Riformismo e costituzionalismo. L’Università nel Parlamento di Sicilia
Il periodo delle riforme portate avanti dal re Carlo III, sotto il cui regno avvenne l’espulsione dell’ordine gesuita nel 1767, portò non solo alla fondazione dell’Accademia degli Studi, la neonata Università degli studi di Palermo, il cui scopo era quello di formare la classe dirigente siciliana, ma anche a una “laicizzazione” della cultura fino a quel momento controllata da suddetto ordine. All’interno di questo scenario, caratterizzato non solo da conflitti nel panorama internazionale e mutamenti sociali, si incrociano le strade dell’Accademia e quella dell’esperienza costituzionale siciliana del 1812, ispirata dal modello “inglese”, in cui si ebbe un cambiamento radicale del Parlamento siciliano, che cambiò il suo assetto, che fino a quel momento era di derivazione spagnola. Le strade dell’Accademia e del Parlamento tramite la Costituzione del 1812 si incrociarono, poiché all’interno degli articoli del suddetto testo costituzionale analizzate nel corso di questo articolo è stato colto questo incrocio, poiché l’Università, non solo di Palermo ma anche di Catania, come si evincerà avevano i propri rappresentanti nelle due camere del neo Parlamento “anglosiculo”. Tra la fine del sec. XVII e l’inizio del XVIII, il Mediterraneo fu lo scacchiere del conflitto tra l’Inghilterra e la Francia postrivoluzionaria di Napoleone, momento in cui in Europa, ma soprattutto dalla Francia sulla scorta delle idee illuministiche, cominciò un cambiamento all’interno della sfera sociale e culturale. La società prerivoluzionaria si basava sul privilegio e sulla tripartizione della società (nobiltà, clero e terzo stato). La Rivoluzione francese sicuramente ma anche la successiva età napoleonica hanno modificato l’assetto politico. Un caso a parte venne rappresentato dalla Sicilia sotto i regni di Carlo III e del figlio Ferdinando IV di Borbone caratterizzati non solo dal riformismo e successivamente dal costituzionalismo ma anche da rivolte e da un periodo di dominazione straniera sull’isola, per esempio la rivolta nel napoletano che portò alla fondazione della Repubblica Partenopea, che costrinse il sovrano Ferdinando IV a fuggire da Napoli verso la Sicilia grazie all’aiuto inglese. Tale aiuto che venne dato dalla flotta inglese, comandata dall’ammiraglio Nelson, al sovrano borbonico portò la Sicilia nell’orbita inglese dal 1806 fino al 1814, periodo caratterizzato da un laboratorio costituzionale, dalla Costituzione del 1812 di stampo anglosassone, che venne sostituita dalla Costituzione del 1816, ispirata al modello francese che hanno caratterizzato la vita politica e sociale del Regno delle Due Sicilie. Sotto il regno di Carlo di Borbone (1753-1788), VII di Napoli e V di Sicilia, nel novembre del 1767 avvenne la traumatica espulsione dalla Sicilia dei Gesuiti, detentori fino a quel momento dell’istruzione. Così vi fu la necessità di una riforma scolastica, non solo nel campo della scuola secondaria ma anche riguardo la fondazione di un’Accademia degli Studi, la quale avrebbe permesso di istruire la classe dirigente. Così il 5 novembre del 1779 venne istituita la Regia Accademia degli studi San Ferdinando, la cui sede fu il Collegio Massimo, l’attuale Biblioteca Regionale era di proprietà gesuita. Nel 1804, con il ritorno dell’Ordine, i locali dell’Accademia si trasferirono presso i Padri Teatini, l’attuale facoltà di Giurisprudenza in via Maqueda, l’anno successivo il sovrano Federico di Borbone riconobbe lo status di Università degli Studi all’Accademia; l’Università cominciò così ufficialmente i suoi corsi nel 1806. Mentre la Francia versava nel caos della Rivoluzione francese (1789), la situazione nel regno di Napoli di Ferdinando IV (1751-1825) non era delle migliori, poiché il vento della rivoluzione vi soffiò in maniera più blanda, tanto da essere represse persone sospette di essere vicine alle idee giacobine. Nel frattempo l’Europa era stretta nella morsa del generale Napoleone Bonaparte che con la campagna d’Italia (1796-1797) riportò una vittoria francese ai danni dell’Austria, apportando delle radicali modifiche territoriali all’interno della Penisola Italiana e, in particolare, al governo e all’amministrazione politico-giudiziaria del Regno di Napoli dato che, con l’avvento di Bonaparte, il re Ferdinando IV e la moglie Maria Carolina d’Asburgo Lorena (1752-1814) fuggirono verso il Regno di Sicilia.
