“Ricostruire Storie” dall’Aquila, la città (in)visibile
Tra il 9 e l’11 maggio 2019 si è tenuta all’Aquila la sedicesima Assemblea della Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna. La scelta della location e del titolo – “Ricostruire Storie” – risultano emblematici dell’intento sotteso all’evento. Come hanno sottolineato Luigi Mascilli Migliorini, presidente della SISEM, e Silvia Mantini, lo scopo immediato della tre giorni era comprendere come una comunità riesca a risollevarsi da un evento drammatico qual è il sisma – causa inaspettata di una distruzione della memoria – e come gli storici possano svolgere un ruolo, talvolta determinante, nel processo di recupero e di conservazione dell’identità culturale minacciata dalla catastrofe naturale.
A dieci anni dal terremoto che l’ha colpita, L’Aquila presenta ancora delle ferite visibili: negli edifici, negli innumerevoli cantieri, nel sottofondo tipico del lavoro degli operai. È una città in transizione – come l’ha definita la rettrice dell’Università Paola Inverardi -, che si domanda come raccontare sé stessa senza correre il pericolo di produrre una narrazione arida dell’ultimo decennio e che non rinuncia per questo al suo ruolo di “città della memoria e della conoscenza”.
Alla luce di ciò, riuniti nella Sala Ipogea del Palazzo dell’Emiciclo, molti degli studiosi italiani dell’età moderna si sono interrogati sul valore del passato, sul senso attuale del fare Storia e su come servirsi, per affrontare il futuro, di quello spirito critico che è, appunto, la base della conoscenza di cui L’Aquila si fa luogo elettivo.
Se l’11 maggio è stato dedicato agli adempimenti statutari, le prime due giornate dell’Assemblea sono state articolate in tre sessioni, “Storici e storie. L’esperienza del coordinamento”, “Ricostruire storie” e “Laboratorio L’Aquila”. Quest’ultima è stata incentrata sul processo di ricostruzione del tessuto urbano e di recupero/restauro del patrimonio artistico e architettonico aquilano, mentre le prime due sessioni si sono focalizzate sul rapporto storia-memoria e su questioni inerenti alla didattica della storia a partire dalla scuola secondaria.
Lucia Criscuolo, presidente della CUSGR, ha evidenziato che il “rinnovamento” degli studi storici non può essere affrontato all’interno di rigidi confini, disciplinari o territoriali che siano; pertanto, il coordinamento tra le società di storia si presenta come una necessità che è impossibile ignorare. Attualmente, come ha ricordato Simona Feci, le iniziative programmate tra le società italiane di storia si ispirano infatti ad una crescente integrazione (si è fatto riferimento alla proficua esperienza del Convegno del Coordinamento delle Società Storiche “Gli storici e la didattica della Storia. Scuola e Università”, tenutosi a Roma tra il 25 e il 26 ottobre 2018, come pure al seminario previsto per il prossimo gennaio che coinvolgerà i dottorandi di tutti i settori). La presidente della SIS, società attiva da 30 anni, nel ricordare che uno dei più importanti punti di forza della ricerca è proprio la diversità esistente tra gli interessi e le personalità degli studiosi, ha anche sottolineato quanto sia fondamentale che gli storici si riapproprino del loro posto sulla scena pubblica.
Non a caso, nel corso dell’Assemblea più volte si è richiamata l’attenzione dei presenti sulla “terza missione” degli studiosi, cioè sul far sì che la conoscenza prodotta contribuisca attivamente allo sviluppo civile, culturale ed economico della società. Questo appello risulta ancor più urgente a fronte del momento difficile che la disciplina sta attraversando: all’indomani della scomparsa del tema di storia alla maturità e della pubblicazione del manifesto “La storia è un bene comune” (redatto dallo storico Andrea Giardina, dalla senatrice Liliana Segre e dallo scrittore Andrea Camilleri), è impossibile non interrogarsi sul rapporto controverso tra gli storici e il MIUR; appare evidente, ad esempio, che gli storici di professione abbiano smesso di essere gli interlocutori del Ministero e che siano soggetti inascoltati nell’elaborazione dei programmi scolastici.
Paradossalmente, se tenessimo conto soltanto dei dati provenienti dall’editoria e dalla public history, potremmo affermare, al contrario, che la Storia gode di ottima salute. Tale provocazione, lanciata dall’editore Alessandro Laterza, è basata sul contrasto che intercorre tra lo stato sconfortante della disciplina all’interno delle aule scolastiche ed universitarie ed il successo riscosso, in termini di pubblico e di domanda, dai prodotti editoriali e dai programmi televisivi, i cui autori, in entrambi i casi, spesso non appartengono al mondo accademico. Questa situazione è tipica del campo della public history, in cui «l’apparato accademico creato per promuovere la formazione e l’istruzione è solo una parte della storia» (J.B. Gardner and P. Hamilton, Oxford Handbook of Public History, 2017). Nel Manifesto della Public History Italiana, ha ricordato Serge Noiret, la storia pubblica è infatti intesa esplicitamente come «un campo delle scienze storiche a cui aderiscono storici [e anche non storici] che svolgono attività attinenti alla ricerca e alla comunicazione della storia all’esterno degli ambienti accademici». Tuttavia, sebbene la public history proponga programmaticamente una «storia utile nel presente», potenzialmente in grado di «sviluppare la coscienza civile e la cultura storica ambientale», gli storici tutti, ha sottolineato con forza Laterza, non possono demandare ad una branca specialistica le responsabilità che l’intera disciplina ha nei confronti della società.
Per rinvigorire lo stato della Storia si è pensato ad iniziative concrete, come all’organizzazione di summer school che coinvolgano studenti, giovani ricercatori e la cittadinanza, e alla promozione di nuovi dottorati. Tuttavia, affinché gli storici assolvano alla “terza missione” e difendano l’etica profonda del loro mestiere, è imprescindibile e legittimo che riacquistino il ruolo di corrispondenti diretti del MIUR: la Storia, infatti, «è un sapere critico» che «vive nel dialogo»; senza la voce degli storici, chi difenderà «il diritto» degli uomini ad orientarsi lucidamente nel presente e nel futuro?
Si vedano il manifesto “La storia è un bene comune”, disponibile al link https://www.repubblica.it/robinson/2019/04/25/news/la_storia_e_un_bene_comune_salviamola-224857998/
L’Editoriale di Luigi Mascilli Migliorini, “A che cosa serve la Storia?”, http://www.lasisem.it/editoriale_singolo.php?idRecord=69)