Questo ucciderà quello. Il libro ucciderà l’edificio
Una lunga e inattesa digressione in Notre-Dame de Paris, rivela i timori di un ecclesiastico del XV secolo, salvo poi rivelarsi un’interessante riflessione sull’invenzione della stampa.
Il II capitolo del V libro di Notre-Dame de Paris
Nel celebre romanzo di Victor Hugo (Besançon, 1802 – Parigi 1885), Notre-Dame de Paris, passa sovente inosservato il II capitolo del libro quinto, Questo ucciderà quello. Pubblicato nel 1831, il romanzo, dal quale sono stati tratti musical e lungometraggi, narra le vicende intrecciate di Quasimodo, più noto come il gobbo di Notre-Dame, Esmeralda, una giovane cresciuta in una comunità zingara, e l’arcidiacono della cattedrale parigina, Claude Frollo. Tralasciando le vicende dei personaggi testé citati, ambientate nella Parigi del 1482, al tempo del re Luigi XI, è interessante fare riferimento al capitolo citato sopra. Si tratta di una lunga digressione sulle «enigmatiche parole» dell’arcidiacono: «Questo ucciderà quello. Il libro ucciderà l’edificio». [1] Hugo fa apparire inizialmente questo pensiero come il timore di un ecclesiastico contrario alla nuova invenzione della stampa a caratteri mobili: secondo Frollo, l’avvento di questa innovazione tecnologica “ucciderà” la chiesa. Il torchio luccicante di Gutenberg è visto come l’ariete che farà crollare la Torre. Continuando nella lettura del capitolo, la questione si fa tuttavia interessante e merita di essere seguita. Il romanziere la chiama una visione filosofica ed essa non è più il frutto delle paure conservatrici di un prete, ma il pensiero dell’artista e del sapiente.
L’architettura, grande libro dell’umanità
L’introduzione della stampa influisce sulla conoscenza e sul pensiero umano e se quest’ultimo cambia forma, anche il modo d’espressione muta. Non è quindi soltanto una contrapposizione tra stampa e chiesa, ma anche tra stampa e architettura, intese come forme d’arte, mezzo di comunicazione e forma di memoria. È questa l’idea di Hugo. L’immagine forte del libro di pietra contro il libro di carta è quella del grande scontro che prende avvio a metà del XV secolo. Fino al giorno in cui uscì la prima copia della Bibbia a 42 linee, realizzata nel 1453 a Magonza, l’architettura era stata il grande libro dell’umanità, l’espressione principale dell’uomo. Essa è nata come la scrittura, da semplice segno ad alfabeto, da parola a poema. Così l’architettura, da semplice pietra poggiata a pietra alzata, da tumulo a edificio. Essa diventa via via sistema complesso con il progredire del pensiero umano, proprio come la scrittura. Il segno, come la pietra, rispondeva alla necessità di fare memoria. Non è affatto casuale che la parola latina monumentum – come ricorda Le Goff nel suo celebre Documento/Monumento – vada collegata «alla radice indoeuropea men che esprime una delle funzioni fondamentali della mente (mens), la memoria (memini). Il verbo monere significa ‘far ricordare’, donde ‘avvisare’, ‘illuminare’, ‘istruire’. Il monumentum è un segno del passato». [2] Per gli antichi romani, inoltre, monumentum è nello stesso tempo opera d’architettura o di scultura e monumento funerario, laudatio funebris.
L’architettura ha avuto tante forme di linguaggio
Hugo insiste tuttavia nell’esaltare l’importanza dell’architettura e della sua espressione: l’edificio non è soltanto contenitore del verbo, ma verbo stesso, non «semplice rilegatura del libro santo, era il libro santo stesso». Non sono solo la forma, la pianta e la struttura dell’edificio a rivelare il pensiero che rappresentano. Anche il luogo è fondamentale; la collocazione scelta esprime armonia – si pensi ai teatri greci –, sacralità – si guardi all’Acropoli –, alla centralità – si intendano le chiese, i campanili nel Medioevo. L’architettura, la grande scrittura del genere umano, non è ferma, essa muta quando muta il mondo. Questo avviene con molta evidenza nell’Europa dopo l’anno mille. Alla chiesa romanica succede la cattedrale gotica. Compaiono i palazzi delle città. Non v’è più solo l’autorità del clero, adesso a costruire sono il repubblicano, il borghese, il mercante. L’architettura assume nuove parole e parla il linguaggio della libertà, o meglio delle libertà, partecipando a quel processo di emancipazione dalla religione, sebbene l’edificio avesse sancito la superiorità di Dio e dei suoi servi. Nulla che non è stato pensiero non è stato anche edificio; le idee degli uomini sono state tradotte in pietra. Questo avviene perché ogni pensiero, sia esso religioso, filosofico o politico, ha come interesse quello di perpetrarsi, lasciare traccia. Il manoscritto non è duraturo e resistente quanto l’edificio.
