con il diritto a lasciarli in eredità;
- con un articolata organizzazione rivolta al controllo dell’esportazione del grano con l’imposizione di uno specifico prelievo fiscale e con un controllo dei magazzini autorizzati all’esportazione (i caricatori) che sono sotto il controllo della Regia Corte.
L’esperienza siciliana e milanese
L’esperienza di governo del Gonzaga sia in Sicilia sia a Milano merita un approccio non condizionato dalla lettura delle relazioni dei Visitatori e neppure dalle accuse dei suoi contemporanei.
Il problema che si pone al Gonzaga nel momento in cui arriva in Sicilia è quello del riscatto del patrimonio reale che i suoi predecessori avevano venduto per far fronte alle spese della guerra contro gli Ottomani. La situazione era molto complessa e non si poteva far fronte con il gettito del donativo o con nuove imposizioni fiscali. Come operare senza subire il condizionamento dei gruppi di potere locali fortemente strutturati sul territorio? Il Gonzaga crea una sua struttura operativa sotto forma di una Segreteria particolare che lo supporti amministrativamente. Consolida un solido rapporto con la finanza lucchese e toscana per cercare di contenere il monopolio della finanza genovese che ha il controllo della maggior parte delle reti di credito presenti in Sicilia.
Supportato da questa sua struttura operativa affronta i temi della gestione del debito pubblico con approcci differenti da quelli tradizionali sperimentati dai suoi predecessori. L’attenzione del viceré, ad esempio, si focalizza sulle quote dei “titoli di debito pubblico” legati all’imposizione di un tarì aggiuntivo sul prezzo della tratta (permesso di esportazione di una salma di grano) corrisposto dai mercanti che acquistavano cereali da portare all’estero, deliberato dal parlamento siciliano nel 1540. La manovra finanziaria si concreta nella suddivisione del tarì in venti quote (20 grani) e, in seguito, nella capitalizzazione di tale gettito fiscale e la sua collocazione sul mercato del credito.
I “nuovi baroni” quali Cesare Lanza, barone di Castania e di Trabia, e Antonio Mejavilla, «baronem grani de tareno baronum», diventano i suoi referenti per questo “partito”. Il Gonzaga, oltre a farli diventare soci del banco Mahona-Menocchi, sul quale grava il compito di garantire il finanziamento dell’intera operazione, ripartisce le responsabilità operative tra i due, specificando compiti e ruoli in due procure.
Questo episodio costituisce un’adeguata chiave di lettura per comprendere come il Gonzaga si approcci al governo della finanza pubblica mettendo a punto un metodo operativo e relazionale molto articolato, dove interagiscono gli abituali strumenti creditizi legati ai banchi (aperture di credito o cambi), con i meccanismi di formazione del debito pubblico (capitalizzazione dei cespiti finanziari della Regia Corte, come i diritti sull’esportazione dei cereali) e le sue ricadute sul tradizionale sistema di raccolta del credito, incardinato sulle soggiogazioni. Il viceré, con il suo gruppo di agenti, percepisce chiaramente come si evolve il funzionamento delle reti del credito e come interagiscono tra di loro e ne può così sfruttare a pieno le potenzialità.
Il Gonzaga, insediatosi a Milano, non demolisce la rete di interessi economici e finanziari costruita in Sicilia, anzi la potenzia, la coordina con la realtà lombarda e ne affida la direzione alla sua segreteria milanese che opera nel «camarino sive audience secrete» del governatore. Una segreteria molto bene organizzata e strutturata, nella quale si fondono le esperienze della finanza con quelle della politica. Infatti, accanto al Mahona, che ha la responsabilità politica della gestione, opera Nicolò Bernardini, un esponente della finanza lucchese che è definito come «magister domus et thesaurarius illustrissimi et excellentissimi principis domini don Ferdinandi de Gonzaga». Nicolò riveste un ruolo chiave all’interno della corte del Gonzaga non solo per la gestione del suo patrimonio personale, ma anche perché diventa il punto di riferimento dei banchieri lucchesi che operavano nelle più importanti piazze finanziarie europee. Uno snodo utilizzato dal Gonzaga non solo per collegarsi con la rete finanziaria lucchese, ma anche per intrattenere rapporti privilegiati con la repubblica di Lucca anche nel momento in cui il legame con Carlo V diventa difficile.
Gonzaga opera in un contesto integrato che comprende la Sicilia, il Napoletano, Milano e Mantova. Una complessità che è gestita non solo da un responsabile finanziario, ma anche da una struttura operativa di segretari alla quale sono affidati degli specifici compiti con riferimento alle diverse aree geografiche dove sono presenti gli interessi del Gonzaga. I segretari che si occupano della Sicilia sono due: Giovanni Mahona e il «reverendus et magnificus dominus frater Jacobus Arigonis de Bardelonis, eques divi Joannis Jerosolomitani». Due personaggi che conoscono bene la Sicilia e che hanno significativi collegamenti personali con l’isola, in quanto Giovanni è il fratello del Mahona che ha aperto a Palermo banco con il Menocchi, mentre Iacobo Bardellione è il percettore della Commenda palermitana di San Giovanni la Guilla.
Nel biennio 1547-1548 la struttura operativa costruita dal Gonzaga opera in modo diverso rispetto alla realtà siciliana. Il Gonzaga si muove con grande accortezza a Milano entrando in sintonia con i bisogni di alcuni settori proto industriali lombardi ai quali garantisce la fornitura di due prodotti, l’allume e il vetriolo(acido solforico), provenienti dalla miniera di cui ha avuto la concessione da parte della Regia Corte in Sicilia. La creazione del canale di distribuzione di questi prodotti è affidata al suo segretario Giovanni Mahona, che deve stipulare i contratti per «mercato conducendo quasque quantitates aluminis et vitrioli ex Sicilia Genuam etex Janua Milanum». Genova e il suo porto costituiscono lo snodo per la gestione del sistema dei trasporti che collega la Sicilia con la Lombardia: il mercante Giuliano Salvago è l’agente del Gonzaga nel porto genovese, che cura sia la ricezione della merce imbarcata, sia l’istradamento delle stesse con mulattieri verso Milano. Ai genovesi si affida anche la gestione della miniera, come si ricava dalla lettura della procura stipulata a favore del mercante genovese Francesco Giustiniano che vive nella città di Messina.
Una riflessione finale
Gonzaga Intuisce che i tradizionali meccanismi del governo della finanza pubblica non funzionano più e bisogna guardare al mercato per costruire un meccanismo finanziario nuovo che innovi la stagnante realtà.
Si rende conto che per potere agire è necessario l’apporto di una struttura per la gestione del credito qual è quella di un banco e che la Sicilia è nella morsa del sistema bancario genovese che impone il suo monopolio. La scelta di favorire la costituzione di un banco lucchese a Palermo sotto il suo controllo risponde proprio a questa sua consapevolezza della necessità di creare una rete del credito per il funzionamento della Regia Corte che abbia riferimenti diversi da quelli genovesi. A Milano non fa che replicare il modello siciliano adeguandolo alla realtà locale e cercando sempre il supporto della finanza lucchese per cercare di bilanciare la onnipresenza genovese.
Il suo errore: nella sua irruenza e determinazione non coinvolge la politica e non veicola le sue idee riformistiche per il tramite degli organi deputati a questo come il Parlamento siciliano; non riesce a controllare la frammentata e incontrollata rete di funzionari ai quali è affidata la riscossione delle imposte. Intuisce che bisogna cambiare ma, impone percorsi che, senza un adeguato coinvolgimento della realtà politica, vengono contestati e combattuti.