Porta Reale di Messina, la storia – Parte terza
Leggi anche la parte prima e la parte seconda dell’attenta ricostruzione storica dell’architetto Giuseppe Provenzale
Il Teatro Marittimo o Palazzata
Era una cortina di sontuosi edifici che racchiudeva a forma d’anfiteatro il porto: era lunga un miglio e un terzo (dieci stadi siciliani) e alta (il ‘circa’ è d’obbligo) 10 canne siciliane (c. 21 metri).
Non esistono nè foto nè disegni, solo qualche tela di cui diremo in seguito, e una volenterosa (e possibile) restituzione grafica su rilievi del 1783, utilizzati come base per il concorso di ricostruzione cui hanno partecipato i migliori architetti del Regno e vinto dall’abate Minutoli.
Trent’anni dopo la morte di Calamech (1589) cominciano i lavori del primo Teatro Marittimo universalmente attribuito a Simone Gullì. Una bibliografia scientifica più recente ne mette in dubbio la paternità pur relegandolo al non secondario ruolo di esecutore. Simone Gullì o Jacopo del Duca morto nel 1600? Nel frattempo la Porta Reale è costruita? Sì. E’ nominata da Giuseppe Cuneo nel su manoscritto (Avvenimenti della nobile città di Messina, 2001, Lib. I, p. 26, H e K) che racconta due aneddoti dell’ottimo Vicerè Giron d’Ossuna alle prese con due mariuoli.
Un approfondimento cronologico è d’obbligo e potrebbe aiutare a chiarire, giungendo a un esito sorprendente.
Con un’avvertenza: la datazione degli anni non era così precisa come la s’intende oggi. Non c’erano orologi, calendari e almanacchi; ogni nuovo anno aveva inizi mobili e l’anno stesso lo conoscevano solo i notai perchè quello nuovo veniva dopo l’anno precedente. In più, alcuni usavano una numerazione Anni del Mondo e a partire dal 3554, anno di fondazione della Città (C.D. Gallo, Apparato, Lib. II, p. 30).
All’inizio della ricostruzione storica c’è Genova e due ‘ingegneri’ militari a servizio di Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580): Domenico Ponzello (Ponsello) e Orazio Paciotto. Domenico e suo fratello Giovanni sono stati vivaci autori di alcuni dei più begli edifici della loro città(22).
Qualche anno dopo due nomi uguali si ripetono a Messina: (altro) Emanuele Filiberto di Savoia (1588-1624) Vicerè di Sicilia dal 1622 al 1624 e l’ingegnere Giovanni Antonio Ponzello (Ponsello, ?-1649?), probabilmente parente dell’omonimo precedente, rimasto a Messina anche dopo la morte del vicerè.
M.C. Calabrese nel suo lucido studio Messina e la honra della «Palazzata» nel seicento scrive (pp.170/173-174) :
“Il vicerè Savoia al suo arrivo vuole e promuove la costruzione del Teatro Marittimo (la prima Palazzata) a posto delle mura sul porto (di proprietà cittadina) fatte oggetto di vendita a lotti acquistati dalle più nobili e ricche famiglie cittadine (…) Nel settembre dello stesso anno 1622 il Ponzello redigeva un piano affinchè tutte i palazzi che si dovevano costruire dalla parte della marina fossero conformi dal punto di vista stilistico: «In primis quelli personi che piglieranno il sudetto terreno saranno obbligati fabbricarlo ne la linea che ci sarà assignata o ci farà assignare Ill.mo Senato et fabbricare la facciata della marina infra il termine et conforme il disegno che lì sarà assegnato dal detto Senato con tutte quelle finestre e adornamenti» (E. Mauceri, estratto dagli Atti della R. Accademia Peloritana dei Pericolanti, CXLI, 1922, 30, p. 1). Le finestre e le decorazioni dei palazzi dovevano essere «conforme le modinature et risalti che gli ordinerà l’ingegnero» (S. Di Bella Scalpellini, Marmorari e “Mazzunari” a Messina nel Seicento, in «Archivio storico messinese», vol. 65, 1993, pp. 105-122).
Le ciclopiche mura di difesa erano già facciata dove, dopo aver demolito piccole costruzioni di servizio al porto, si poteva già aprire finestre e balconi e incastrare elementi architettonici di pregio. Il retro era costituito da una spina di edifici da costruire ex-novo o inglobare.
