Professione monsù: un masterchef in trincea
Storia di Salvatore Ragusa, il palermitano in servizio a casa Lanza, scelto dal duca d’Aosta come supervisore delle mense sul fronte friulano della Grande guerra. Una vita raccontata dal libro digitale di Press University
CARLO OTTAVIANO
Ragusa Salvatore, nato a Partanna Mondello il 18 settembre 1891, alto m. 1,68, capelli castani lisci, occhi cerulei, dentatura sana. È uno dei padri della patria, uno che l’Italia l’ha fatta: al fronte e in cucina. E c’è poco da ridere nell’affiancare il mestiere di cuoco al concetto di unità d’Italia. È proprio durante la Grande Guerra, nelle trincee in Trentino, lungo il Carso o l’-I-sonzo che nasce l’identità culturale italiana (non solo gastronomica) nella condivisione degli innumerevoli ricettari dei soldati al fronte, nelle caserme, in prigionia. «È lì — spiega lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari — che la contaminazione trova un humus popolare autentico, forte, identitaria, comune, così come era comune lo stringersi nella difesa contro i nemici».
Ben venga quindi la pubblicazione del ricettario di monsù Ragusa ad inaugurare l’attività dell’Università di Palermo che con la Palermo University Press si avvenutura nella produzione editoriale (in formato digitale e cartaceo).
La microstoria di Salvatore Ragusa, fante a Gorizia nella guerra ’15-18, diventa quindi “storia alta” degna di essere studiata tanto nelle facoltà umanistiche quanto in quelle di agraria. “Il modo di mangiar bene” inaugura anche la collana Frammenti, schegge di storia riletti e interpretati nei contesti attuali.
Il ragazzo di Partanna si era formato nelle cucine di casa Lanza ai Colli e proprio l‘aver servito nella potente famiglia palermitana che vantava senatori e deputati lo abilitò a coordinare la mensa ufficiali del comando della III armata. Fu personalmente Sua Altezza Reale il Duca di Aosta ad affidargli l’incarico di «ispezionare tutte le mense per evitare avvelenamenti, riguardo alle stoviglie ed il confezionamento del mangiare».
Sul fronte friulano porta quindi la professionalità dei monsù siciliani, i maestri di casa, in grado di coordinare l’intera cucina, dagli approvvigionamenti alla scelta degli abbinamenti finali passando per quello che oggi chiameremmo controllo di qualità. «Un monsù — spiega nella ricca introduzione al volume Antonino Giuffrida, associato di storia moderna — non è soltanto un tecnico della complessa e delicata funzione di cucinare una pietanza ma, nello stesso tempo, è portatore di una tradizione per la valorizzazione di materie prime, di condimenti, di uno stile di presentazione dei piatti, di una cultura alimentare della quale si fa nello stesso tempo interprete e motore di propagazione».
Ragusa, in particolare, era l’erede della secolare abitudine dei nobili siciliani di affidarsi a grandi cuochi. «Il Seicento — ricorda oggi Giuffrida — è dominato da maestri di casa spagnoli che redigono i loro testi in castigliano, nel Settecento fa irruzione l’italiano mentre negli anni Novanta del Settecento fa prepotentemente il suo ingresso il francese».
Le cucine di Villa Scalea nella piana dei Colli erano state la palestra professionale di Ragusa sotto l’alta vigilanza della principessa, citata nel libro a proposito dei “pagnottini alla francese” «come li vuole la signora Scalea». E fa quasi tenerezza pensare al fante cuciniere che sforna manicaretti per i soldati pensando alla padrona siciliana.
Salvatore Ragusa conquista così il palato dell’intero Stato maggiore con i baccalà alla pastella, le uova alla monacale, la torta alla parigina. Nel suo ricettario troviamo piatti nazionali, siciliani e di altre regioni, a testimonianza dell’uso in trincea — ma più spesso in carcere quando si veniva catturati dai nemici — di scrivere libri di cucina con ricette tipiche delle zone di provenienza, esaltando il confronto reciproco sulle diverse tradizioni culturali e culinarie di tutta Italia.
Finita la guerra, Ragusa (che comunque viene ferito gravemente due volte e che aveva già servito la patria in Libia) sente l’esigenza di evitare che la sua esperienza si disperda e così redige il ricettario, dividendo le pietanze secondo le portate, con molti riferimenti alla stagionalità, suggerendo soluzioni in caso di mancanza di ingredienti e infine indicando perfino gli ospiti che hanno apprezzato il piatto. Il documento è straordinario e bene ha fatto la Palermo University Press a riprodurre anche alcune pagine del manoscritto. Perché nulla ha da invidiare agli attuali ricettari tanto alla moda e perfino i disegni avvicinano il cuoco-soldato del secolo scorso ai grandi chef di oggi. Avete presente il tormentone sull’impiattamento di cui blaterano i giudici di Masterchef? Il nostro disegna i dettagli della mise in place perfino di piatti “banali” come l’uovo o più complessi come il tronchetto di pan di Spagna, reggendo bene il confronto con la realtà gastronomica attuale.
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Le sue ricette accompagnate dai disegni illustrano anche le regole dell’impiattamento anticipando le star della tv
Fonte: Carlo Ottaviano, Storia di Salvatore Ragusa, il palermitano in servizio a casa Lanza, scelto dal duca d’Aosta come supervisore delle mense sul fronte friulano della Grande guerra. Una vita raccontata dal libro digitale di Press University, La Repubblica, 07/10/2016, Palermo.