L’invenzione della stampa è il più grande evento della storia
Eppure, nel XV secolo cambia tutto. I caratteri di piombo di Gutenberg sostituiscono le lettere di pietra. L’invenzione della stampa è il più grande evento della storia. Con essa cambia l’espressione del pensiero: da duraturo e resistente, esso diviene immortale, poiché sotto forma di stampa il pensiero vola alto, diviene «inafferrabile, indistruttibile. Si confonde all’aria». Hugo paragona il pensiero sotto forma di stampa a «stormo di uccelli» che «si sparge ai quattro venti e occupa contemporaneamente ogni punto dell’aria e dello spazio». [3] Nel secolo della stampa insorgono i sintomi della lunga malattia dell’architettura. Per l’autore la decadenza dell’architettura si chiama Rinascimento, il momento in cui l’arte non esprime più «la società per farsi miserevolmente arte classica, da gallica, europea, indigena diventa greca e romana, da vera e moderna pseudoantica». [4] L’architettura è isolata, non è più espressione universale. Questo isolamento ingrandisce ogni cosa, l’architetto può andare per la propria strada: ecco Michelangelo, ecco Raffaello, ecco Jean Goujon. Nel frattempo, è la stampa a rubare la scena. Si spezza l’unità religiosa dell’Europa. Hugo è categorico: «Prima dell’invenzione della stampa, la Riforma non sarebbe stata altro che uno scisma, la stampa ne fa una rivoluzione». [5] Il nerbo che Lutero utilizza per sferzare Roma è la stampa. Avviene quindi una trasmigrazione: l’anima del corpo morente dell’architettura si riversa nella presenza vigorosa della stampa. Le colossali energie e gli ingenti capitali si riversano sul libro a stampa, sugli opuscoli, sui pamphlet, sulle riviste. Quanti fogli si possono stampare con i denari necessari a costruire una cattedrale?
Ormai l’architettura è morta, uccisa dal libro stampato
E dopo Lutero, sopraggiungono Galilei e Voltaire a picconare l’architettura. [6] Gli edifici della tradizione e della cultura sono scossi fino a crollare sotto i colpi dell’ariete del pensiero, della ragione, del metodo scientifico. Dietro a ciò v’è la stampa. Senza confini, il libro può andare lontano. Ormai l’architettura è morta, uccisa dal libro stampato. La Bibbia di carta ha sostituito la Bibbia di pietra. Il torchio è diventato pietra d’angolo e ogni spirito, ogni pensiero è creatore, muratore, «l’artigiano, il fattore, il primo poeta del mondo, imitatore dell’essenza immutabile». [7] Tutte le essenze diventano tutte le cose, e tutte le cose sono imitazioni di idee. Ogni libro è edificio. Allora non si può negare la grandezza della stampa, «edificio colossale»: se si posizionassero uno sull’altro i libri, fino ad oggi stampati, si supererebbe di gran lunga la distanza che va dalla Terra alla Luna. Tuttavia, Hugo non si riferisce a questo tipo di grandezza: «quando cerchiamo di raccogliere nella nostra mente un’immagine totale dell’insieme dei prodotti della stampa fino ai giorni nostri, questo insieme non ci appare forse come un’immensa costruzione che poggia sul mondo intero, alla quale l’umanità lavora senza posa e la cui testa mostruosa si perde nelle brume profonde dell’avvenire? È un formicaio d’intelligenze. È l’alveare nel quale tutte le immaginazioni, api dorate, confluiscono col loro miele. L’edificio di mille piani. Qua e là vediamo aprirsi su quelle rampe le caverne tenebrose della scienza che s’intersecano nelle sue viscere. Ovunque sulla sua superficie l’arte fa lussureggiare allo sguardo i suoi arabeschi, i suoi rosoni e i suoi merletti. Qui, ogni opera individuale, per quanto capricciosa e isolata possa apparire, ha il suo posto e il suo risalto». [8] Questo è l’immenso potere del torchio, mantice gigantesco che soffia sul fuoco intellettuale della società, che «vomita incessantemente nuovi materiali per la sua opera». [9]
È l’edificio della stampa che cresce, ipertrofico e che si innalza come nuova Torre di Babele, in cui innumerevoli voci, di lingue e di idee si confondono e si perpetuano. E cosa ucciderà questo? Cosa ucciderà il libro? L’Internet? Oppure quest’ultimo è solo un’ampia stanza dell’edificio?
Pietro Simone Canale
Note in appendice:
[1] V. Hugo, Notre-Dame de Paris, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, 2003, p. 209.
[2] J. Le Goff, Documento/Monumento, Torino, Enciclopedia Einaudi, 1978, vol. V, pp. 38-43.
[3] V. Hugo, Notre-Dame de Paris, cit., p. 218.
[4] Ivi, p. 219.
[5] Ibidem.
[6] Si consiglia a tal proposito S. Landi, Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna, Bologna, Il Mulino, 2011.
[7] S. Lo Bue, La Musa Drogata. Saggio sulle origini della poetica, Milano, Franco Angeli, 1999, p. 97.
[8] V. Hugo, Notre-Dame de Paris, cit., pp. 223-224. [9] Ibidem.