“A cautela dell’intera operazione sappiamo che esisteva un disegno della Palazzata depictum in quandam tela ad presens adfixa in aula tabulae nummulariae”(23). Dunque in una sala della Tavola Pecuniaria esisteva una tela con il prospetto del Teatro marittimo dipinto dal progettista.
Chi?
Questo progetto – quale disegno? – di recente è stato attribuito da Nicola Aricò(24) a Jacopo del Duca e/o Giovanni Antonio Ponzello per la ‘ristrutturazione teatrale’(25).
Per togliere qualche punto interrogativo è necessario fare un altro passo indietro. La Tavola Pecuniaria era alloggiata al piano superiore della Loggia dei Mercanti(26), iniziata nel 1584 (da Andrea Calamech), sopraelevata nel 1589 e completata dieci anni dopo su un progetto multi-funzione(27) di un nuovo ‘ingignieri’ del Senato. Dopo la morte di Calamech, i senatori avevano scelto un nome conosciuto per fama e grandi capacità. Un architetto già allievo preferito di Michelangelo e con committenti della Roma del Papa. Una figura di protagonista indipendente nel complesso panorama dell’architettura romana del Cinquecento. Jacopo Del Duca, che scansa la grande carestia di Roma del 1590, non vede l’ottavo papa della sua vita e comincia il recupero del “ritardo temporale della architettura siciliana, rispetto alla contemporanea esperienza italiana”(28).
Egli(29) sopraeleva la Loggia e progetta ciò che si chiamerà Palazzo Senatorio. “… in questa casa (di D. Andrea Arduino principe di Polizzi, nda) si è fabricata la loggia de’ Mercanti (…) Et nella facciata della marina sopra la cimosa de’ pilastroni tramezzanti gli balconi con 1’inferriate…(30)”
Quindi questa ‘tela’ era al piano terra dell’edificio di cui all’incisione (fig. 16) di F. Sicuro (1768). Tela sicuramente antecedente ad un’altra di Giovan Simone Comandè (1610), ancora oggi visibile presso la miracolosamente intatta chiesa di S. Maria del Buonviaggio al Ringo. Lì, in basso al centro, la Città è rappresentata con una lunga cortina di edifici che costituiscono un unicum paragonabile alla tardo medioevale Ripa di Genova. A quella data il Teatro Marittimo non c’era e questa potrebbe essere copia (o ispiraione) della tela custodita nel Palazzo Senatorio. La data del 1610 non è qualsiasi, ma anticipa l’arrivo del nuovo vicerè D. Pedro Tellez Giron duca d’Ossuna (1611) che trova e solleva una Messina “nella quale i suoi cittadini si perivano di pura fame per non esserci nella città ombra di minimo negotio, per le crude guerre che bruggiavano e dissertavano quasi tutta Europa” (G. Cuneo, Avvenimenti…, Lib. I, p. 26).
Gallo:
Nel 1609 Filippo III Re di Spagna aveva bandito i Mori da tutto il suo regno, perdendo la parte più laboriosa della sua popolazione e facendo vincere la (poco) Santa Inquisizione. Di conseguenza i commerci languivano dappertutto mentre chiese e conventi prosperavano tra intagli d’oro e splendide architetture. Messina varò una nutrita serie di opere pubbliche, tra cui il Teatro Marittimo e la lastricatura della via del porto.
Nonostante la riconosciuta paternità a Del Duca si può ancora dire che la Palazzata sia un progetto di Calamech? Certezza nessuna e qualche ipotesi: la databilità lo ritiene possibile. L’incisione di cui alla successiva fig. 17 e titolata Palazzo Senatorio, pone dubbi sia sull’edificio sia sulle ali che mostrano ben sei edifici del Teatro Marittimo. Il disegno ingloba stilisticamente i nove fornici del piano terra del Palazzo Senatorio e suggerisce come proseguirlo.
Ipotesi:
Che questa incisione sia stata ricavata da quella tela custodita nella Tavola Pecuniaria?
Che sia opera di Giovanni Antonio Ponsello che – incoraggiato dal vicerè – presenta il suo Teatro, mutuato dalla Ripa Maris di Genova?
Concettualmente è la stessa operazione urbanistica che dota il retrostante centro storico genovese di un fronte-mare di una tale alta qualità architettonica definibile ‘teatro’.
