Porta Nuova, l’autocelebrazione di un principe – Parte prima
Quando l’aristocrazia intonava la Città
Nell’acropoli palermitana del Palazzo Reale, Porta Nuova é il più bell’esempio di architettura manierista. Una gigantesca scultura fatta edificio di straordinaria complessità strutturale e decorativa.
Pur se meno famosa della coeva Porta Pia di Michelangelo, non bisogna pensarla come a un provincialistico fraintendimento stilistico, quanto alla precoce intuizione di un barocco illuminato dal sole mediterraneo. Avanguardia. Chiunque sia stato l’autore – e vi sono più dubbi che certezze – è un artista che ha saputo selezionare il meglio dei suoi anni, ricavare le regole della perfezione e riassumere se stesso in un’immagine compiuta con caratteristiche originali e mai pedanti.
“Il 13 settembre 1535 venne a Palermo Carlo V (…) l’Asburgo cui la sgraziata sporgenza della mandibola prognata (…) impediva (…) che i pessimi denti combaciassero, impacciandogli la parola” [1].
Giungeva a Palermo dopo la conquista di Tunisi strappata ai Barbareschi. Tappa successiva Nicosia e, culmine del successo siciliano, Messina. Città pronta a incassare l’imperiale ringraziamento per l’appoggio economico alla spedizione africana e alla massiccia partecipazione di nobili messinesi con propri armati. L’Imperatore passava in Sicilia con “… episodi in cui si esprimeva un triplice obiettivo: la presa di possesso del regno, la conferma dei privilegi regali sulle città sottoposte e soprattutto l’affermazione dell’immagine propagandistica di un sistema autoritario”[2].
A Messina erano pronti per Lui sette archi di trionfo (più uno di Polidoro da Caravaggio) realizzati ‘all’antica’ con inserti pittorici e scultorei. Presupposto al programma iconografico di un vero e proprio ciclo celebrativo comprensivo di sottocicli di regalie e spettacoli organizzati per realizzare l’ambizioso progetto di diventare capitale della Sicilia.
A Palermo lo stesso incarico era andato a Vincenzo da Pavia, che in più aveva ritratto Carlo V ai piedi della Madonna del Rosario (1540) nella chiesa di San Domenico.
L’Imperatore è appena trentenne e non ha solo difficoltà di parola: è anche un formidabile mangione e “… ho visto il ritratto che Mastro Tiziano ha dipinto in ginocchio davanti all’imperatore e dobbiamo ringraziarlo per averci fatto sapere dove é finito l’oro di Djerba! Lui poi dovrebbe ringraziarlo d’aver assai ridotto la sporgenza del suo mento e d’aver dipinto più grande la ‘conchiglia’ del suo ‘lì’ che si dice minuscolo come quello di tutti gli Augsburg. Quanto è lontana la maestria innamorata di Alberto Duro[3] che ha dipinto lo stesso mento del padre Massimiliano I, valorizzandolo al confronto con le durezze di un’armatura d’oro …>.
<… E per chi non ha visto né l’uno né l’altro dipinto?>.
<Non si accorgerà mai della differenza tra borsa e sentimenti. Tra chi privilegia la personalità e chi si ferma alla fisionomia di tutto e trascura il carattere. Tornando all’imperatore, dovrebbe ringraziare anche l’abito di tizianesca misura favorevole che nasconde cinquant’anni di banchetti smodati e le spezie che gli hanno infradiciato mani e piedi. Tra una pietanza e l’altra (e un torrente di birra) con l’oro e il nostro sangue, l’imperatore ha vinto a Djerba solo una battaglia, illudendosi che la fortezza della Goletta sia un baluardo della cristianità… sarebbe meglio ripensare ogni cosa e più ancora cosa sia stato il Sacco di una Roma non impedita ai Lanzichenecchi. [4]>
In Sicilia Carlo V sbarca da Imperatore e come tale è accolto.
“Il sovrano solare, il principe magnifico che, assumendo l’eredità di Carlo Magno, portava su di sé l’immenso peso dei destini del mondo e della difesa della cristianità” [5].
