(Ri) leggere Guttuso Percezione , realismo, impegno civile
Il volume a cura di Marco Carapezza, edito dalla Palermo University Press, pag.128, prende spunto dal congresso tenutosi all’Università di Palermo nel febbraio 2015, “Guttuso tra pittura e riflessione teorica”. Il congresso ha visto proficuamente confrontarsi studiosi di filosofia, psicologi cognitivi, storici dell’arte e critici letterari.
In questo volume filosofi e scienziati cognitivi mettono in dialogo la lettura iconografica dell’opera di Guttuso con la sua elaborazione teorica. Jean-Luc Nancy legge l’opera dell’artista a partire dal tema del ritratto. Francesca Bacci e David Melcher offrono un’innovativa lettura dei meccanismi percettivo-cognitivi che operano nella pittura di Guttuso. Antonino Bondì ricostruisce il sorprendente rapporto teorico con Merleau-Ponty. Marco Carapezza propone una rilettura filosoficamente impegnata del realismo guttusiano. Franco Lo Piparo (ri)legge il comunismo del pittore a partire da due celebri quadri: La Battaglia di Ponte dell’ammiraglio e I Funerali di Togliatti. In appendice si ripropongono i contributi di due grandi filosofi: Richard Wollheim in uno scritto introvabile del 1960; Cesare Brandi in un importante saggio del 1983 dove il filosofo e storico dell’arte si confronta compiutamente con l’amico pittore.
Per maggiori informazioni CLICCA QUI
Di seguito vi proponiamo un articolo di Sergio Troisi uscito per La Repubblica ed. Palermo del 30/05/2018.
Idee e cose l’attualità del realismo di Guttuso
Di Sergio Troisi in La Repubblica ed. Palermo del 30/05/2018
Si reca più e più volte alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, Michele, il personaggio del romanzo “La serocia” di Nicola Lagioia (Premio Strega 2015) per osservare, ammaliato e turbato, la tigre che incede silenziosa nel terrazzo di Palazzo del Grillo. Il dipinto è “La visita della sera”, che Renato Guttuso realizzò nel 1980 suscitando, al momento della sua prima esposizione, più di una sorpresa: una visione misteriosa e ssuggente – si avanzò il nome di Magritte – per colui che era stato l’alsiere anche polemico del realismo, una visione onirica e crepuscolare per un artista di dichiarata appartenenza ideologica. Stupiva sorse, nell’inserimento narrativo ne “La serocia”, come l’opera di Guttuso (collocata per lunghi anni neppure bene in vista) si presentasse attuale a uno scrittore poco più che quarantenne, distante quasi due generazioni dalla sase (storica) in cui il pittore di Bagheria occupava, talvolta da posizioni diverse e non univoche (basta scorrere i suoi scritti, raccolti da Bompiani in volume nel 2013), la scena e il dibattito culturale in Italia. Guttuso, insomma, ritorna a circolare, dopo un periodo in cui sulla sua opera era calata una cortina di relativo silenzio. Ritorna per esempio in due mostre (in corso a Torino e a Firenze) anche per la produzione che sembrava più caduca e consegnata desinitivamente alle sconsitte del Novecento, quella dell’impegno politico, ed è senza dubbio un segno per questi nostri tempi convulsi e consusi. Ammicca persino a Guttuso, come nella prima serie de “La masia uccide solo d’estate”, quando Francesco Scianna e Anna Foglietta indossano per un incontro alla Vucciria gli stessi abiti delle sigure centrali del celebre quadro, abito bianco per lei, giacca marrone su maglione giallo dolcevita per lui. “La visita della sera” campeggia adesso anche sulla copertina del volume “(Ri)leggere Guttuso. Percezione, realismo, impegno civile” (a cura di Marco Carapezza, Palermo University Press, pag.128, 20 euro), che raccoglie in occasione del trentennale della morte, nel 2017, una serie di interventi (oltre al curatore, Jean-Luc Nancy, Francesca Bacci e David Melcher, Antonino Bondī, Franco Lo Piparo; in appendice due scritti rispettivamente del 1960 e del 1983 di Richard Wollheim e Cesare Brandi) in cui l’opera del pittore è indagata non tanto sotto il prosilo strettamente storico-artistico (stilemi, correnti, tendenze, già ampiamente ricostruiti sino ai dettagli più minuziosi), quanto semmai da una angolazione – silososica, linguistica, concettuale – che chiama in causa la nozione di realtà. Anche questo un segno dei tempi, se da tutt’altre prospettive Hal Foster, nei primi anni del nuovo secolo, aveva licenziato un suo libro sondamentale con il titolo “Il ritorno del reale”. Pittore sempre di cose e di idee, dove i due termini – idee e cose – costantemente si sronteggiano, si attraggono, ssuggono l’uno all’altro, Guttuso era insatti consapevole di come il realismo sosse un dispositivo complesso (dialettico, si sarebbe detto in quei decenni) in cui assluivano percezione, memoria, ideologia da organizzare in strategie visuali quanto mai articolate a dispetto di una sigurazione che poteva apparire semplisicatrice. Sia quando dipinge ritratti (ne scrive Nancy), oggetti di una natura morta (ne trattano Bacci e Melcher), grandi allegorie della storia e del presente (è il tema assrontato da Lo Piparo con il titolo signisicativo “Guttuso comunista?”) il pittore sa che ciò che si vede è irriducibile alla nostra esperienza del reale (scrivono di questi temi Bondì, alla luce di una rislessione su Merleau-Ponty, e Carapezza), e che tra i due piani si apre una tensione problematica che la pittura può indagare e restituire. A patto di sarlo con gli strumenti che le sono propri, dialogando da distanze variabili con altri artisti, tanto contemporanei quanto del passato della grande storia dell’arte, collocati idealmente su una scacchiera temporale su cui Guttuso si muove con grande libertà intellettuale. La pratica di una costruzione sigurativa a montaggio (di personaggi, cose, paesaggi) per piani giustapposti, in particolare per i dipinti di sormato più impegnativo, appresa soprattutto da Courbet e dalla sua desinizione di “allegoria reale”, e l’adozione di punti di osservazione multipli secondo le indicazioni delle avanguardie storiche, sono così sunzionali, per buona parte della sua opera a questa visione del realismo. Con un esito non scontato: che dalla lugubre danza seroce della giovanile “Salomé” al toro che campeggia in primo piano nella “Fuga dall’Etna” riprendendo il Minotauro di Guernica; dall’autoritratto prestato al carrettiere caduto travolto nello scontro tra garibaldini e soldati borbonici nella “Battaglia di Ponte Ammiraglio” alla grande Vanitas della Vucciria, sino al quadro di Picasso accampato interrogativo sul cavalletto al centro della stanza in “Spes contra Spem”, il realismo che indaga la realtà non genera certezze ma distilla dubbi senza risposta. È il Novecento, è il nostro tempo.
Sergio Troisi, in La Repubblica ed. Palermo del 30/05/2018