Che sia di Calamech? Questo Palazzo Senatorio posizionato gerarchicamente al centro di una struttura uniforme presenta le stesse caratteristiche architettoniche del Palazzo Reale (altezza, numero dei piani, stilemi e finiture) con un ruolo municipale politicamente pari a quello dei Reali. Noi Messinesi non siamo meno di voi.
Approfondendo, nei particolari si rilevano maggiori affinità tra i due Palazzi. Entrambi usano nicchie centinate con finestrelle affiancate da volute a ricciolo mentre una cornice con più scanalature marca i due ordini.
Che sia di Jacopo del Duca? L’immagine della fig. 17 mostra, le stesse nicchie centinate con finestrelle e volute, nove altissime finestre spaziate lateralmente da coppie di lesene doriche bugnate, e nove balconi, tra altrettante coppie di lesene d’ordine jonico, corrispondenti nel piano superiore. Lo stesso schema dell’interno della sua Chiesa di S. Maria in Trivio a Roma.
Confrontando questa stampa con l’incisione di F. Sicuro si notano poche coincidenze. Con il prospetto di J. Del Duca si limitano all’alto basamento e a nove aperture. Qui le sei porte raffigurate in due ordini, in sintesi e con rapporti diversi altezza/larghezza, rassomigliano di più alla Porta Reale di Calamech.
La documentazione disponibile non è sufficiente per pronunciarsi su una paternità del Teatro Marittimo a Calamech, Ponsello, Del Duca, o Gullì. Su tutti pesa l’informazione di quella tela presso la Tavola Pecuniaria, che essendo una ‘vecchia’ preesistenza, si potrebbe anche attribuire a Calamech morto nel 1589. L’autore, per un’opera così impegnativa e senza precedenti nella storia dell’architettura, ha usato un modulo(31) ripetuto 267 volte per ottenere una struttura lineare e continua senza emergenze significative. L’ordine verticale fornice-balcone-finestra-tetto è un segno urbano a scala territoriale che confronta l’orizzonte con una composizione unitaria contenente la città. L’alta cornice d’attico con finestre allineate e le aperture sottostanti completano non più l’intermediazione di frontiera tra natura, architettura e cielo.
Un ripetersi che toglie ansia, una forma di mantra con il tono del mentore che insegna a ogni cittadino:
“Caro cittadino, impara, assimila e leggi per primo la città, tuo luogo dell’anima.”
La qualità del progetto, nonostante il pennello limitato, è chiara nella successiva tela di J. Ruiz, che mostra la Città e il suo porto in un momento di grazia.
Egli ci da’ una rappresentazione a volo d’uccello costruita su vecchie incisioni, con stazione ottica frontale e piani molto ravvicinati Gli edifici sono privi di proporzione e pochi quelli riconoscibili. Da bravo Spagnolo focalizza la veduta sulla Cittadella. Un’imposizione (a pagamento) del Re di Spagna ai Messinesi che si erano voluti ribellare (1674) e che non erano mai stati sconfitti (1678). La Città, dalla dimensione sembra poco più di un villaggio incapace di contenere i suoi centomila abitanti.
La Porta Reale è all’estrema destra della tela, tra l’ultimo edificio del Teatro Marittimo e il Forte S. Giorgio.
Ruiz ne è stato colpito e l’ha annotato. Con lo stesso impatto che ha avuto Ducros e l’autore del disegno riportato da Basile. In mezzo alle macerie di un disastro entrambi hanno saputo riconoscere un ‘pezzo’ di architettura di valore e l’hanno voluto segnalare.
Estrapolando le Porte, confrontando tutte le rappresentazioni fornite nei secoli e ignorando qualche falso storico si possono cogliere delle similitudini.
Via dalle aberrazioni prospettiche e dalle proporzioni, la Porta Reale è inizio e fine della scomparsa Ottava Meraviglia del Mondo, una definizione che oggi sembra poco incredibile e una bizzarria d’altri tempi.
Ma come ogni tomba con foto e breve epigrafe, ‘sotto’ c’è stato dell’altro. Una storia e un’altalena della vita degne d’essere tramandate. Così come accade di generazione in generazione, ricordando sempre meno. Anche ricordando sempre meglio, vista la recente fioritura di studi sulle res perditas di Messina. Oggi, studiosi e cattedratici di valore non si rassegnano alla postura lagnosa degli sconfitti, ma scrivono pagine di intensa tensione propositiva di luoghi, fatti e “delli antique corti delli antiqui huomini” (N. Macchiavelli). Reagiscono e ripropongono.