Nel primo decennio dell’Ottocento, l’isola si conforta con il modello inglese che nella guerra contro Napoleone l’aveva trasformata in un vera e propria base militare, conferendole di nuovo il ruolo di fortezza nel Mediterraneo, come fu nel periodo di Carlo V e Filippo II. Ci troviamo così dinnanzi a un processo di ridefinizione dei rapporti tra la società e lo Stato e all’interno della Costituzione si può rintracciare il rapporto tra il progetto politico portato avanti da Ferdinando III e l’Università degli Studi, alla quale viene dedicato un ruolo politico all’interno del Parlamento. In questa sede ci soffermeremo sulla descrizione dei Capitoli che trattano il ruolo attivo nella politica locale del tempo. Il Titolo I del Capitolo V inizia cita così:
- . 8. Le Università degli Studj delle Città di Palermo, e di Catania manderanno un Rappresentante per ciascheduna: qualora però l’Università degli Studj di Palermo avesse, come proprietaria di Badie, voce Parlamentaria fra i Pari, debba in tal caso perdere la sudetta rappresentanza, ed avrà in compenso due Rappresentanti nella Camera de’ Comuni.
L’Università si trova così ad avere un ruolo politico e di rappresentanza all’interno del Parlamento siciliano. Tutta la novità a livello costituzionale può dunque essere sintetizzata in questo primo grande articolo dove, finalmente, il mondo delle Università fa sentire l’eco della sua voce all’interno dei palazzi del potere, apportando un contributo non soltanto culturale all’edificazione della società, ma adesso anche di carattere politico ed amministrativo.
Condizione indispensabile per potere essere eletti al Parlamento come rappresentati del mondo accademico è la reddita annua di centocinquanta once; uno stipendio buono, dunque, quello che un rappresentante del mondo universitario deve percepire. Vige ancora in quegli anni il vecchio sistema censitario, per cui hanno diritto al voto tutti i cittadini maschi che hanno la maggiore età e un certo reddito annuo, al di sotto del quale, non si può accedere alla vita politica dello Stato in cui si vive. Anche il mondo universitario dell’epoca, non sfugge a queste restrizioni e a questi regolamenti. Inoltre, qualunque rappresentate deve allora portarsi in Parlamento a proprie spese, la politica è concepita con un certo spirito di servizio verso la comunità, specialmente la politica parlamentare, dove la rappresentanza verso il ceto di appartenenza era particolarmente sentita e muoveva gli animi di tutti i deputati. In ogni caso, anche se l’Università vorrebbe provvedere a proprie spese, deve sempre passare dall’imprimatur del Consiglio Civico.
Era però il Rettore a pensare ad una serie di possibili candidati “papabili” al Parlamento tra il corpo dei docenti in servizio o non. In mancanza del rettore, tale compito veniva assolto dal professore più anziano in carica nell’Università, indice che chi insegnava da più tempo era visto come un punto di riferimento importante all’interno dei docenti e di tutto il mondo universitario.
Nei capitoli sono anche specificati i ruoli e le competenze di ciascun organo della vita politica, che distribuisce a ciascuno il suo ed evita che più poteri siano concentrati nelle mani di un solo organismo e un organo diventi eccessivamente politico. Si evince una ricerca di equilibrio e di una equanime distribuzione dei poteri tipica del modello inglese. Il Capitolo 10, dal suo canto, sancisce la pari dignità dei rettori sia di Palermo che di Catania, evidenziando come non vi sia la superiorità dell’uno rispetto all’altro ma la complementarietà e la uguale onorabilità. Il segretario delle due Università ha il compito di svolgere la mansione del maestro-notaro; si tratta dunque di una carica di alto livello giuridico ed istituzionale, come un vero notaio deve essere scrupoloso e come un vero maestro deve essere preciso ed integerrimo: ha infatti il compito di registrare i voti dei professori, e dunque una certa importanza nell’apparato costituzionale e della vita delle università.
Infine, nessuno dei Rettori può dunque provenire da un’altra università, ma deve necessariamente avere studiato nei propri atenei. E’ molto significativo questo articolo, come a dire che chi conosce dal di dentro le situazioni e gli orientamenti, è poi più portato a saperli amministrare. Il famoso detto Nemo profeta in patria viene così annullato con questa abile mossa, sposando l’idea che una persona che ha compiuto il proprio excursus all’interno del mondo accademico sia poi la più adatta a poterla governare poiché ne ha una conoscenza piena e totale.
I restanti articoli ci parlano della situazione di provvedimenti di cui il mondo dell’Università non è protagonista, e la tematica al centro del provvedimento giuridico è diversa. Questi articoli riguardano l’Università soltanto di riflesso, poiché la questione giuridica non riguarda il suo svolgimento interno, ma questioni che la trascendono ampiamente. Questi provvedimenti eccedono il proposito del nostro lavoro, il quale ha inteso mettere in luce la relazione tra la costituzione del 1812 e l’università, la quale seppur molto complessa è sicuramente interessante e portatrice di numerosi spunti di riflessione storica e interpretativa.
Per ulteriori informazioni sull’argomento potete consultare i seguenti volumi:
- Orazio Cancila, Storia dell’università di Palermo, Laterza, Bari, 2006;
- Nicoletta Bazzano, Palermo fastosissima: cerimonie cittadine in età spagnola, Palermo University Press, Palermo, 2016;
- Maria Andaloro e Giovanni Tomasello, Sicilia 1812 – Laboratorio costituzionale la società la cultura le arti, Assemblea Regionale Siciliana, Palermo, 2013;
- Francesco Beccattini, Storia del Regno di Carlo III di Borbone re cattolico delle Spagne e delle Indie, Società de’ librai, Torino, 1790.