A Palermo il modo più consono per celebrarlo fu il rifare e intitolargli quella Porta del Sole (XV secolo) da dove era entrato in Città. Una Porta, che non si sarebbe potuta chiamare ‘Imperiale’ perché la denominazione l’avevano già usata i Messinesi. Porta Austria o Nuova? Sì, anche se a Messina c’era già una Strada Austria o Nuova… toponomastica a parte di questa porta sappiamo molto poco delle vicende costruttive antecedenti lo scoppio che l’ha semidistrutta e fatta ricostruire nella forma oggi visibile.
La sua paternità è definibile un locus desperatus [6] che rende possibile un’emendazione congetturale prima di una definitiva crux desperationis.
La Porta attuale è stata progettata a una sola elevazione e cominciata nel 1569[7], ma è sconosciuto l’Autore, tantomeno quello della facciata esterna, la più interessante; quella che ha smarrito storici e critici per un’esatta collocazione stilistica. Fiamminga, moresca, manierista ecc.? Sconosciuta la genesi, assente la continuità.
Qualche punto di riferimento? Forzando ed insistendo.
“C’é da chiedersi se Porta Nuova sia poi così distante, nell’idea generale almeno, dalla ‘Torre Dorada’ dell’Alcázar madrileno, progettata nel 1559 in un clima di forti influenze fiamminghe. E’ interessante che Filippo II chieda[8] espressamente al suo architetto di realizzarla con numerose finestre aperte verso il territorio circostante, cosi come accadrà agli appartamenti loggiati di Porta Nuova a Palermo. Esiste anche un’analogia nella denominazione di tali fabbriche se consideriamo che, durante il vice regno Colonna, Porta Nuova era chiamata ‘Porta Aurea’ o ‘Porta d’Oro’, oltre che ‘Porta d’Austria’.[9]”
La rassomiglianza è poca, limitata alla forma torreggiante e al tetto tronco-piramidale. No, bisogna ribaltare il giudizio perché l’architetto[10] spagnolo in questione si era formato in Italia chiamato dall’imperatore Carlo V e a Napoli dal viceré Toledo. Chiunque sia stato l’autore ha operato nello spazio rinascimentale italiano, anche se non ne ha sviluppato il diagramma spaziale: dimensioni, numero e posizione degli stilemi sono fuori dai canoni ed elementi di un incipiente segno autoreferenziale. Dell’Autore stesso o del promotore. Un risultato inconsueto.
Il promotore della Porta Nuova è sicuramente il principe Marc’Antonio Colonna (viceré dal 1577 al 1584) che “… manda in attuazione un suo ambizioso disegno urbanistico, probabilmente ispirato a modelli rinascimentali romani”[11]. Vuole un (suo) arco di trionfo piuttosto che una delle tante Porte di città. Egli completa l’asse viario sotteso tra la vecchia Porta Nuova (a ovest) e la nuova Porta Felice [12](a est) fronte mare: “Fa quindi riprendere i lavori a Porta Nuova, cui soltanto pochi anni prima l’architetto Giorgio Di Faccio aveva dato, sul prospetto interno verso la città, forme da classicheggiante arco trionfale, per realizzare su di essa una sopraelevazione loggiata sui due affacci principali di levante e di ponente”. Un miracolo, perché su questo programma non deve scontrarsi con l’altro (vero) viceré il vescovo Marullo, Inquisitore e uomo di cultura con architetto al seguito. Egli approverà un impianto urbanistico già in atto a Messina, sua città d’origine. Il piano (tenuto segretissimo) sarà una croce di strade principali che individuano il centro aristocratico della Città e che, gonfiata di parole interne a una narrazione clericale, la ‘mettono sotto il segno della croce’. Cardo e decumano per gli storici, e violento ritaglio del tessuto medioevale. Feroce l’opposizione degli aristocratici costretti a risegare i loro palazzi, rifare le facciate e cambiare gli accessi. Ancor oggi allineati con la città precedente. La volontà del viceré Colonna è potere.