Ciò non è novità. Nel 1738 è stata ristampata la prima guida cittadina Messina città nobilissima (1606) inserendo nel colofone un’interessantissima rivendicazione:
“Al POPOLO della Nobile, fedele, ed Esemplar Città di Messina
Non ci è sembrata più ragionevole cosa, o fedelissimo POPOLO, che a Voi la presente Edizione tributare; si perchè Voi sempre mai intento a promovere le glorie di vostra Patria, generosamente a vostre spese ci date animo a ristampar quest’Opera; si perchè a niun’altro mai più acconciamente dedicarsi conveniva un libro, che le notizie della origine, e progressi di MESSINA contiene, senonse a Voi, che nel di lei seno vantate nobile, e glorioso il nascimento, e la rendete co’ vostri esemplari diportamenti non soltanto sopra i rari pregi di Natura, e d’arte ond’ella singolarmente risplende, al Mondo tutto illustre, e chiara, ma altresì degna di tutti i più sublimi encomij; quindi noi fidati nel vostro nobile impegno, onde non altramente oprerete per l’avvenire, e più che l’Opera tributata riverenti ci restiamo.
Ossequiosissimi Concittadini
D. Michele Chiaramonte, ed Amico. Antonino Provenzano.”
Note
22 Tra l’altro lo splendido Palazzo Doria-Tursi, oggi sede del Comune di Genova. I Ponzèllo (o Ponsèllo) erano marmorarî e architetti, originarî della Val d’Oneglia e attivi a Genova nel sec. XVI. Domenico (notizie 1549-89), esponente del manierismo genovese, in collaborazione con il fratello Giovanni (notizie 1558-93), eseguì la facciata del palazzo Bianco (1565) e il palazzo Spinola a Cornigliano (1589). Giovanni terminò la villa Grimaldi a Sampierdarena (1567).
23 Il Teatro Marittimo era “dipinto in una certa tela al presente appesa nell’aula della Tavola Pecuniaria”. ASM, notaio Francesco Manna, Vol. III, C. 10. Riportato da Lavinia Gazzè, Disegnare e governare il territorio. L’uso delle carte nella Sicilia d’età moderna, tesi di Dottorato di ricerca in Storia, Università di Catania, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Scienze della Cultura, nota n. 220, p. 156.
24 Aricò N., Un’opera postuma…, op. cit., pp. 172-191.
25 Bottari S., Post res perditas, ed. Edas, Messina, 2005, p. 53.
26 Epigrafe all’ingresso: “UT MERCATORUM UTILITATI CIVIUM ORNAMENTO REGIAE URBIS MESSANAE REGNI PROTOMETROPOLIS DIGNITATI CONSULERETUR…” Buonfiglio Costanzo G., Messina città nobilissima descritta in XIII libri, Venezia 1606.
27 Anche sede della ‘Banca’ dove si conservava il Tesoro cittadino proveniente dalle entrate; dal XIV secolo Archivio dei Notai defunti.
28 Boscarino S., Op. cit. 1981, p. 11. BottariS., Op. cit., 1954, p. 59.
29 Del Duca Jacopo (Cefalù 1520?-Pa 1600), architetto e scultore. P. Samperi lo ritiene nato a Messina (op. cit, 1742, I p. 620). Comunque sia, in senso lato lo si può ritenere Messinese perchè Cefalù faceva parte del Val Demone che aveva Messina come capitale. Dopo aver lavorato con Gagini transita alla bottega di Michelangelo e ne diviene allievo ed imitatore. Il Maestro lo riteneva il suo migliore allievo.
