Quando la convivenza forzata si trasforma in violenza domestica Il numero 1522 risponde alle richieste di aiuto
Dall’inizio della quarantena sono diminuite le chiamate ricevute alla help line 1522, ma i centri antiviolenza lavorano per fronteggiare l’emergenza
“Restate a casa”: un monito per la popolazione contro la diffusione da contagio Covid-19, ma una condanna per quelle donne vittime di una violenza silenziosa che si consuma proprio all’interno delle mura domestiche.
Dall’inizio della quarantena sono diminuite le richieste di aiuto ai centralini antiviolenza. A confermarlo è anche la presidente dell’associazione Le onde onlus di Palermo, Maria Grazia Patronaggio.
«In media il nostro centro riceve, all’anno, circa 450 richieste di aiuto da parte di donne vittime di maltrattamenti. Negli ultimi tempi – ha affermato la Patronaggio – con l’imperversare dell’epidemia, sono diminuite. Questo non riguarda solo noi, è un problema nazionale».
Il fatto che diminuiscano le richieste di intervento non vuol dire che le donne stiano tranquille all’interno delle abitazioni. La convivenza prolungata ha infatti comportato la presenza forzata del partner in casa, facendo venire meno così la possibilità di poter effettuare le richieste di aiuto e di fatto soffocando nel silenzio di una stanza la violenza subita.
A confermare come la casa non sia per tutte un luogo rassicurante sono i dati forniti dalla polizia nell’ultimo reportage della campagna “Questo non è amore”: nell’82% dei casi, infatti, chi fa violenza su una donna non bussa, ha le chiavi di casa.
La rete antiviolenza non si ferma e il 1522 è il numero di pubblica utilità promosso dalla presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per le Pari Opportunità – per dare il primo soccorso alle donne che lo richiedono. Il numero è gratuito, attivo 24 ore su 24 e pronto ad accogliere la richieste pervenute sono operatrici specializzate. L’operatività dei centri invece ha subito dei rallentamenti dovuti all’attuazione dei decreti governativi e delle ordinanze sindacali che ne hanno ordinato la temporanea chiusura. Ma questo non ha fatto abbassare la guardia alle addette ai lavori, che continuano a definire idonei programmi di protezione per fronteggiare al meglio le richieste di intervento in questo delicato periodo di quarantena.
«Abbiamo visto come siano diminuite le richieste di primo aiuto, ma sono rimaste costanti le chiamate delle donne già seguite dal centro – ha sottolineato Mariagrazia Patronaggio – che naturalmente continuano a ricevere la stessa assistenza».
L’associazione “Le Onde Onlus” rientra nel grande circuito Di.Re – Donne in rete contro la violenza – e dal 1992 opera in prima linea a difesa delle donne vittime di maltrattamenti, salvando fino ad oggi 6.500 vite da brutali destini di violenza per mano maschile.
Seguendo uno schema d’azione vincente e ragionato, l’associazione permette l’attivazione di un immediato sostegno concreto sin dalla prima chiamata all’operatrice anti-violenza. L’approccio telefonico infatti non è un mero supporto psicologico ma l’inizio di un percorso che si sviluppa nei colloqui, si arricchisce delle consulenze legali e si struttura in progetti individuali di vita, definiti in rete con i servizi, costruendosi nel tempo il cambiamento di quella singola donna in relazione con l’operatrice.
Le operatrici lo chiamano “valutazione del rischio” ed è un collaudato strumento che consente, tramite precise domande, di comprendere il livello di rischio che corrono le donne e offrire così un adeguato piano di protezione.
Il loro modo di operare con le donne si basa quindi sulla relazione, come racconta la presidente, e questo significa avere contatti, potersi vedere, poter parlare di presenza. Tutte azioni messe a repentaglio dall’attuale periodo di isolamento forzato. «Quando tutto ciò viene meno perché si devono ridurre i contatti di presenza – ha spiegato la Patronaggio – viene meno questa base, per cui ci stiamo organizzando per dare un importante segnale: continua, cioè, la presenza delle operatrici all’interno delle strutture».
Le Onde Onlus, infatti, gestiscono anche due case rifugio a indirizzo segreto per chi segue un percorso per uscire dalla violenza e le difficoltà del momento si ripercuotono nell’assistenza fornita: «Ci sono donne che sono dentro e non possono uscire, operatrici che lavorano con loro e non avere presidi sanitari adeguati nel numero è un serio problema», conclude la Patronaggio.
Tra le associazioni attive sul fronte del contrasto di ogni forma di discriminazione e violenza sulle donne, anche il Comitato Non una di meno Palermo. Nonostante la chiusura temporanea dello Spazio Rosalia – un ponte tra i consultori e i centri antiviolenza – rimane operativo tramite le pagine social.
«Divulgare i saperi delle donne è uno dei nostri principali obiettivi – dice Claudia Borgia – e crediamo che, in un momento critico come questo, condividere la storia delle donne sia fondamentale per creare reti di solidarietà forti». Con questo spirito lancia così l’hashtag #sisterioleggoperte, una rubrica con lo scopo di raccogliere titoli di libri, film o serie tv che raccontino le lotte e le storie delle donne.