Il suo nemico personale e nuovo Inquisitore (Diego de Haedo) arriverà solo tra due anni e alloggerà il Tribunale, camere di tortura e aule di finta giustizia in locali adiacenti il Palazzo Reale. Che non è ancora tale: da qualche decennio viceré e inquisitori si alternano ad alloggiare tra Palazzo Chiaramonte, Castello a Mare e Palazzo S. Pietro (poi Reale). Nel frattempo di questi forzati condomini “La Porta Nuova troverà, intorno al 1583, una nuova configurazione architettonica grazie alla realizzazione del secondo ordine loggiato, collegato direttamente con gli appartamenti reali del Palazzo dei Normanni”[13]. Forse no: per capire meglio la cronologia degli interventi su questo manufatto da fantasista bisognerà allungare i tempi indicati da G. Giardina e analizzare la definizione di sopraelevazione loggiata. Più avanti vedremo cosa sia.
Per un quadro quanto più possibile completo, metto insieme e integro queste magre notizie elencandole in ordine cronologico e sinottico.
1569-70
La porta è edificata con fornice ad arco[14]. Se ne ha una rappresentazione nel volume Le porte di Palermo di Gaetano Giardina[15]. In appendice Antonino Mongitore disegna le Porte di Palermo al momento esistenti con due disegni di prima e dopo il 1583. Il più antico è lo schizzo del protomedico Giovan Filippo Ingrassia che, nell’illustrare il campo sanitario allestito extra moenia alla Cuba durante la peste del 1576, annota la facciata esterna della Porta.
1. G.F. Ingrassia, Porta Nuova, 1576
Disegno privo di nobiltà, non per la scarsa qualità di una rappresentazione grafica affidata alla penna di un volenteroso, quanto per il basso valore intrinseco del manufatto.
La tecnica grafica è anche insufficiente per chiarire se i quattro stilemi verticali siano paraste o (più probabilmente) colonne.
Il secondo disegno riporta la classicheggiante facciata interna costruita intorno al 1575 da Giorgio di Faccio e restaurata nel 1669 dopo lo scoppio della polveriera (1667) che vi era stata collocata. Questa immagine, fedele all’originale è compatibile con l’incisione del 1585, e sicuramente post datata.
2. G. Di Faccio, Porta Nuova, lato Città
La Porta (n. 98) ha un fornice non ad arco (un errore del bulino?) affiancato da colonne (?) che sorreggono una scomparsa (o mai costruita) trabeazione sormontata da timpano triangolare[16] corredato da cimasa, pinnacoli o obelischi. E’ l’unica rappresentazione con un timpano di coronamento che l’avvicini ai modelli di porte disegnate da S. Serlio (v. ff. 11).
3. G. Braun e F. Hogenberg, Pianta prospettica della città di Palermo, 1585
Il disegno è confermato un secolo dopo nelle illustrazioni n. 4 e n. 5. Venti anni dopo un’esplosione[17] la Porta Nuova è rappresentata perfettamente restaurata dall’arch. Gaspare Guercio[18] e con la innovativa copertura tronco-piramidale rivestita di piastrelle maiolicate in sostituzione delle originali di piombo. “Il restauro, scrupolosamente condotto, pur mostrando le capacità professionali di G. non fa apparire le personali qualità progettuali. Ne è un esempio la riproposizione della distribuzione interna degli ambienti secondo l’assetto originario”[19].
Non conosciamo la portata dell’intervento, né cosa sia stato restaurato. Sicuramente la carpenteria del tetto, crollata per il fuoco dell’esplosione e il peso delle lastre di piombo della copertura.
Per l’interessante facciata esterna c’è invece vuoto d’informazioni. Un’ipotesi, non documentabile per mancanza di fonti storiche, è che la testimonianza d’Ingrassia fosse solo un manufatto edilizio ‘grezzo’: l’apertura della Via Toledo l’avrebbe innalzato al rango di Porta del più importante asse viario cittadino. Da qui una decorazione che la renda degna del nuovo ruolo. Merito del viceré Colonna. Le quattro paraste e la trabeazione disegnata da Ingrassia potrebbero essere un semplice supporto cui sono stati applicati sia i quattro telamoni dei captivi che l’abbondante apparato decorativo dell’ornato che regge la squillante scenografia. La fattibilità di una simile operazione è più credibile se ricordiamo che bugne e decorazioni erano aggiunti a posteriori. Prima erano stati impasti segreti[20] colati dentro casseformi di legno particolarmente duro e abbondantemente saponato.