L’elenco delle opere romane è lunghissimo, più breve quelle messinesi degli ultimi anni:
Icona “in marmo di mezzo rilievo” per i Frati Certosini dell’Abbazia di S. Bartolomeo di Trisulti; posta sul portone principale, c. 1561; Cappella nel quartiere delle Guardie Svizzere: forse un qualche suo coinvolgimento; Convento dei Certosini adiacente alla basilica di S. Maria degli Angeli: come sopra; Mascherone sopra il portone della “Porta Pia” (1562-1565); Grande stemma (di Pio IV) con angeli, 1562-65. Nel 1568 completa altre parti architettoniche e la finestra al piano terra; Tabernacolo bronzeo per la chiesa di S. Maria degli Angeli (1565-68), venduto due anni dopo al cardinale Farnese; Tabernacolo offerto a Filippo II per l’Escorial, 1565-70; Monumento funebre ad Elena Savelli (1570) in S. Giovanni in Laterano, dove applica “la lezione michelangiolesca della compenetrazione di più figure architettoniche nello stesso corpo” (S. Benedetti, 1973, pp.76-94). Il fratello Ludovico fuse i rilievi in bronzo raffiguranti un angelo, il ritratto della defunta, le armi e tre tondi (G. Di Marzo, 1883-84, I pp 205 e 799); Porta S. Giovanni (1573-74), voluta da Gregorio XIII come accesso dal nuovo tracciato della Via Campana; Raggiera ed Emblema del monogramma di Cristo sul portale principale della chiesa del Gesù; chiesa e convento di S. Maria in Trivio, 1575; Cappella del SS. Sacramento in S. Maria degli Angeli (1572-74); Lanterna della cupola della chiesa di S. Maria di Loreto al Foro di Traiano (1573-77); Recinto della Colonna di Traiano (1575, distrutto); Partecipazione alla definizione del muro di cinta degli Horti Farnesiani sul Palatino (1577) e la probabile sistemazione del giardino; Restauro della chiesa di S. Maria Imperatrice (1582, demolita); Palazzo del cardinale Luigi Corner (o Corsaro, dal 1777 Palazzo della Stamperia), Via della stamperia, dietro la Fontana di Trevi; (1582-84).
1577-1578. Entra al servizio di Paolo Giordano Orsini; in seguito a ciò è stata ipotizzata la sua presenza a Bomarzo, a Sorano e a Pitigliano.
1580. “Giardino segreto”, presbiterio e soffitto ligneo della chiesa di S. Giovanni Battista a Campagnano (Bracciano).
1582. Inizia i lavori ai due portoni del castello degli Orsini.
1584-1586. Realizza il giardino grande nella Villa Farnese di Caprarola, lavora alla “scala ovata avanti il Palazzo”, ristruttura il prospetto delle cantine, e comincia ad eseguire dei lavori nella cittadina progettando il palazzo Restituti (o Landei). Nel frattempo nel 1585 partecipa al concorso per il trasporto dell’obelisco vaticano. Su incarico del card. Alessandro de’ Medici ristruttura la chiesa romana dei Ss. Quirico e Giuditta. Per lo stesso opera nella Villa Rivaldi, realizzando un giardino con criptoportico antico.
1586. Termina la sistemazione della Villa Mattei al Celio e progetta la cappella Mattei in S. Maria in Aracoeli a Roma, terminandola due anni dopo.
1588. Interventi nei giardini degli Orsini a Sorano e Pitigliano “dove scolpì scene e figure nelle pietre direttamente affioranti dal terreno” (V.S. Dizionario… III p. 94).
Interventi nella Villa dei Mostri e nel Palazzo di Bomarzo (M. Praz, 1953, pp.48-51 e p. 86).
Chiesa dei SS. Quirino e Giuditta (ristrutturazione) e Giardino grande di Villa Farnese a Caprarola, la scala e la piazza davanti il palazzo.
Giardino e casino di Villa Rivaldied altre opere (Via dei Fori Imperiali). La villa era stata dei Silvestri, poi del cardinale Lanfranco Margotti e alla sua morte venduta al Cardinale Carlo Emanuele Pio di Savoia. Come “Villa Pia” al Colosseo: “Il casino di questa villa è parimente disegno di Giacomo del Duca, edificato per ordine del cardinale Lanfranco Margotti, passato poi nel cardinal Pio.” Filippo Titi, Descrizione delle Pitture, Sculture e Architetture esposte in Roma, Roma, 1763.
Villa Strozzi a Monte Mario: “… del signor Duca Strozzi Principe di Forano, dove è un bel casino, disegno di Giacomo del Duca, con giardino ornato di statue. Vi sono due urne di verde antico collocate nel vestibolo, due Veneri, e due gladiatori, e altri marmi antichi, e alcune statue moderne di Pietro Bernini padre del cavalier Lorenzo. Fu prima questo casino de’ signori Frangipani, comprato poi da Leone Strozzi”. Filippo Titi, Op. cit.
Sistemazione di Villa Mattei al Celio (finita nel 1586) e Cappella Mattei in Aracoeli.
1590-1592. Realizza il giardino pensile dei Piceni, di Corradino Orsini, figlio di Vicino Orsini, signore di Bomarzo. Jacopo era entrato “a servizio” della famiglia Orsini nel 1577. Ci sono suoi interventi nelle proprietà di Bomarzo, Sorano, Pitigliano, Bracciano e Campagnano?
