“Richelieu. Alle origini dell’Europa moderna”: le lezioni dello storico siciliano Rosario Romeo
Un assistente di Rosario Romeo, Mario Signorino, che lasciò la carriera accademica per dedicarsi al giornalismo e alla politica attiva nel Partito Radicale, raccolse le dispense delle lezioni universitarie di Storia Moderna, tenute dal grande storico siciliano nell’ateneo romano durante l’anno accademico 1963-64 e 1970-71. Il tema di quelle lezioni fu Richelieu. Ora Guido Pescosolido ne cura un’organica edizione (R. Romeo, Richelieu. Alle origini dell’Europa moderna, Donzelli, Roma 2018, pp. 168, 28 euro), a cui premette un illuminante introduzione, tesa a ricostruire il contesto in cui nacque, gli interessi di Romeo per la storia medievale e moderna, il posto che egli occupa nella storiografia modernistica italiana, i principali passaggi delle lezioni.
Naturalmente lo stile di queste lezioni risente delle sue finalità didattiche. Non è nemmeno lontanamente paragonabile alla brillantezza e alla profondità delle opere che hanno reso famoso Romeo, come Il Risorgimento in Sicilia e la biografia di Cavour, e nemmeno al saggio sulle Scoperte geografiche nella coscienza europea del Cinquecento.
Quanto al contenuto e all’orientamento storiografico a cui si ispira, essi vanno attentamente storicizzati. La prospettiva politico-diplomatica e l’analisi delle relazioni internazionali sono prevalenti secondo lo spirito storiografico del tempo, per così dire, anche se non si tratta mai di pura descrizione di personaggi ed eventi, né di fredda registrazione di histoire bataille. A caratterizzare la scrittura e il merito della trattazione è piuttosto il gusto per una storia politica fatta di fini osservazioni sui ritratti dei personaggi, di acuti giudizi sulla dialettica del potere interno agli Stati e internazionale, sul rapporto fra il breve periodo della congiuntura compresa fra la morte di Enrico IV e l’ascesa al potere di Richelieu e la strategia di più lungo periodo della politica francese in Europa. Una prospettiva, insomma, che, mentre conferma gli indirizzi tradizionali, apre comunque ai più aggiornati orientamenti della storia politica che solo in anni recenti sono andati affermandosi.
La tesi principale di Romeo è la seguente: Richelieu comprende precocemente la relazione fra politica interna e politica internazionale; opera insieme per il consolidamento e la centralizzazione del potere assoluto entro lo Stato e per la costruzione dell’egemonia europea della Francia tesa ad insidiare il predominio della Spagna. Strumenti privilegiati sono l’uso dei protestanti in funzione antiasburgica, il controllo dei confini e la politica delle “porte” per “entrare in tutti gli Stati vicini, per poterli garantire dalle imposizioni della Spagna quando se ne presenterà l’occasione”, per usare le stesse parole del primo ministro nella relazione che invia al sovrano nel 1629 dopo la presa de La Rochelle. Richelieu è quindi personaggio decisivo all’origine dell’Europa moderna e dell’egemonia non solo politica, ma anche culturale, della Francia nei due secoli successivi.
Indovinata è la struttura che il curatore ha scelto per riproporre il testo: titoli tematici dei capitoli che offrono immediatamente la percezione e la comprensione del loro senso; rispetto sostanziale della linea logica della sequenza delle lezioni di Romeo.
La densa introduzione di Pescosolido spiega innanzitutto con straordinaria chiarezza la inattualità, per così dire, di Romeo che “appartenne a quella categoria di storici, oggi del tutto estinta, in possesso di una cultura e di una metodologia della ricerca storica che permettevano loro di affrontare tematiche economiche, sociali, politiche e ideologiche lungo un arco di tempo esteso dal Medioevo all’Età moderna e contemporanea e in un orizzonte geografico non solo italiano, ma anche europeo ed extraeuropeo”.
Pescosolido analizza quindi la letteratura che fino al tempo di Romeo si era accumulata su Richelieu, caratterizzata dalla doppia faccia del mito negativo e positivo del ministro francese: come “genio diabolico del male assoluto” e “genio politico votato al bene del re e della patria”. Il curatore richiama le fonti utilizzate da Romeo: il Testamento politico, le memorie di Richelieu, le relazioni degli ambasciatori veneti, la più autorevole storiografia internazionale.
Si sofferma poi giustamente sul ritratto proposto da Romeo: Richelieu come “uomo sicuramente di precoce, smisurata ambizione e cultura politica, ma all’inizio inesperto e non all’altezza della complessità dei problemi che la Francia degli anni dieci e venti del Seicento si trovava a vivere. Un uomo che cercava la sua strada e costruiva gradualmente la propria fortuna e la strategia vincente per il re e per la Francia, facendo all’inizio anche passi falsi, subendo sconfitte e correndo rischi che avrebbero potuto costargli la carriera e la vita”.
Più difficile risulta invece seguire Pescosolido nell’accoglimento senza se e senza ma di un punto decisivo della tesi di Romeo: la continuità, cioè, priva di qualsiasi novità, della strategia di Mazzarino rispetto a quella di Richelieu. E’ vero che il primo fece carriera e si formò all’ombra del cardinale; è meno vero che, dopo la morte di Richelieu, Mazzarino “ne seguì pedissequamente le linee fissate già all’inizio degli anni trenta”. Durante l’ultima fase della guerra dei Trent’anni, fra il 1635 e la pace di Vestfalia, la Francia di Mazzarino seguì sì la linea strategica delle “porte” e dell’insidia della Spagna ai confini, ma aiutò militarmente la Catalogna, il cuore del sistema imperiale spagnolo. Nella crisi napoletana del 1647-48, Mazzarino non ritenne opportuno aprire un nuovo fronte di guerra contro la Spagna: non aiutò militarmente gli insorti napoletani e il duca di Guisa. Ma la congiuntura successiva alla pace dei Pirenei del 1659 sollecitò poi, almeno a livello progettuale e strategico, un più deciso intervento francese in Italia, cioè in uno dei più importanti sottosistemi del sistema imperiale spagnolo.
Insomma una cosa è sostenere che la strategia di Richelieu pose le basi dell’egemonia della Francia in Europa e fu all’origine di effetti di lunga durata; altra cosa è non tener conto delle inevitabili novità e degli aggiustamenti di tiro, in termini di strategia politica, che i mutamenti di congiuntura imposero alla Francia di Mazzarino.
Concordo invece pienamente col giudizio finale di Pescosolido a proposito di Romeo: “Un grande storico per un grande personaggio e per una grande storia”.