5. Particolare del fronte interno della Porta Nuova
Il distacco dei calchi ancora plastici era così facilitato per la posa in opera. Ritocchi e ulteriori lavorazioni di superfici e volumi erano modellati immediatamente.
Se decorazioni ed elementi costruttivi fossero stati di marmo avrebbero dovuto far parte del manufatto edilizio, essere lentamente scolpiti e messi in opera durante la costruzione. Impensabile con l’urgenza del viceré Colonna.
Il principe ha già più di quaranta anni e a quella ben raggiunta età le teste pensanti del Rinascimento vogliono lasciare un segno concretizzato in opere che prescindano da una vita cruenta in balia di pestilenze, carestie, guerre ed arrembaggi. Nell’ellittica perfezione del tempo rinasce solo ciò che si è creato e se. Colonna vuole creare e lasciare il segno. Il desiderio di ‘segnare’ con la concretezza di un’opera d’arte si spiega con la pretesa d’essere ricordati e si chiarisce sviluppando il concetto linguistico di ridondanza: “La ridondanza del segno indica pertanto che è presente qualcosa di altro rispetto alla geometria…[21]”
Principi, papi e alti prelati alla fine della loro vita volevano incidere sullo spazio e sul loro tempo relativo, dimostrare il bagaglio d’informazioni ricevute e lasciarne di utili. Marc’Antonio Colonna lascia il suo segno in questo effimero monumentale, dove l’effimero è lui stesso e monumento l’opera che promuove. Entrambi apici di un’antinomia tra arte fornita d’aura estetizzante e Uomo consapevole della fugacità dell’esistenza.
Nel Sole viviamo Giorni confidati infiniti e poi riposiamo quasi nelle menti altrui. I Fortunati continuano a vivere, non nel Letto delle sicurezze, non nella dimenticata Tavola di Amore e Affetti, ma nel segno.
Il principe Colonna ignora le schiere di ignoranti e adulatori e fa’ costruire come vuole. Vuole rappresentare la struttura del suo quotidiano, la sua realtà. Su progetto di chi? Negli atti del Tribunale del Real Patrimonio (e simili) vi sono decine di nomi di costruttori, marmisti, architetti e ingegneri, ma nessuno è indicato come titolare del progetto dell’elevazione della Porta. Indaghiamo tra gli architetti dell’epoca.
L’architetto Giuseppe Giacalone?
A prima vista sembra ci sia un filo diretto tra il fornice del portale di Porta Nuova[22] (f. 6) e Palazzo Castrone S. Ninfa (ff.7,8). L’analogia nel primo si mostra con un catalogo decorativo più nutrito, nel secondo si limita alla sola decorazione delle bugne. Le affinità si fermano qui. Giacalone non ha particolarmente brillato nel panorama edilizio palermitano ricco di nomi come Calamech, Camilliani, Di Faccio ecc. Gli storici gli hanno assegnato pochi lavori e di livello inferiore al pur notevole Palazzo Castrone.
Chi altri? Per maggiore consapevolezza allargo il panorama e cito un edificio assai poco ‘frequentato’ perché non palermitano. Nel portale ha notevoli rassomiglianze con Palazzo Castrone e vi si legge anche una mano simile: il Palazzo Marullo di S. Lucia del Mela (Messina); voluto da un valoroso e sfortunato Vincenzo Marullo conte di Condagusta (quondam Agusta) e realizzato da altro sconosciuto architetto[23].
Il suo parente D. Cesare Marullo negli anni ’80 del 1500 era Arcivescovo di Palermo. Oggi lo si direbbe un manager che si è occupato dall’organizzazione di sinodi, rifacimento delle carceri, dell’igiene, della salute dell’anima e del benessere degli ortaggi. Il suo massimo architetto fu quell’Andrea Calamech dei Palazzi Reali di Messina e Palermo e del suo Casino delle Case Pinte.