Regesto messinese:
1571: partecipa ad un concorso per un monumento celebrativo della Battaglia di Lepanto. Mai realizzato perchè troppo costoso. (Edoardo Tarmati, Una nobile famiglia siciliana giunta a Viterbo nel XVII secolo, la Famiglia del Duca, s.d.)
1589. In un rientro temporaneo a Messina, con A. Calamech sistema la Piazza di S. Maria la Porta (G. La Corte Callier, 1903, p.140) dove nel 1742-45 saranno collocate le Quattro Fontane dei Cavallucci Marini.
1590. Cura i lavori della Loggia dei Mercanti (iniziata nel 1507) e inizia la Cappella del SS. Sacramento della cattedrale 1591. Insieme a C. Camilliani progetta la plendida Tribuna di S. Giovanni di Malta, unica parte della chiesa sopravvissuta a terremoti e demolizioni.
1596. Il Cenacolo della Chiesa Madre di Monforte S. Giorgio; un punto d’arrivo di un percorso sul tema dell’Eucarestia iniziato con il Tabernacolo Farnese e il Tabernacolo per Filippo II.
1599. Esegue il prospetto lato mare del Palazzo Senatorio (danneggiato dal terremoto del 1783 e poi demolito).
Palazzo Baronale a Roccavaldina (ME) (Ibidem).
Monastero benedettino di S. Palcido Calonerò. (Ibidem).
Cappella di Federico Spadafora all’interno della Cattedrale. Gli è attribuita da G. Buonfiglio Costanzo: “…il cui tumulo con le meze statue de’ guardiani fatti di mischi negri, con le facce & mani di marmo bianco, opra fu di Jacopo del Duca Architetto” (Messina città…, 1606, p. 25).
Il Teatro marittimo di Messina. N. Aricò, Un’opera postuma di Jacopo del Duca: il Teatro Marittimo di Messina, in A. Casamento. E. Guidoni (a cura di), L’urbanistica del Cinquecento in Sicilia, Roma 1999, pp. 172-193.
30 G. Buonfiglio Costanzo, Messina … p. 37b.
31 Costo di 2500 scudi. C.D. Gallo, Apparato…, p. 258.
32 La ristampa non è dedicata ad alcun illustre personaggio cui inginocchiarsi, ma al “Popolo” nell’accezione di “universalità dei cittadini”. Un atteggiamento repubblicano e un programma editoriale che individua il suo lettore allo scopo di insegnargli qualcosa. “Tu sei stato questo e devi continuare ad esserlo: noi ti documentiamo la qualità primaria e costitutiva della città “nobile, fedele, esemplar (…) che nel di lei seno vantate nobile, e glorioso il nascimento”.
“Nobile, fedele, esemplar”. Sono aggettivi che s’illuminano l’un l’altro di un significato diverso da quello del dizionario. Nobile non è “aristocratico” ma “grado” culturale capace di rappresentare l’acquisizione di un comportamento virtuoso, fedele nella rappresentazione di se stesso ed esemplare nei rapporti sociali. “Popolo” quindi esemplare, voluto o augurato tale, in una città ancora strutturata in “ordini”, ceti e sublimata in classi. Sperando fortemente in “Voi” che la “rendete co’ vostri esemplari diportamenti (…) al Mondo tutto illustre, e chiara, ma altresì degna di tutti i più sublimi encomij”. Uno subito: “… generosamente a vostre spese ci date animo a ristampar quest’opera”. Un libro inteso non come genere di consumo o diletto ma come necessità culturale e strumento di crescita. La prosa risente della stabilizzazione linguistica italiana d’origine toscana e non presenta tratti e particolarità lessicali o morfologiche; non opera le trasposizioni fonetiche tipiche degli scripta (a). A meno di un “nascimento” d’origine spagnola e di un “senonse” che lascia perplessi. Dividendo in “se nonsi” si potrebbe avanzare l’ipotesi che il solo “nonsi” potrebbe essere il trapanese rafforzativo del “no”.
La metrica della presentazione è l’endecasillabo, unità e profondo codice genetico conglomerato nella lingua italiana. Organizzato nella forma dell’ottava rima, struttura canonica dell’enunciazione e passe-partout per cadenzare ogni cosa, dalle storie religiose a quelle d’amore, sino alla contemporanea cronaca drammatizzata.