Racconti di confine
Posted On 26 Gennaio 2017
0
901 Views
AURELIO MUSI
Nell’ultimo libro di Marco Meriggi, Racconti di confine nel Mezzogiorno del Settecento (Il Mulino 2016), l’autore analizza il rapporto fra i più incisivi interventi dello Stato nella seconda metà del XVIII secolo, tesi a meglio definire e formalizzare le frontiere, e le comunità locali. Il termine “confine” è qui da intendere ad un duplice livello.
Il primo è spaziale, territoriale. Ma è da assumere non a senso unico, dall’alto della più evoluta organizzazione politica dello Stato della Chiesa e del Regno di Napoli, a cui appartengono le terre “border line” prese in considerazione in questo libro. E’ da intendersi altresì come percezione del vissuto quotidiano. Il confine condiziona cioè i comportamenti delle popolazioni che lo abitano e scandisce persino i mutamenti stagionali. Non dunque un procedimento microstorico caratterizza il metodo e la scrittura del testo, ma l’attenta osservazione della reciprocità, della relazione fra alto e basso, per così dire. Laddove sembra di poter arguire che una maggiore capacità di intervento istituzionale, caratterizzante la più evoluta forma dello Stato moderno nel tardo Settecento, consenta la disponibilità di più fonti e documenti dal centro, quindi l’ascolto di più voci dalla periferia e dai sudditi. Meriggi racconta facendo parlare le fonti che, naturalmente, come tutti i documenti storici, non sono innocenti e sono essi stessi risultato di mediazioni.
Il secondo significato di “confine” è disciplinare. L’autore si sforza di mettere in discussione steccati e di muoversi lungo la linea mobile dello spazio fra storia e antropologia.
L’oggetto del libro è la costruzione del confine come spazio naturale durante quell’età di transizione che alcuni giuristi hanno definito come il passaggio dallo Stato giurisdizionale alla Monarchia amministrativa, preparazione dello Stato di diritto. Si tratta cioè di un’epoca in cui non si è ancora affermato il monopolio del potere pubblico, pur essendo chiara una linea di tendenza verso questa direzione. In essa convive una molteplicità di poteri e giurisdizioni concorrenti sullo stesso territorio e su materie, competenze simili. Collisioni e collusioni si alternano così secondo modalità che non configurano ancora la prevalenza netta di un potere su un altro. Naturalmente questa condizione è ancor più complessa in aree di confine come quelle che interessano le regioni tra Stato della Chiesa e Regno di Napoli. Così Stati, comunità, governi a vari livelli, capitali e terre periferiche formano la pluralità di soggetti che entrano in conflitto o negoziano: e l’infragiudiziario è per un lungo periodo dell’età moderna il modo prevalente di negoziazione e regolazione dei conflitti in queste aree.
A partire dalla metà del Settecento il processo di “avocazione al centro” delle materie confinarie segna un passaggio importante non solo nei territori contesi fra Regno di Napoli e Stato della Chiesa, ma anche in altre aree italiane ed europee. Nel 1793 la missione affidata dallo Stato napoletano al geografo Antonio Rizzi Zannoni, tesa a realizzare, attraverso strumenti più precisi di rilevazione cartografica e inchieste sul territorio, una nuova ricognizione ufficiale dei confini, è parallela ad un’altra missione analoga affidata al geografo pontificio Ricci. L’incertezza dei confini naturali induce ad assumere come priorità e parametri privilegiati le esigenze militari: e così il confine si definisce in chiave di frontiera.
Fra storia e antropologia Meriggi racconta i comportamenti delle comunità confinarie, il loro “immaginario spaziale” dai ritmi e dalle modalità mobili assai differenti dallo spazio amministrativo.
Stato e comunità, dunque, sono i soggetti necessariamente incrociati e simultaneamente considerati in questo libro di Meriggi. Non si comprendono perciò alcune indulgenze dell’autore verso polemiche di moda, per così dire, come quella contro il cosiddetto “paradigma statalista”, reo di vedere dappertutto i fantasmi del potere centrale e di penalizzare uno sguardo storico dal basso.
Né appare necessario il riferimento a presunte svolte storiografiche: “turn” è diventato forse uno dei termini più inflazionati nel linguaggio storico recente (linguistic, spatial, ecc.). Le pagine migliori del libro in questione sono quelle in cui Meriggi fa tesoro della sua esperienza di studioso delle istituzioni politiche, applicandola ad un oggetto che, “ratione materiae”, richiede l’ausilio di altre discipline.