I due portali, dopo 500 anni e bombardamenti[24] resistono e sono molto simili.
Nel Palazzo Marullo il portale non è sormontato da un timpano ma da un’altissima trabeazione pronta a sorreggere un balcone. Come nei Palazzi Spadafora-La Corte e Reale a Messina.
La nobiltà del disegno e la intelaiatura piatta testimoniano alte frequentazioni e – nelle protomi leonine che ornano la fascia d’attico – una cultura architettonica adiacente la scultura.
Di simili ve n’erano nel tempio di Hymera (Museo Nazionale Palermo) e servivano come gocciolatoi delle acque piovane. Michelangelo le usò nella fascia di coronamento del Palazzo de’ Conservatori in Campidoglio.
Nel dettaglio, il fornice di entrambi è combinazione matura e sicura delle illustrazioni contenute nelle tavole XXIX e XX (fig. 11) del Libro extraordinario di Sebastiano Serlio[25]. Il portale ricorda anche il Portone di Palazzo Farnese di A. da Sangallo mentre la gradonata è identica a quella del Palazzo Reale di Messina; l’uso di obelischi ricorda la chiesa di san Giovanni dei Fiorentini alle Quattro Fontane. Tutti lavori di A. Calamech.
Da questi elementi d’alta cultura architettonica è improponibile pensare che la progettazione sia stata affidata a uno sconosciuto ‘mastro’. Colonna per la ‘sua’ Porta avrà preteso la garanzia di un lavoro eccellente.
Per la paternità forse è questa la direzione. Verso un architetto colto, di successo, ben introdotto. Volutamente dimenticato.
Palermo e Messina in quegli anni e per altri cento furono le due co-capitali del Regno di Sicilia. Due i Palazzi Reali, due le sedi vicereali e diciotto mesi a turno sede dei Tribunali (ministeri). Ne era scaturita una competizione spinta sino all’assurdo. Una guerra senza quartiere tramite azioni volte al discredito d’una città verso l’altra. Messina ricca, colta e imprenditoriale, strutturata su redditizi Consolati (del Mare, della Seta, degli Argenti…) proiettata su Mediterraneo orientale e Costantinopoli; Palermo, improntata da quattro secoli di dominazione araba, ripiegata su burocrazia e amministrazione filo- spagnola. Una piccola quantità di benvestiti opprimeva uno stuolo di acquiescenti mezzemaniche che vessavano un popolo scalzo e mangiatore di fichi d’India. E guerre personali. Come quella tra D. Andrea Arduino principe di Palizzi e Pietro Agostino gentiluomo. Il primo, potentissimo Presidente del Real Patrimonio, operava nell’interesse esclusivo del Sovrano. Uomo di Carlo V faceva gli interessi municipali di Messina che, grazie ai suoi privilegi (accordi onerosi assimilabili a contratti tra privati) poteva persino censurare i vicerè rivolgendosi direttamente al Re. Il principe era stato assai ostile sia al viceré Tagliavia d’Aragona sia al suo predecessore d’Avalos entrambi oggetto di aspre critiche ed accuse argomentate sino al Re Filippo II. Figurarsi con un semplice gentiluomo, di valore ma ostile, colto ma assetato di nobiltà.
“Pietro Agostino, Maestro razionale del regno di Sicilia, era (…) brillante rappresentante di una classe dirigente di origine non nobile che utilizzava la cultura, la preparazione tecnico-amministrativa, la curiosità intellettuale e il controllo degli uffici pubblici come strumenti per innescare processi di dinamica sociale (…) presupposto essenziale per un’inarrestabile ascesa sociale. P. Agostino era un funzionario (…) di grande esperienza e molto vicino alla Corona: Carlo V e il viceré Gonzaga l’avevano utilizzato in delicate missioni non solo in Sicilia, ma anche in Italia, in Fiandra e in Germania. Un ministro dalla personalità complessa che s’impegnava non solo nella gestione di difficili procedimenti amministrativi, ma anche negli studi umanistici, astronomici e astrologici”. Antonino Giuffrida, in 17 Quaderni – Mediterranea. Ricerche storiche ISSN 1828-1818.
Entrambi s’erano impegnati a sopraffarsi, difendendo prima se stessi e le loro cariche, poi gli interessi delle due città. Alla fine il manico dell’ombrello se l’era fatta col bastone. Ostilità e competizione tra le due città avrebbero avuto il loro acme con il devastante bombardamento franco-messinese di Palermo del 2 giugno 1676.
Note
1 Di Matteo S., La Porta Nuova a Palermo, cap. II, Gr.Ed. D’Agostino, Palermo, 1990.
2 Mamone S., Testaverde A.M, Vincenzio Borghini e gli esordi di una tradizione. Le feste fiorentine del 1565 e i prodromi lionesi del 1548, Fra lo spedale e il principe, p. 65-77.
3 Albrect Dürer, Pala Dürer, Pala d’Ognisanti o Altare Landauer, 1511. Massimiliano I è dipinto in imperial-adorazione della Trinità, con colori dorati e il mento sporgente magistralmente bilanciato da una tagliente gorgiera e due acuminate guarda gorgiere ai lati del collo. Dürer è ai piedi della sua sentita bellezza e crepuscolare poesia.
4 Provenzale G., Provenzale :nv:s::b:l:, Milano 2007, p. 29.
5 Di Matteo S., op. cit.
6 “Espressione con cui sono comunemente indicati, soprattutto dai filologi classici, i passi corrotti di un testo che siano ritenuti insanabili e per i quali si rinuncia quindi a un’integrazione”. Diz. Treccani, ad vocem.
7 Di Matteo S., La Porta nuova…
8 Gerard V., De Castillo… cit., pag. 81-83.
9 Di Fede M.S., Architettura e trasformazioni urbane a Palermo nel Cinquecento: la committenza viceregia, Espacio, Tiempo y Forma, Serie VII, H. del Arte, t. 8, 1995, p. 110.
10 Juan Bautista de Toledo (Toledo o Madrid, 1515? – Madrid 1567. Architetto spagnolo con una lunga attività professionale in Italia. Con il nome di Giovan Battista de Alfonzis fu assistente di Antonio da Sangallo il Giovane nella Fortezza da Basso a Firenze e nella Basilica di San Pietro a Roma. Notevole fu la sua attività a Napoli dove disegnò, restaurò e urbanizzò la Strada Toledo, i bastioni del Castel Nuovo, il Palazzo di Posillipo, il Castello Sant’Elmo ed altro. Una cultura certamente manierista. Dopo l’esperienza italiana fu chiamato da Filippo II per lavorare al Palazzo Reale di Aranjuez, San Jerónimo el Real, Casa de Campo, Alcázar di Toledo, Casa Real de Aceca, allo scomparso Alcázar di Madrid e alla facciata del convento delle Descalzas Reales di Madrid.
11 Calandra R. in Alessi D., Palazzo dei Normanni, , Palermo, 2006, p. 39 e succ.
12 Dedicata alla sua intelligentissima consorte Dn. Felice Orsini.
13 Di Fede M.S., Architetture e trasformazioni urbane a Palermo nel Cinquecento: la committenza viceregia, 1995, p. 110.
14 Di Matteo S., op. cit
15 Guardina A., Le antiche porte di Palermo, 1732, L. II, p. 69 e pp. 118 e sgg.
16 Il disegno ricorda la porta X/CC illustrata nel Trattato di Sebastiano Serlio, pubblicato trent’anni prima.
Da S. Serlio, Libro straordinario, elaborazione grafica dell’A.
17 1667. Esplode la polveriera alloggiata nell’ex quarto nobile del viceré Colonna e il restauro/rifacimento é curato due anni dopo dall’architetto (e scultore) Gaspare Guercio. Non sappiamo quanto fosse rimasto in piedi e quanto invece aggiunto, anche se la tendenza dell’epoca era il restauro conservativo. “Sono da attribuirgli, quali opere scultoree, i due telamoni su via Colonna Rotta, bugne, mascheroni, lesene, modanature e fregi, nonché i quattro busti (Pace, Giustizia, Verità e Abbondanza), posti entro medaglioni, della facciata che da’ sul corso Vittorio Emanuele. Suo, ancora, il disegno del rivestimento maiolicato della piramide e del cupolino di coronamento della porta, eseguito nel 1669 da Onofrio Cosentino.” Fabio Cosentino in Dizionario Biografico degli Italiani ,v. 60 (2003).
18 Pa 1611/Pa 1679. Architetto e scultore di grandi capacità e successo. Ingegnere ad vitam del Senato. La sua opera più famosa è la Chiesa di S. Matteo a Palermo. E’ anche co-autore del monumento a Filippo IV disegnato in basso a sinistra nella fig. 4. Le sue sculture rompono con la tradizione gaginesca e annunciano un barocco maturo.
19 Cosentino F., Dizionario Biografico degli Italiani , 2003, v. 60.
20 Restano ancora segreti ‘gli impasti’ usati da G. Serpotta nei suoi famosi stucchi.
21 Eisenman P., Inside out, Quodlibet, 2014, p. 191.
22 Rifatto nel 1588 per allinearlo alla Strada Toledo.
23 Acquistato dal Vescovo Rao Grimaldi dopo il fallimento (*) di D. Vincenzo Marullo conte di Condagusta e ristrutturato nel 1604-1613 da Vincenzo Ferriato (**). Nella Piazza Maggiore antistante l’edificio era collocata una fontana attribuita a Domenico Calamech (1566) mentre una statua di S. Michele (1572 o 1589, attribuita ad Andrea Calamech) era (***) nell’adiacente castello dei Morra principi di Buccheri (****).
(*) Prima la fastosa vita alla corte di Napoli, poi il forte indebitamento per armare una galera (comprata a Genova) e partecipare alla Battaglia di Lepanto (1571) a capo della squadra dei ‘venturieri’. Ritornato a Messina aveva rifiutato la sua parte di bottino.
(**) Un quasi sconosciuto ‘Mastro’ di Novara Sicilia (Messina) che tra il 1608 e il 1642 eseguì anche ‘lavori’ nella cattedrale di S. Lucia del Mela (1594). Recenti documenti segnalano un qualche intervento di J. Del Duca. Lo apprendiamo da un mandato di pagamento di un’onza a favore di Domenico Scibilia, che l’ha anticipato a «Iac[op]o Luduca ingengneri per haversi tratenuto un jorno più in detta terra allura che venni per fari lo modello della ecc[lesi]a et revisti l’acqua di detta Università [Comune, ndr] et li anditi quali al spisso soleano guastarsi et spandia detta acqua a mandato delli M[agnifi]ci Iurati die XV° Ianuarij 7a Ind. 1594 et confesso fatta a li atti di notaro Coletta La Mendolia die primo 7bris VIII Ind. 1594» (Corte Giuratoria, vol. 3b, vol. II, f. 366 verso). Biblioteca Comunale di S. Lucia del Mela. M. Tricamo, Un progetto di Iacopo del Duca per la Cattedrale di S. Lucia del Mela (1593 c), 2012.
(***) Proveniente dalla distrutta chiesa di S. Michele. E’ la statua disegnata nel prospetto del Palazzo Marullo? Rimossa dalla nicchia sparita con il rifacimento della terza elevazione?
(****) Girolamo Morra, dall’antichissima famiglia napoletana d’origine gota, per concessione di Filippo IV di Spagna (1627) fu il primo principe di Buccheri.
24 Il bombardamento del 1860 danneggiò gravemente tutti gli edifici compresi tra la chiesa del SS. Salvatore e Palazzo Carini-La Grua.
25 Venezia, 1566. I libri di Serlio hanno avuto una grande diffusione tra gli addetti ai lavori per i quali era professionalmente assai utile possederne una costosissima copia. I suoi disegni non volevano essere madri di nessuno, ma la contestualizzazione storica di modelli architettonici di riferimento.